LaVoce https://www.lavoce.it/ Settimanale di informazione regionale Mon, 21 Oct 2024 07:59:47 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg LaVoce https://www.lavoce.it/ 32 32 Carcere. Il portavoce dei Garanti: è piena emergenza umanitaria https://www.lavoce.it/carcere-il-portavoce-dei-garanti-e-piena-emergenza-umanitaria/ https://www.lavoce.it/carcere-il-portavoce-dei-garanti-e-piena-emergenza-umanitaria/#respond Fri, 18 Oct 2024 12:00:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78087 Un agente della polizia penitenziaria di spalle mentree spinge un carrello in un corridoio del carcere con a destra delle finestre

“Il carcere è al collasso. Siamo in piena emergenza umanitaria, sia sulle problematiche carcerarie degli adulti sia sul tema della giustizia minorile”. L’allarme arriva dal portavoce dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello.

Da settimane si susseguono accesi dibattiti politici e sociali ma sui quali la politica, purtroppo non dà risposte concrete. In uno sforzo di sintesi e di chiarezza il Garante elenca: oltre i suicidi anche le forme di autolesionismo, la mancanza di figure di ascolto come psicologi, assistenti sociali, psichiatri, mediatori linguistici, carenza di opportunità lavorative e professionalizzanti.

Il decreto “Carcere sicuro" è una scatola vuota

“Il decreto legge sul carcere – prosegue il Garante – varato dal Governo e comunicato con il nome di ‘Carcere sicuro’, in vigore dal 4 luglio 2024, è una vera e propria scatola vuota, non in grado di porre un argine immediato alle drammatiche condizioni in cui versano gli istituti di pena italiani”.

Il sovraffollamento è pari al 130%

Preoccupante l’indice di sovraffollamento che, ad oggi, è arrivato a essere pari al 130%. Ci sono 7.027 persone detenute che devono scontare meno di un anno di carcere. Dati allarmanti, conseguenti anche a scelte di politica penale che, in un’ottica puramente repressiva e securitaria, hanno portato all’introduzione di nuove fattispecie di reato, all’innalzamento della durata di pene detentive per alcune fattispecie di reato, all’inasprimento dell’applicazione di misure cautelari, anche per reati di lieve entità. Le misure previste promuovono una politica tutta ‘ordine e disciplina’ con conseguenze drammatiche: sottrazione di risorse a discapito delle esigenze dell’area educativa, del trattamento o dell’Ufficio esecuzione penale esterna, e introducendo modifiche all’istituto della liberazione anticipata.

Continuano decessi e tentativi di suicidio

Se non bastano gli allarmi, restano i numeri a fotografare la sostanziale indifferenza della politica. Al macabro quadro che emerge vanno aggiunti una cinquantina di decessi di reclusi, le cui cause sono ancora da accertare, e i tentati suicidi che sono stati 1.022; in diverse centinaia di casi è stato solo l’immediato intervento degli agenti a scongiurare altre vittime. 

... tentativi di fuga e aggressioni ai poliziotti

Nello stesso periodo le evasioni e i tentativi di fuga sono aumentati del 700% mentre le aggressioni ai poliziotti hanno raggiunto quota 1.950. Il numero degli agenti di polizia penitenziaria è fortemente sotto organico, considerando la condizione di estremo disagio della categoria, che ha portato al suicidio di 7 addetti alla sicurezza nei 192 istituti di pena italiani. L’emergenza dunque si aggrava con l’aumento dei casi di autolesionismo e il dilagare di fenomeni di violenza e di tortura che si consumano nelle carceri italiane.

Un po' di percentuali

Il 64% delle persone che si sono tolte la vita negli ultimi due anni aveva commesso reati contro il patrimonio; il 60% dei suicidi si è verificato nei primi sei mesi di detenzione; il 40% degli stessi si è consumato oltre i primi sei mesi, con una percentuale elevata nell’ultimo periodo di detenzione e l’interessamento di molti detenuti senza fissa dimora.

Carenza di personale

La situazione di promiscuità e difficile convivenza tra detenuti con storie diverse alle spalle fa poi il paio con la cronica mancanza di personale. Se si vuole il carcere come luogo di riscatto, rieducazione e speranza, bisognerà favorire la formazione e il lavoro intramurario, investire in importanti opere di ristrutturazione degli istituti penitenziari per migliorare le condizioni di abitabilità e igienico-sanitarie degli ambienti, assumere più personale esperto nel prevenire e gestire il disagio psicologico troppo diffuso in carcere.

Luca Verdolini
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Un agente della polizia penitenziaria di spalle mentree spinge un carrello in un corridoio del carcere con a destra delle finestre

“Il carcere è al collasso. Siamo in piena emergenza umanitaria, sia sulle problematiche carcerarie degli adulti sia sul tema della giustizia minorile”. L’allarme arriva dal portavoce dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello.

Da settimane si susseguono accesi dibattiti politici e sociali ma sui quali la politica, purtroppo non dà risposte concrete. In uno sforzo di sintesi e di chiarezza il Garante elenca: oltre i suicidi anche le forme di autolesionismo, la mancanza di figure di ascolto come psicologi, assistenti sociali, psichiatri, mediatori linguistici, carenza di opportunità lavorative e professionalizzanti.

Il decreto “Carcere sicuro" è una scatola vuota

“Il decreto legge sul carcere – prosegue il Garante – varato dal Governo e comunicato con il nome di ‘Carcere sicuro’, in vigore dal 4 luglio 2024, è una vera e propria scatola vuota, non in grado di porre un argine immediato alle drammatiche condizioni in cui versano gli istituti di pena italiani”.

Il sovraffollamento è pari al 130%

Preoccupante l’indice di sovraffollamento che, ad oggi, è arrivato a essere pari al 130%. Ci sono 7.027 persone detenute che devono scontare meno di un anno di carcere. Dati allarmanti, conseguenti anche a scelte di politica penale che, in un’ottica puramente repressiva e securitaria, hanno portato all’introduzione di nuove fattispecie di reato, all’innalzamento della durata di pene detentive per alcune fattispecie di reato, all’inasprimento dell’applicazione di misure cautelari, anche per reati di lieve entità. Le misure previste promuovono una politica tutta ‘ordine e disciplina’ con conseguenze drammatiche: sottrazione di risorse a discapito delle esigenze dell’area educativa, del trattamento o dell’Ufficio esecuzione penale esterna, e introducendo modifiche all’istituto della liberazione anticipata.

Continuano decessi e tentativi di suicidio

Se non bastano gli allarmi, restano i numeri a fotografare la sostanziale indifferenza della politica. Al macabro quadro che emerge vanno aggiunti una cinquantina di decessi di reclusi, le cui cause sono ancora da accertare, e i tentati suicidi che sono stati 1.022; in diverse centinaia di casi è stato solo l’immediato intervento degli agenti a scongiurare altre vittime. 

