Vita religiosa: una vita vissuta alla presenza di Dio

Testimonianza dal monastero di clausura delle monache benedettine di Perugia

Due febbraio, Giornata mondiale della vita consacrata. Quale messaggio nuovo può essere dato in un mondo in cui le parole sono sovrabbondanti, e proprio per questo con il parlare e lo scrivere ancora si rischia di non essere ascoltati, recepiti? Molto è stato scritto e detto su questa Giornata, e molto ancora si scriverà e si dirà; per questo riteniamo che oggi sia importante proporre un esempio di vita e rendere partecipe la comunità cristiana di una piccola esperienza ‘di membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa, di cui Lui è il Capo’. La vita consacrata è, come tutte, una vita vissuta alla presenza di Dio, con in più la ‘chiamata esclusiva al Suo completo servizio’ che comporta la sequela totale di Cristo sulla strada della povertà, castità, obbedienza da Lui percorsa, e all’adempimento del Suo mandato come espresso nel Vangelo di Marco: ‘Andate e battezzate tutte le genti…’ (Mc 16,18-20). Quale esempio di vita proporre? Tanti volti e nomi si affacciano e si accavallano, ma in tutto il frastuono del mondo odierno un nome si fa avanti discreto, ma deciso: Scolastica, sorella del santo padre nostro Benedetto, di cui, a differenza del fratello, praticamente non si conosce nulla se non quelle poche battute riportate dai Dialoghi di san Gregorio Magno, sul colloquio avuto con il fratello tre giorni prima di morire, colloquio strappato al suo Signore Gesù, con la forza della preghiera e delle lacrime, tanto da far dire allo stesso Gregorio che ‘poté di più, perché di più amò’. Non ha fatto niente di particolare, di straordinario, ha solo risposto totalmente alla chiamata di Cristo e lo ha seguito dove Lui ha voluto, come Lui ha voluto, percorrendo con Lui il cammino dell’amore che porta alla totale donazione. L’esempio di Scolastica nei secoli è stato abbracciato e vissuto da tante generazioni di donne che hanno consapevolmente detto il loro ‘sì’ in risposta alla chiamata di Cristo professando sotto la Regola che veniva loro indicata, di volta in volta, dall’azione dello Spirito santo; è qui che si inserisce una piccola esperienza di ‘membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa, di cui Lui è il Capo’. La comunità monastica femminile benedettina è presente nella nostra amata diocesi e città già dal XII-XIII secolo, con una struttura secondo le leggi canoniche, e da allora ha condiviso gli avvenimenti che hanno segnato la vita di questi secoli. Nell’attuale società, con le leggi dei numeri che contano, forse non facciamo testo (spesso ci sentiamo dire: ‘Quante siete?… Così poche?… Eh, quando erano…), ma è proprio da qui che nasce la forza nuova della comunità! Certo, una quindicina di religiose provenienti da ogni parte d’Italia, dall’Africa, dall’India, non sono un gran numero, ma insieme, nella vita quotidiana di preghiera, lavoro, ascolto, vissuta nel silenzio e nel nascondimento, con le nostre diversità di cultura-spirituale, lingua, siamo ugualmente un’unica entità in Cristo, nostro Capo, noi, Sue piccole membra che lavorano nella Sua vigna, dove Lui le ha poste perché ‘portino frutto’. Così, il 25 gennaio scorso a chiusura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – Conversione di san Paolo, come in altre occasioni liturgiche, la messa non ha previsto l’abituale canto gregoriano tipico delle celebrazioni liturgiche benedettine, ma melodie provenienti dall’Africa e dall’India, per innalzare un inno di lode al Padre in rendimento di grazie per il dono meraviglioso che ci ha concesso, e con il Salmista acclamare: ‘Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme’.

AUTORE: La comunità delle Benedettine di S. Caterina d'Alessandria - Pg