Il discorso “apostolico”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Giulio Michelini XII Domenica del tempo ordinario - anno A

In questa domenica e nella prossima proclameremo parte di quel discorso di Gesù conservatoci dal Primo Vangelo, chiamato “missionario” o “apostolico”, e che prende praticamente tutto il decimo capitolo (Mt 10,5-42). È il secondo lungo discorso del Vangelo di Matteo: inizia con il brano che la liturgia ci ha proposto la domenica passata (la chiamata e l’invio dei dodici), e si conclude con quella formula tipica che in Matteo troviamo sempre a conclusione di ogni discorso di Gesù: “Quando Gesù ebbe terminato di” (Mt 11,1).

Anche il Vangelo secondo Luca contiene le parole di questo discorso: segno che Matteo e Luca hanno potuto attingere ad una stessa fonte che invece Marco ha tralasciato o di cui non era a conoscenza. Tornando al segmento di oggi – questo riguarda due aspetti della missione: la paura nella persecuzione (10,26-31) e il riconoscere o rinnegare Gesù (32-33). Dove viene annunciato il Vangelo, lì ci sarà opposizione da parte di qualcuno. È strano che nel nostro versetto 10,28 (“Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima”) non si chiarisca con precisione chi sono “quelli” che cercano di uccidere il corpo; anche prima, in 10,17, si parlava genericamente di “uomini” che consegneranno i discepoli di Gesù nei tribunali, e in 10,19 e in 10,23, ancora, il soggetto della persecuzione non è espresso chiaramente.

O entriamo nella strana logica del complotto che i paranoici trovano continuamente costruito contro di loro (si veda Il pendolo di Foucault di Umberto Eco), oppure dobbiamo credere che il Vangelo è scomodo e può sempre, in ogni tempo e in ogni contesto, portare alla morte di chi lo annuncia. All’inizio della storia della Chiesa, le parole di Gesù devono aver sostenuto i discepoli perseguitati dagli imperatori romani, ma ancora recentemente le vittime delle ideologie del Novecento sarebbero capaci di spiegarci, con il loro martirio, il senso di questo discorso missionario. Ecco perché Gesù dice che se il prezzo da pagare per il Vangelo è a volte quello della vita, questa non viene mai tolta, ma, anzi, è data davvero: chi uccide il corpo non ha mai il potere di togliere anche l’anima.

Nel Vangelo, dunque, c’è qualcosa di scomodo e di pericoloso. Quando il messaggio viene addomesticato, diventa innocuo e non serve a nulla, come il sale della terra può solo essere gettato. Di più: se la Parola di Gesù non viene gridata dai tetti, e non è detta apertamente, nella luce, non è efficace. È certo che Gesù qui sta descrivendo la missione dei discepoli, ma ancor prima sta parlando di se stesso, e cioè del modo in cui Egli si è inteso come Messia. Gesù non ha mai avuto paura di dire le cose chiaramente, anche quando questo avrebbe potuto nuocergli. Il Vangelo di Giovanni ci spiega bene l’opera di Gesù, quando riporta la sua risposta al sommo sacerdote che lo interroga nel Sinedrio: “Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto” (Gv 18,20).

Guai a noi se ritenessimo che le parole del Vangelo sono qualcosa di esoterico, un messaggio riservato a pochi iniziati che soli possono comprenderle e viverle: come Gesù ha parlato apertamente, anche la Chiesa ha il dovere di non tacere. Può anche mancare il coraggio della testimonianza. Come è accaduto nella storia della Chiesa, con i lapsi (ricordiamo il De Lapsis di Cipriano, scritto quando durante le persecuzioni molti fedeli della Chiesa di Cartagine avevano sacrificato agli idoli per salvarsi la vita), è difficile “dichiararsi pubblicamente a favore di” (questo il senso del verbo “riconoscere” – homologhéo) Cristo. Rinnegare Gesù, non riconoscersi più in lui e in quello che ha fatto, abbandonarlo, è spesso la soluzione più facile.

Non ci scandalizziamo: “rinnegare”, il verbo qui usato, è anche quello che dice ciò che Pietro ha fatto, negando di aver conosciuto Gesù (cfr. Mt 26,70.72).Gesù stesso è al centro del messaggio del Regno dei Cieli, quello che gli apostoli devono annunciare come ormai “vicino” (cfr. Mt 10,7). La relazione con quel Dio del Regno che viene annunciato è possibile solo attraverso Gesù, scrive Matteo: rigettarlo, significa essere rigettati da Dio. “L’importanza della cristologia per Matteo è chiaramente evidente in queste frasi. Gesù è sia l’oggetto dell’annuncio missionario, e anche l’unico mediatore presso il Padre. Non esiste una zona di mezzo o ‘neutra’: o si è per Gesù, o si è contro di lui. I confini del giudaismo vengono qui oltrepassati, perché mai nessun profeta, o scriba, o rabbi, ha mai detto prima queste cose. Matteo ci mette continuamente davanti all’unicità di Gesù” (Hagner).

AUTORE: Giulio Michelini