... tentativi di fuga e aggressioni ai poliziotti

Nello stesso periodo le evasioni e i tentativi di fuga sono aumentati del 700% mentre le aggressioni ai poliziotti hanno raggiunto quota 1.950. Il numero degli agenti di polizia penitenziaria è fortemente sotto organico, considerando la condizione di estremo disagio della categoria, che ha portato al suicidio di 7 addetti alla sicurezza nei 192 istituti di pena italiani. L’emergenza dunque si aggrava con l’aumento dei casi di autolesionismo e il dilagare di fenomeni di violenza e di tortura che si consumano nelle carceri italiane.

Un po' di percentuali

Il 64% delle persone che si sono tolte la vita negli ultimi due anni aveva commesso reati contro il patrimonio; il 60% dei suicidi si è verificato nei primi sei mesi di detenzione; il 40% degli stessi si è consumato oltre i primi sei mesi, con una percentuale elevata nell’ultimo periodo di detenzione e l’interessamento di molti detenuti senza fissa dimora.

Carenza di personale

La situazione di promiscuità e difficile convivenza tra detenuti con storie diverse alle spalle fa poi il paio con la cronica mancanza di personale. Se si vuole il carcere come luogo di riscatto, rieducazione e speranza, bisognerà favorire la formazione e il lavoro intramurario, investire in importanti opere di ristrutturazione degli istituti penitenziari per migliorare le condizioni di abitabilità e igienico-sanitarie degli ambienti, assumere più personale esperto nel prevenire e gestire il disagio psicologico troppo diffuso in carcere.

Luca Verdolini
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Corso di cucina per un futuro reinserimento fuori dal carcere https://www.lavoce.it/corso-di-cucina-per-un-futuro-reinserimento-fuori-dal-carcere/ https://www.lavoce.it/corso-di-cucina-per-un-futuro-reinserimento-fuori-dal-carcere/#respond Fri, 18 Oct 2024 08:26:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78106

Cibo e sbarre si riconciliano grazie a un progetto ambizioso e concreto. Un corso di cucina, previsto nell’ambito del progetto “Opportunità lavorative professionalizzanti” finanziato dal ministero della Giustizia e riservato a 10 detenuti, organizzato all’interno del Nuovo complesso penitenziario di Perugia dalla cooperativa sociale Frontiera lavoro, per dare un futuro a quanti, tra i circa quattrocento detenuti ospiti della struttura, hanno ancora voglia di coltivarlo.

Le testimonianze di Vladislav, dello chef Stifani e di Satur

Accade così che – nel “carcere dei paradossi” – Vladislav, 24 anni, molti dei quali trascorsi in diversi istituti penitenziari tra piccoli e grandi reati, quasi senza alternative, ritrovi un progetto di vita tra mestoli e padelle. Lo vedi impegnato a sminuzzare le verdure, farcire le carni, condire una fragrante pizza.  Una passione che diventa un sogno, magari un proprio ristorante una volta fuori dal carcere. Quel tempo passato dietro le sbarre che diventa momento formativo, per imparare a fare e a essere qualcosa di diverso, grazie a un’opportunità per imparare a lavorare e la speranza di continuare il mestiere della cucina, una volta “fuori”.

Sono 215 le ore di lezione, al termine della quali è previsto l’esame di qualifica; coordinate da chef di comprovata esperienza e competenza: Catia Ciofo, Addolorata Stifani, Donatella Aquili, Paolo Staiano e Daniele Guerra.

“Gli allievi – spiega la chef Stifani – vengono suddivisi in piccoli gruppi, lavorando in cucina con materiali e prodotti di qualità. Al termine di ogni lezione monotematica la carne, il pesce, l’orto, la pasticceria, i piatti preparati vengono consumati insieme”. Il corso di cucina è non solo un’esperienza professionalizzante, ma anche motivo di incontro e integrazione tra culture.

Nell’istituto penitenziario di Perugia sono presenti molti detenuti stranieri che adesso stanno diventando in un certo senso portavoce della cucina mediterranea e dei piatti della tradizione umbra. Come Satur, 32 anni, albanese: “Sto imparando tante cose nuove, specialmente riguardo gli ingredienti base della cucina italiana e modi di cottura che prima non conoscevo”.

L'esperienza formativa per ricominciare a vivere

L’esperienza formativa aumenta il grado di stima dei detenuti, consentendo una riscoperta della loro dignità, favorendo una rinnovata socialità e incidendo sulla recidiva, migliorando i comportamenti individuali e le abitudini sociali. Solo così riusciranno a ricominciare a vivere con dignità.

La cena di gala “Golose evasioni"

“Il progetto – dichiara Roberta Veltrini, presidente di Frontiera lavoro – ha l’obiettivo di fornire le competenze base sulle diverse professionalità che possono operare in un contesto lavorativo propedeutico a un successivo reinserimento sociale della persona detenuta”. Gli allievi daranno un saggio delle competenze acquisite durante la cena di gala “Golose evasioni”, giunta all’ottava edizione, che si svolgerà giovedì 21 novembre proprio all’interno della struttura penitenziaria di Capanne, e sarà aperta anche alla cittadinanza, che potrà gustare un menù d’autore.

Luca Verdolini

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Cibo e sbarre si riconciliano grazie a un progetto ambizioso e concreto. Un corso di cucina, previsto nell’ambito del progetto “Opportunità lavorative professionalizzanti” finanziato dal ministero della Giustizia e riservato a 10 detenuti, organizzato all’interno del Nuovo complesso penitenziario di Perugia dalla cooperativa sociale Frontiera lavoro, per dare un futuro a quanti, tra i circa quattrocento detenuti ospiti della struttura, hanno ancora voglia di coltivarlo.

Le testimonianze di Vladislav, dello chef Stifani e di Satur

Accade così che – nel “carcere dei paradossi” – Vladislav, 24 anni, molti dei quali trascorsi in diversi istituti penitenziari tra piccoli e grandi reati, quasi senza alternative, ritrovi un progetto di vita tra mestoli e padelle. Lo vedi impegnato a sminuzzare le verdure, farcire le carni, condire una fragrante pizza.  Una passione che diventa un sogno, magari un proprio ristorante una volta fuori dal carcere. Quel tempo passato dietro le sbarre che diventa momento formativo, per imparare a fare e a essere qualcosa di diverso, grazie a un’opportunità per imparare a lavorare e la speranza di continuare il mestiere della cucina, una volta “fuori”.

Sono 215 le ore di lezione, al termine della quali è previsto l’esame di qualifica; coordinate da chef di comprovata esperienza e competenza: Catia Ciofo, Addolorata Stifani, Donatella Aquili, Paolo Staiano e Daniele Guerra.

“Gli allievi – spiega la chef Stifani – vengono suddivisi in piccoli gruppi, lavorando in cucina con materiali e prodotti di qualità. Al termine di ogni lezione monotematica la carne, il pesce, l’orto, la pasticceria, i piatti preparati vengono consumati insieme”. Il corso di cucina è non solo un’esperienza professionalizzante, ma anche motivo di incontro e integrazione tra culture.

Nell’istituto penitenziario di Perugia sono presenti molti detenuti stranieri che adesso stanno diventando in un certo senso portavoce della cucina mediterranea e dei piatti della tradizione umbra. Come Satur, 32 anni, albanese: “Sto imparando tante cose nuove, specialmente riguardo gli ingredienti base della cucina italiana e modi di cottura che prima non conoscevo”.

L'esperienza formativa per ricominciare a vivere

L’esperienza formativa aumenta il grado di stima dei detenuti, consentendo una riscoperta della loro dignità, favorendo una rinnovata socialità e incidendo sulla recidiva, migliorando i comportamenti individuali e le abitudini sociali. Solo così riusciranno a ricominciare a vivere con dignità.

La cena di gala “Golose evasioni"

“Il progetto – dichiara Roberta Veltrini, presidente di Frontiera lavoro – ha l’obiettivo di fornire le competenze base sulle diverse professionalità che possono operare in un contesto lavorativo propedeutico a un successivo reinserimento sociale della persona detenuta”. Gli allievi daranno un saggio delle competenze acquisite durante la cena di gala “Golose evasioni”, giunta all’ottava edizione, che si svolgerà giovedì 21 novembre proprio all’interno della struttura penitenziaria di Capanne, e sarà aperta anche alla cittadinanza, che potrà gustare un menù d’autore.

Luca Verdolini

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Ucsi, al via ad Assisi la Scuola di alta formazione per i giovani https://www.lavoce.it/ucsi-al-via-ad-assisi-la-scuola-di-alta-formazione-per-i-giovani/ https://www.lavoce.it/ucsi-al-via-ad-assisi-la-scuola-di-alta-formazione-per-i-giovani/#respond Fri, 18 Oct 2024 07:53:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78100

Rieccoci alla Cittadella di Assisi, con il ‘momento forte’ dell’Ucsi, la scuola ‘Giancarlo Zizola’, (dal 18-20 ottobre) con la quale, quest’anno, proponiamo la memoria – nel 70° anniversario della scomparsa – di un grande statista, Alcide De Gasperi, primo capo di governo dell’Italia repubblicana con un governo di unità nazionale, testimone della politica a servizio della gente.

Arriviamo ad Assisi dopo un lungo anno associativo, che ha avuto quali tappe importanti la Giornata di san Francesco di Sales a Cagliari, con il presidente e il segretario generale della Cei, card. Matteo Zuppi e mons. Giuseppe Baturi, e la Settimana sociale di Trieste, passando per una miriade di incontri in tutta la penisola e la pubblicazione di ComunICare, il volume pubblicato dalle edizioni Libreria vaticana che raccoglie i 10 messaggi del Papa ai giornalisti e comunicatori, commentati da venti grandi firme del giornalismo italiano.

Un altro anno di lavoro per il laboratorio attivato sul futuro della professione, alla ricerca di una via d’uscita da una crisi devastante, come testimoniano i dati su ascolti e diffusione dei giornali, ma anche lo stato d’animo dei giornalisti, dal momento che fioccano anche le dimissioni di giovani colleghi, anche subito dopo assunzioni conquistate con il sudore e con il sangue.

Come uscire dalla crisi… Ucsi si è collegata con il Constructive Network per indicare uno stile professionale che non è nuovo, ma oggi rappresenta una rivoluzione; e ha aggiunto ai suoi moduli formativi i paradigmi del counseling , come strumento per rafforzare relazioni e accrescere consapevolezza. Ucsi ha tuttavia anche una proposta originale, che deriva proprio dalle elaborazioni scaturite dalla scuola di Assisi: l’abbiamo ribattezzata la proposta delle “5 M”, il cui significato, in linea con la necessità di cambiare strada, è quello di andare oltre le tradizionali 5 W, aggiungendo (M = more ) Umanità, Tempo, Fonti, Diritti, Linguaggi.

Abbiamo chiesto a una serie di testimoni di adottare queste 5M: abbiamo le adesioni di Andrea Monda, Sara Lucaroni, Claudia Marchionni, Alessio Lasta, Paolo Di Paolo, Davide Imeneo, Alessandro Banfi, e sono solo alcuni dei nomi presenti.

Ci sarà spazio, naturalmente, per fare il punto sull’utilizzo giornalistico delle ultime tecnologie. I giovani colleghi arrivati da tutte le Regioni avranno modo, soprattutto, di investire in fantasia e progettare per il futuro.

L’orizzonte resta quello internazionale: sarà con noi infatti Valentina Parasecolo, responsabile comunicazione del Parlamento europeo in Italia, con cui poter finalizzare esperienze professionali all’estero, dopo la missione a Bruxellles nata dopo Assisi 2023.

Infine ci proietteremo verso il Giubileo 2025, con l’incontro in Vaticano con Papa Francesco e l’evento in programma per il pomeriggio del 25 gennaio, con Ordine, Fnsi, stampa estera, Constructive Network , Fisc, Federazione internazionale stampa cattolica, e così via. Una grande rete per disegnare, insieme, la professione del futuro.

Vincenzo Varagona

presidente nazionale Ucsi

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Rieccoci alla Cittadella di Assisi, con il ‘momento forte’ dell’Ucsi, la scuola ‘Giancarlo Zizola’, (dal 18-20 ottobre) con la quale, quest’anno, proponiamo la memoria – nel 70° anniversario della scomparsa – di un grande statista, Alcide De Gasperi, primo capo di governo dell’Italia repubblicana con un governo di unità nazionale, testimone della politica a servizio della gente.

Arriviamo ad Assisi dopo un lungo anno associativo, che ha avuto quali tappe importanti la Giornata di san Francesco di Sales a Cagliari, con il presidente e il segretario generale della Cei, card. Matteo Zuppi e mons. Giuseppe Baturi, e la Settimana sociale di Trieste, passando per una miriade di incontri in tutta la penisola e la pubblicazione di ComunICare, il volume pubblicato dalle edizioni Libreria vaticana che raccoglie i 10 messaggi del Papa ai giornalisti e comunicatori, commentati da venti grandi firme del giornalismo italiano.

Un altro anno di lavoro per il laboratorio attivato sul futuro della professione, alla ricerca di una via d’uscita da una crisi devastante, come testimoniano i dati su ascolti e diffusione dei giornali, ma anche lo stato d’animo dei giornalisti, dal momento che fioccano anche le dimissioni di giovani colleghi, anche subito dopo assunzioni conquistate con il sudore e con il sangue.

Come uscire dalla crisi… Ucsi si è collegata con il Constructive Network per indicare uno stile professionale che non è nuovo, ma oggi rappresenta una rivoluzione; e ha aggiunto ai suoi moduli formativi i paradigmi del counseling , come strumento per rafforzare relazioni e accrescere consapevolezza. Ucsi ha tuttavia anche una proposta originale, che deriva proprio dalle elaborazioni scaturite dalla scuola di Assisi: l’abbiamo ribattezzata la proposta delle “5 M”, il cui significato, in linea con la necessità di cambiare strada, è quello di andare oltre le tradizionali 5 W, aggiungendo (M = more ) Umanità, Tempo, Fonti, Diritti, Linguaggi.

Abbiamo chiesto a una serie di testimoni di adottare queste 5M: abbiamo le adesioni di Andrea Monda, Sara Lucaroni, Claudia Marchionni, Alessio Lasta, Paolo Di Paolo, Davide Imeneo, Alessandro Banfi, e sono solo alcuni dei nomi presenti.

Ci sarà spazio, naturalmente, per fare il punto sull’utilizzo giornalistico delle ultime tecnologie. I giovani colleghi arrivati da tutte le Regioni avranno modo, soprattutto, di investire in fantasia e progettare per il futuro.

L’orizzonte resta quello internazionale: sarà con noi infatti Valentina Parasecolo, responsabile comunicazione del Parlamento europeo in Italia, con cui poter finalizzare esperienze professionali all’estero, dopo la missione a Bruxellles nata dopo Assisi 2023.

Infine ci proietteremo verso il Giubileo 2025, con l’incontro in Vaticano con Papa Francesco e l’evento in programma per il pomeriggio del 25 gennaio, con Ordine, Fnsi, stampa estera, Constructive Network , Fisc, Federazione internazionale stampa cattolica, e così via. Una grande rete per disegnare, insieme, la professione del futuro.

Vincenzo Varagona

presidente nazionale Ucsi

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Cfp salesiani: un’opportunità di formazione professionalizzante https://www.lavoce.it/cfp-salesiani-unopportunita-di-formazione-professionalizzante/ https://www.lavoce.it/cfp-salesiani-unopportunita-di-formazione-professionalizzante/#respond Thu, 17 Oct 2024 17:00:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78073 Studenti all'opera sui banconi all'interno di un'aula del Centro di formazione

“Salesiani per il lavoro”. Più che uno slogan, è la sintesi dell’opera dei Centri di formazione professionale (Cfp) salesiani, i cui primi bagliori risalgono a quando don Bosco, nel recarsi nei luoghi di lavoro di Torino e dintorni, vedeva all’opera tanti ragazzi, spesso nella miseria più estrema. Appartenevano a famiglie poverissime, in buona parte disadattati, orfani...  Lavoravano in condizioni disumane, senza protezioni e senza orari, analfabeti che parlavano solo il dialetto d’origine, sbandati che spesso finivano in carcere. Quello che accade anche oggi a giovani con gravi disagi.

L'avvio dei primi laboratori dei Salesiani

Da quei contesti di degrado sociale, don Bosco trovò l’ispirazione per redigere il primo contratto (1852) con datori di lavoro illuminati, stabilendo una paga più equa alla prestazione, l’orario, il giorno di riposo, ecc., ma anche creando opportunità di apprendistato. I Salesiani avviarono i primi laboratori per approfondire un mestiere in comunità in stile di famiglia. Uno stile che ancora oggi è alla base degli odierni Cfp presenti nella gran parte dei 136 Paesi dei cinque Continenti dove i Salesiani operano con proprie missioni, dalle scuole agli oratori, ai Cfp.

Centri di formazione professionale salesiani in Umbria

In Umbria i Cfp hanno tre sedi: Perugia, Foligno e Marsciano, per complessivi 350 allievi. Ai ragazzi ora i Salesiani propongono un pellegrinaggio a Torino dal 25 al 27 ottobre, nei luoghi in cui visse don Bosco e dove sorsero i primi Cfp.

Ma cosa sono i Centri di formazione professionale salesiani?

Lo chiediamo al direttore dell’istituto “Don Bosco” di Perugia, don Claudio Tuveri, delegato Cnos-Fap Umbria per i rapporti istituzionali, e al direttore generale del Cnos-Fap Umbria, ente gestore dei Cfp, Federico Massinelli.

“Innanzitutto – precisa don Claudio Tuveri – i nostri Cfp concretizzano i valori del binomio integrazione/inclusione. Un ampio progetto che è alla base del pensiero di don Bosco, oltre a creare per tanti giovani concrete opportunità di lavoro dignitoso e specializzato grazie a corsi altamente professionali. I ragazzi vengono educati a crescere per essere cittadini di domani. Chi completa i Cfp ricorda il momento del ‘buongiorno’, una riflessione quotidiana sulla vita, sui valori umani e cristiani del mondo del lavoro attraverso le testimonianze di docenti e formatori. Un progetto che ci dà la possibilità di interagire con le famiglie degli allievi. I Centri sono un esempio di integrazione/ inclusione, perché tanti allievi sono italiani di seconda generazione, di culture e religioni diverse. Ogni anno, a maggio, si preparano alla giornata interreligiosa a cui partecipa l’arcivescovo. Il prossimo anno li coinvolgeremo per la festa di Maria Ausiliatrice”.

I Cfp preparano i giovani in quali settori produttivi, e quante possibilità hanno poi di trovare lavoro?

“Purtroppo è l’offerta che supera la domanda – commenta il direttore Federico Massinelli –, cioè le richieste di manodopera da parte delle aziende sono molto superiori al numero dei qualificati che escono dai nostri Cfp. Questo è in linea con il dato nazionale, rilevato in ciascuno dei sei settori professionali che attualmente siamo in grado di offrire nelle nostre sedi in Umbria con corsi di formazione in meccanica industriale, meccanica d’auto, elettrico, termo-idraulica, ristorazione, benessereacconciature. I corsi sono di durata quadriennale, con qualifica al terzo anno, mentre al quarto conseguono il diploma professionale. Chi vuole ha la possibilità di conseguire la maturità frequentando l’ultimo anno delle scuole superiori che riconoscono il percorso svolto, perché i quadriennali rientrano nel Sistema di istruzione”.

Sta parlando della Iefp, Istruzione e formazione professionale?

“Esattamente – risponde Massinelli –, perché, oltre a qualificare professionalmente un ragazzo o una ragazza immediatamente spendibile nel mercato del lavoro, permette agli allievi di assolvere all’obbligo scolastico in attuazione della legge 30/2020, con l’allineamento all’Istruzione e formazione professionale, la Iefp. Questo ha determinato negli ultimi anni la richiesta di un gran numero di famiglie di inserire i propri figli nei nostri Cfp, ma purtroppo per gli stessi corsi e gli spazi dedicati abbiamo dovuto quest’anno non ammettere una cinquantina di domande (al primo anno) ma solo 112. La selezione è limitata alla data di presentazione della domanda; i non ammessi hanno dovuto intraprendere altre strade”.

Quindi i Cfp vivono anche delle criticità…

“Siamo alle prese con la burocrazia – commenta don Tuveri – che, a volte, ostacola la crescita delle nostre proposte formative. Criticità si registrano nella tempistica, troppo lunga, con cui ci vengono erogati i finanziamenti pubblici. Il Cnos-Fap punta sul personale docente e formativo stabile per poter offrire una formazione di qualità nell’aderire al contratto nazionale della formazione professionale”.

E la Chiesa particolare fa sentire la sua vicinanza a quest’opera formativa?

“La comunità diocesana – sottolinea don Tuveri – è da sempre attenta, interessata alla nostra opera, educativa prima ancora che formativa. Non sono mancate negli anni le occasioni per valorizzarla e tutelarla anche come Chiesa locale. Il nostro presente e futuro sta particolarmente a cuore all’arcivescovo Ivan Maffeis, e prima di lui già al cardinale Gualtiero Bassetti. Questo è per noi un sostegno, unincoraggiamento importante per il prosieguo dell’opera educativa e formativa fondata sugli insegnamenti di don Giovanni Bosco”.

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Studenti all'opera sui banconi all'interno di un'aula del Centro di formazione

“Salesiani per il lavoro”. Più che uno slogan, è la sintesi dell’opera dei Centri di formazione professionale (Cfp) salesiani, i cui primi bagliori risalgono a quando don Bosco, nel recarsi nei luoghi di lavoro di Torino e dintorni, vedeva all’opera tanti ragazzi, spesso nella miseria più estrema. Appartenevano a famiglie poverissime, in buona parte disadattati, orfani...  Lavoravano in condizioni disumane, senza protezioni e senza orari, analfabeti che parlavano solo il dialetto d’origine, sbandati che spesso finivano in carcere. Quello che accade anche oggi a giovani con gravi disagi.

L'avvio dei primi laboratori dei Salesiani

Da quei contesti di degrado sociale, don Bosco trovò l’ispirazione per redigere il primo contratto (1852) con datori di lavoro illuminati, stabilendo una paga più equa alla prestazione, l’orario, il giorno di riposo, ecc., ma anche creando opportunità di apprendistato. I Salesiani avviarono i primi laboratori per approfondire un mestiere in comunità in stile di famiglia. Uno stile che ancora oggi è alla base degli odierni Cfp presenti nella gran parte dei 136 Paesi dei cinque Continenti dove i Salesiani operano con proprie missioni, dalle scuole agli oratori, ai Cfp.

Centri di formazione professionale salesiani in Umbria

In Umbria i Cfp hanno tre sedi: Perugia, Foligno e Marsciano, per complessivi 350 allievi. Ai ragazzi ora i Salesiani propongono un pellegrinaggio a Torino dal 25 al 27 ottobre, nei luoghi in cui visse don Bosco e dove sorsero i primi Cfp.

Ma cosa sono i Centri di formazione professionale salesiani?

Lo chiediamo al direttore dell’istituto “Don Bosco” di Perugia, don Claudio Tuveri, delegato Cnos-Fap Umbria per i rapporti istituzionali, e al direttore generale del Cnos-Fap Umbria, ente gestore dei Cfp, Federico Massinelli.

“Innanzitutto – precisa don Claudio Tuveri – i nostri Cfp concretizzano i valori del binomio integrazione/inclusione. Un ampio progetto che è alla base del pensiero di don Bosco, oltre a creare per tanti giovani concrete opportunità di lavoro dignitoso e specializzato grazie a corsi altamente professionali. I ragazzi vengono educati a crescere per essere cittadini di domani. Chi completa i Cfp ricorda il momento del ‘buongiorno’, una riflessione quotidiana sulla vita, sui valori umani e cristiani del mondo del lavoro attraverso le testimonianze di docenti e formatori. Un progetto che ci dà la possibilità di interagire con le famiglie degli allievi. I Centri sono un esempio di integrazione/ inclusione, perché tanti allievi sono italiani di seconda generazione, di culture e religioni diverse. Ogni anno, a maggio, si preparano alla giornata interreligiosa a cui partecipa l’arcivescovo. Il prossimo anno li coinvolgeremo per la festa di Maria Ausiliatrice”.

I Cfp preparano i giovani in quali settori produttivi, e quante possibilità hanno poi di trovare lavoro?

“Purtroppo è l’offerta che supera la domanda – commenta il direttore Federico Massinelli –, cioè le richieste di manodopera da parte delle aziende sono molto superiori al numero dei qualificati che escono dai nostri Cfp. Questo è in linea con il dato nazionale, rilevato in ciascuno dei sei settori professionali che attualmente siamo in grado di offrire nelle nostre sedi in Umbria con corsi di formazione in meccanica industriale, meccanica d’auto, elettrico, termo-idraulica, ristorazione, benessereacconciature. I corsi sono di durata quadriennale, con qualifica al terzo anno, mentre al quarto conseguono il diploma professionale. Chi vuole ha la possibilità di conseguire la maturità frequentando l’ultimo anno delle scuole superiori che riconoscono il percorso svolto, perché i quadriennali rientrano nel Sistema di istruzione”.

Sta parlando della Iefp, Istruzione e formazione professionale?

“Esattamente – risponde Massinelli –, perché, oltre a qualificare professionalmente un ragazzo o una ragazza immediatamente spendibile nel mercato del lavoro, permette agli allievi di assolvere all’obbligo scolastico in attuazione della legge 30/2020, con l’allineamento all’Istruzione e formazione professionale, la Iefp. Questo ha determinato negli ultimi anni la richiesta di un gran numero di famiglie di inserire i propri figli nei nostri Cfp, ma purtroppo per gli stessi corsi e gli spazi dedicati abbiamo dovuto quest’anno non ammettere una cinquantina di domande (al primo anno) ma solo 112. La selezione è limitata alla data di presentazione della domanda; i non ammessi hanno dovuto intraprendere altre strade”.

Quindi i Cfp vivono anche delle criticità…

“Siamo alle prese con la burocrazia – commenta don Tuveri – che, a volte, ostacola la crescita delle nostre proposte formative. Criticità si registrano nella tempistica, troppo lunga, con cui ci vengono erogati i finanziamenti pubblici. Il Cnos-Fap punta sul personale docente e formativo stabile per poter offrire una formazione di qualità nell’aderire al contratto nazionale della formazione professionale”.

E la Chiesa particolare fa sentire la sua vicinanza a quest’opera formativa?

“La comunità diocesana – sottolinea don Tuveri – è da sempre attenta, interessata alla nostra opera, educativa prima ancora che formativa. Non sono mancate negli anni le occasioni per valorizzarla e tutelarla anche come Chiesa locale. Il nostro presente e futuro sta particolarmente a cuore all’arcivescovo Ivan Maffeis, e prima di lui già al cardinale Gualtiero Bassetti. Questo è per noi un sostegno, unincoraggiamento importante per il prosieguo dell’opera educativa e formativa fondata sugli insegnamenti di don Giovanni Bosco”.

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G7 inclusione e disabilità: adottata la “Carta di Solfagnano” https://www.lavoce.it/g7-inclusione-e-disabilita-adottata-la-carta-di-solfagnano/ https://www.lavoce.it/g7-inclusione-e-disabilita-adottata-la-carta-di-solfagnano/#respond Thu, 17 Oct 2024 16:29:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78062 La piazza Inferiore della Basilica di Assisi con le persone sedute sulle sedie davanti al palco, veduta dall'alto

Le otto priorità della Carta di Solfagnano

“Inclusione come tema prioritario nell’agenda politica di tutti i Paesi”; “Accesso e accessibilità” con l’impegno a “rimuovere le barriere e garantire che le persone con disabilità abbiano pari accesso a tutti gli aspetti della vita quotidiana”; “Vita autonoma e indipendente”; “Valorizzazione dei talenti e inclusione lavorativa”; “Promozione delle nuove tecnologie”; partecipazione agli “Sport e alle “Dimensioni ricreative e culturali della vita”; “Dignità della vita” e “Prevenzione e gestione delle emergenze o situazioni post-emergenziale, legate anche alle crisi climatiche, ai conflitti armati e alle crisi umanitarie”. Sono le 8 priorità che emergono nella “Carta di Solfagnano”, che è stata adottata al termine del G7 Inclusione e Disabilità, che si è concluso ad Assisi e nella vicina Solfagnano.

Il documento sintetizza gli impegni concreti presi dai ministri partecipanti

Si tratta di un corposo documento che partendo dal presupposto del “Diritto di tutti alla piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella vita civile, sociale, economica, culturale e politica dei nostri Paesi”, sintetizza gli impegni concreti presi dai ministri e dai Paesi partecipanti al G7, ispirati dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. “In occasione della nostra riunione ministeriale a Solfagnano, che ha visto per la prima volta i ministri dei membri del G7 riunirsi per affrontare le attuali sfide del nostro tempo relative ai diritti e all’inclusione delle persone con disabilità – si legge nel testo -, abbiamo identificato i seguenti temi come prioritari”, per “garantire una piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella vita civile, sociale, economica, culturale e politica per tutte le persone con disabilità”.

L'impegno dei firmatari

“Il nostro impegno – sottolineano i firmatari del testo – è orientato al raggiungimento e al mantenimento di un radicale cambiamento di prospettiva che mira a eliminare le barriere causate dalla società e a mettere le persone con disabilità al centro delle politiche di inclusione per massimizzare l’autonomia, l’indipendenza e sviluppare i talenti e le competenze in modo che tutti gli individui siano abilitati e supportati nel realizzare le proprie aspirazioni e desideri”. E nelle conclusioni, c’è l’impegno a tradurre “in azioni concrete” le priorità della “Carta di Solfagnano”, consapevoli che “non esauriscano tutte le questioni relative alla vita quotidiana delle persone con disabilità”. Da qui l’impegno a “continuare la discussione” nei prossimi incontri che si terranno sotto le presidenze del G7.]]>
La piazza Inferiore della Basilica di Assisi con le persone sedute sulle sedie davanti al palco, veduta dall'alto

Le otto priorità della Carta di Solfagnano

“Inclusione come tema prioritario nell’agenda politica di tutti i Paesi”; “Accesso e accessibilità” con l’impegno a “rimuovere le barriere e garantire che le persone con disabilità abbiano pari accesso a tutti gli aspetti della vita quotidiana”; “Vita autonoma e indipendente”; “Valorizzazione dei talenti e inclusione lavorativa”; “Promozione delle nuove tecnologie”; partecipazione agli “Sport e alle “Dimensioni ricreative e culturali della vita”; “Dignità della vita” e “Prevenzione e gestione delle emergenze o situazioni post-emergenziale, legate anche alle crisi climatiche, ai conflitti armati e alle crisi umanitarie”. Sono le 8 priorità che emergono nella “Carta di Solfagnano”, che è stata adottata al termine del G7 Inclusione e Disabilità, che si è concluso ad Assisi e nella vicina Solfagnano.

Il documento sintetizza gli impegni concreti presi dai ministri partecipanti

Si tratta di un corposo documento che partendo dal presupposto del “Diritto di tutti alla piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella vita civile, sociale, economica, culturale e politica dei nostri Paesi”, sintetizza gli impegni concreti presi dai ministri e dai Paesi partecipanti al G7, ispirati dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. “In occasione della nostra riunione ministeriale a Solfagnano, che ha visto per la prima volta i ministri dei membri del G7 riunirsi per affrontare le attuali sfide del nostro tempo relative ai diritti e all’inclusione delle persone con disabilità – si legge nel testo -, abbiamo identificato i seguenti temi come prioritari”, per “garantire una piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella vita civile, sociale, economica, culturale e politica per tutte le persone con disabilità”.

L'impegno dei firmatari

“Il nostro impegno – sottolineano i firmatari del testo – è orientato al raggiungimento e al mantenimento di un radicale cambiamento di prospettiva che mira a eliminare le barriere causate dalla società e a mettere le persone con disabilità al centro delle politiche di inclusione per massimizzare l’autonomia, l’indipendenza e sviluppare i talenti e le competenze in modo che tutti gli individui siano abilitati e supportati nel realizzare le proprie aspirazioni e desideri”. E nelle conclusioni, c’è l’impegno a tradurre “in azioni concrete” le priorità della “Carta di Solfagnano”, consapevoli che “non esauriscano tutte le questioni relative alla vita quotidiana delle persone con disabilità”. Da qui l’impegno a “continuare la discussione” nei prossimi incontri che si terranno sotto le presidenze del G7.]]>
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G7 inclusione e disabilità. Di Maolo: ‘segnale di un cambio di passo’ https://www.lavoce.it/g7-inclusione-e-disabilita-di-maolo-segnale-di-un-cambio-di-passo/ https://www.lavoce.it/g7-inclusione-e-disabilita-di-maolo-segnale-di-un-cambio-di-passo/#respond Thu, 17 Oct 2024 15:59:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78028

Per la presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, Francesca Di Maolo, il G7 assisano (svoltosi dal 14-16 ottobre tra Assisi e Solfagnano ndr) in quanto “forum internazionale che riunisce i ministri di sette delle principali economie avanzate del mondo, dedicato ai temi della disabilità e dell’inclusione, è il segnale di un cambio di passo. Non ci attendiamo soluzioni, il giorno dopo, di tutti i problemi; ma questo G7 costituisce certamente l’avvio di un processo. Il fatto che per la prima volta le grandi economie del mondo mettano a tema l’inclusione e la disabilità dimostra la consapevolezza che un autentico sviluppo, integrale e sostenibile, si può realizzare solo garantendo la partecipazione di tutti alla vita sociale, politica ed economica di un Paese. Insomma, che occorre maturare logiche inclusive in ogni ambito”.

Economy of Francesco, al Serafico gettato il seme dell'economia inclusiva

Il pensiero va quindi a due anni fa, 24 settembre 2022, quando Assisi ha ospitato The Economy of Francesco e il Serafico è stato la sede del Comitato. “Molti dei nostri ragazzi – ricorda Di Maolo – già da allora dicevano: pensa se un giorno potessimo incontrare i Grandi della Terra e parlare con loro…”. Dei 12 villaggi di quell’evento, uno, ospitato al Serafico, era dedicato a disabilità, disuguaglianze, inclusione: “Sapere che a distanza di due anni, proprio qui dove è stato gettato quel seme dell’economia inclusiva di cui parla Francesco, questo sia divenuto tema dell’agenda anche dei grandi, ci emoziona”.

"Servono movimenti verticali e un'ondata orizzontale"

L’inclusione non si può ottenere solo con l’abbattimento di barriere architettoniche e l’elargizione di sussidi; servono “movimenti verticali e un’ondata orizzontale”. I primi – spiega – sono “le politiche degli Stati, le strategie per contrastare le discriminazioni e garantire a tutti il diritto alla piena partecipazione civile, sociale e politica alla vita quotidiana”. Poi “c’è bisogno di un’ondata orizzontale, ossia un movimento di comunità e di prossimità finalizzato a creare condizioni che consentano di realizzarsi concretamente in quanto esseri umani, nonostante i limiti, in tutte le dimensioni dell’esistenza”. E non solo nelle “macro-aree: educazione; salute, intesa anche come cura e riabilitazione; lavoro”, ma anche in riferimento agli “altri diritti fondamentali, dallo sport alla cultura”.

Al Serafico “Accogliamo" uno degli eventi collaterali

Nella giornata di accoglienza delle delegazioni ministeriali, il Serafico ha ospitato “Accogliamo”, uno degli eventi collaterali del G7, trasformandosi in un laboratorio di esperienze collettive aperte al pubblico, all’insegna dell’inclusione e della partecipazione attiva. In programma attività sportive e artistiche, coinvolgendo ragazzi con disabilità e non, artisti, sportivi e associazioni del territorio. Anzitutto la mototerapia con Vanni Oddera, uno dei massimi esponenti del freestyle motocross al mondo, che da quasi vent’anni fa sperimentare l’emozione della velocità e la libertà della moto a persone fragili.

Ad oggi sono oltre 60 mila i ragazzi con disabilità, i bimbi ospedalizzati e le persone con varie forme di autismo che hanno potuto condividere questa esperienza migliorando la propria qualità di vita. Poi il baskin, grazie alla collaborazione con Eisi (Ente italiano sport inclusivi), pensato per permettere alle persone, con disabilità e non, di giocare nella stessa squadra adattando le regole della pallacanestro tradizionale.

Giovanna P. Traversa   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78048,78049,78050,78051,78052,78053,78054,78055,78056,78057,78058,78059"]]]>

Per la presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, Francesca Di Maolo, il G7 assisano (svoltosi dal 14-16 ottobre tra Assisi e Solfagnano ndr) in quanto “forum internazionale che riunisce i ministri di sette delle principali economie avanzate del mondo, dedicato ai temi della disabilità e dell’inclusione, è il segnale di un cambio di passo. Non ci attendiamo soluzioni, il giorno dopo, di tutti i problemi; ma questo G7 costituisce certamente l’avvio di un processo. Il fatto che per la prima volta le grandi economie del mondo mettano a tema l’inclusione e la disabilità dimostra la consapevolezza che un autentico sviluppo, integrale e sostenibile, si può realizzare solo garantendo la partecipazione di tutti alla vita sociale, politica ed economica di un Paese. Insomma, che occorre maturare logiche inclusive in ogni ambito”.

Economy of Francesco, al Serafico gettato il seme dell'economia inclusiva

Il pensiero va quindi a due anni fa, 24 settembre 2022, quando Assisi ha ospitato The Economy of Francesco e il Serafico è stato la sede del Comitato. “Molti dei nostri ragazzi – ricorda Di Maolo – già da allora dicevano: pensa se un giorno potessimo incontrare i Grandi della Terra e parlare con loro…”. Dei 12 villaggi di quell’evento, uno, ospitato al Serafico, era dedicato a disabilità, disuguaglianze, inclusione: “Sapere che a distanza di due anni, proprio qui dove è stato gettato quel seme dell’economia inclusiva di cui parla Francesco, questo sia divenuto tema dell’agenda anche dei grandi, ci emoziona”.

"Servono movimenti verticali e un'ondata orizzontale"

L’inclusione non si può ottenere solo con l’abbattimento di barriere architettoniche e l’elargizione di sussidi; servono “movimenti verticali e un’ondata orizzontale”. I primi – spiega – sono “le politiche degli Stati, le strategie per contrastare le discriminazioni e garantire a tutti il diritto alla piena partecipazione civile, sociale e politica alla vita quotidiana”. Poi “c’è bisogno di un’ondata orizzontale, ossia un movimento di comunità e di prossimità finalizzato a creare condizioni che consentano di realizzarsi concretamente in quanto esseri umani, nonostante i limiti, in tutte le dimensioni dell’esistenza”. E non solo nelle “macro-aree: educazione; salute, intesa anche come cura e riabilitazione; lavoro”, ma anche in riferimento agli “altri diritti fondamentali, dallo sport alla cultura”.

Al Serafico “Accogliamo" uno degli eventi collaterali

Nella giornata di accoglienza delle delegazioni ministeriali, il Serafico ha ospitato “Accogliamo”, uno degli eventi collaterali del G7, trasformandosi in un laboratorio di esperienze collettive aperte al pubblico, all’insegna dell’inclusione e della partecipazione attiva. In programma attività sportive e artistiche, coinvolgendo ragazzi con disabilità e non, artisti, sportivi e associazioni del territorio. Anzitutto la mototerapia con Vanni Oddera, uno dei massimi esponenti del freestyle motocross al mondo, che da quasi vent’anni fa sperimentare l’emozione della velocità e la libertà della moto a persone fragili.

Ad oggi sono oltre 60 mila i ragazzi con disabilità, i bimbi ospedalizzati e le persone con varie forme di autismo che hanno potuto condividere questa esperienza migliorando la propria qualità di vita. Poi il baskin, grazie alla collaborazione con Eisi (Ente italiano sport inclusivi), pensato per permettere alle persone, con disabilità e non, di giocare nella stessa squadra adattando le regole della pallacanestro tradizionale.

Giovanna P. Traversa   [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="78048,78049,78050,78051,78052,78053,78054,78055,78056,78057,78058,78059"]]]>
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Il Nobel e l’incubo atomica https://www.lavoce.it/il-nobel-e-lincubo-atomica/ https://www.lavoce.it/il-nobel-e-lincubo-atomica/#respond Thu, 17 Oct 2024 07:00:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78008

Il premio Nobel per la Pace 2024 è stato assegnato, dall’apposito comitato norvegese, ad una associazione giapponese istituita dai sopravvissuti ai bombardamenti atomici del 1945; e tuttora presente e attiva anche ad opera di altri benemeriti cittadini. Lo scopo dell’organismo premiato è quello di tener viva la memoria di quegli orrori, non per coltivare vendetta ma per promuovere in tutto il mondo il rifiuto totale e irrevocabile delle armi atomiche e nucleari. È facile intuire che il comitato del premio non ha inteso riferirsi ai risultati raggiunti (purtroppo nulli), quanto esprimere un forte richiamo all’opinione pubblica mondiale, in un momento nel quale vari governi hanno minacciato di fare impiego dei loro arsenali nucleari.

Tutti sanno che lo scoppio di una guerra atomica sarebbe la fine dell’umanità, anzi dell’intero pianeta; e non per modo di dire. A questo punto, fra persone di buon senso, ci diciamo: bisognerebbe che in tutto il mondo si vietasse non solo l’impiego, ma anche la semplice predisposizione delle armi nucleari; e magari di tutte le armi da guerra in genere. L’idea sarebbe bellissima; ma perché nessuno fa un passo in questa direzione? Provo a dare una risposta.

Perché non esiste al mondo una autorità sovranazionale che abbia il potere di emanare una decisione di questo tipo con valore vincolante per tutti i governi del mondo; e, di più, che una volta emanata, abbia anche la forza reale di costringere tutti ad applicarla. L’autorità sovranazionale più alta che abbiamo è l’Onu; ma la sua capacità di emanare decisioni vincolanti per i governi è minima, anche se non inesistente. Tuttavia riguardo al conflitto israelo-palestinese qualche risoluzione vincolante via via è stata adottata; ma il governo israeliano non le ha recepite.

Sul fronte fra Israele e Libano è presente da tempo una forza armata dell’Onu – i famosi caschi blu, in questo caso con reparti anche dell’esercito italiano – uno dei rarissimi casi nei quali l’Onu è stata in grado di mettere le sue forze sul terreno, appena l’ombra di quello che ci si aspetterebbe da un’autorità sovranazionale degna di questo nome. Ma in questi giorni l’esercito israeliano ha attaccato i caschi blu sul territorio libanese. Non ha fatto – per ora – danni gravi. Ma è l’ennesima prova di quanto sia lontano il sogno di una pace mondiale garantita solo dalla forza morale.

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Il premio Nobel per la Pace 2024 è stato assegnato, dall’apposito comitato norvegese, ad una associazione giapponese istituita dai sopravvissuti ai bombardamenti atomici del 1945; e tuttora presente e attiva anche ad opera di altri benemeriti cittadini. Lo scopo dell’organismo premiato è quello di tener viva la memoria di quegli orrori, non per coltivare vendetta ma per promuovere in tutto il mondo il rifiuto totale e irrevocabile delle armi atomiche e nucleari. È facile intuire che il comitato del premio non ha inteso riferirsi ai risultati raggiunti (purtroppo nulli), quanto esprimere un forte richiamo all’opinione pubblica mondiale, in un momento nel quale vari governi hanno minacciato di fare impiego dei loro arsenali nucleari.

Tutti sanno che lo scoppio di una guerra atomica sarebbe la fine dell’umanità, anzi dell’intero pianeta; e non per modo di dire. A questo punto, fra persone di buon senso, ci diciamo: bisognerebbe che in tutto il mondo si vietasse non solo l’impiego, ma anche la semplice predisposizione delle armi nucleari; e magari di tutte le armi da guerra in genere. L’idea sarebbe bellissima; ma perché nessuno fa un passo in questa direzione? Provo a dare una risposta.

Perché non esiste al mondo una autorità sovranazionale che abbia il potere di emanare una decisione di questo tipo con valore vincolante per tutti i governi del mondo; e, di più, che una volta emanata, abbia anche la forza reale di costringere tutti ad applicarla. L’autorità sovranazionale più alta che abbiamo è l’Onu; ma la sua capacità di emanare decisioni vincolanti per i governi è minima, anche se non inesistente. Tuttavia riguardo al conflitto israelo-palestinese qualche risoluzione vincolante via via è stata adottata; ma il governo israeliano non le ha recepite.

Sul fronte fra Israele e Libano è presente da tempo una forza armata dell’Onu – i famosi caschi blu, in questo caso con reparti anche dell’esercito italiano – uno dei rarissimi casi nei quali l’Onu è stata in grado di mettere le sue forze sul terreno, appena l’ombra di quello che ci si aspetterebbe da un’autorità sovranazionale degna di questo nome. Ma in questi giorni l’esercito israeliano ha attaccato i caschi blu sul territorio libanese. Non ha fatto – per ora – danni gravi. Ma è l’ennesima prova di quanto sia lontano il sogno di una pace mondiale garantita solo dalla forza morale.

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Vi chiedo di superare i confini (mentali) e “entrare” nelle carceri https://www.lavoce.it/vi-chiedo-di-superare-i-confini-mentali-e-entrare-nelle-carceri/ https://www.lavoce.it/vi-chiedo-di-superare-i-confini-mentali-e-entrare-nelle-carceri/#respond Wed, 16 Oct 2024 17:00:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=78002

Pasquale Del Mastro 44 anni, fine pena provvisorio fissato al 2027, il 9 ottobre scorso si è strozzato utilizzando i lacci delle scarpe nel suo letto in una cella dell’infermeria del carcere di San Vittore. Si tratta del 75esimo recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno in Italia. I confini che chiedo ai lettori di attraversare in questo numero, non sono geografici ma mentali perché quel mondo ci riguarda, non è un altro mondo! La qualità del carcere è uno degli indici da considerare per fissare lo stato di una civiltà, una democrazia, una comunità nazionale. A San Vittore sono stipati 1.022 detenuti, a fronte di 447 posti disponibili con un sovraffollamento di oltre il 229%. A sorvegliare vi sono 580 appartenenti al corpo di polizia penitenziaria (120 in meno del minimo necessario), e con una scopertura del 17%. In tutta Italia, le nostre carceri possono ospitare 47mila detenuti ma in realtà sono 62mila. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo fissa in tre metri quadri lo spazio vitale che deve essere garantito ad ogni persona detenuta. Secondo il rapporto della Fondazione Antigone, che si occupa delle condizioni e dei diritti dei carcerati, nelle 88 visite effettuate dall’inizio dell’anno almeno il 27% dei nostri istituti non garantisce tale obbligo. È una questione di dignità. Da riconoscere e da garantire.]]>

Pasquale Del Mastro 44 anni, fine pena provvisorio fissato al 2027, il 9 ottobre scorso si è strozzato utilizzando i lacci delle scarpe nel suo letto in una cella dell’infermeria del carcere di San Vittore. Si tratta del 75esimo recluso che si toglie la vita dall’inizio dell’anno in Italia. I confini che chiedo ai lettori di attraversare in questo numero, non sono geografici ma mentali perché quel mondo ci riguarda, non è un altro mondo! La qualità del carcere è uno degli indici da considerare per fissare lo stato di una civiltà, una democrazia, una comunità nazionale. A San Vittore sono stipati 1.022 detenuti, a fronte di 447 posti disponibili con un sovraffollamento di oltre il 229%. A sorvegliare vi sono 580 appartenenti al corpo di polizia penitenziaria (120 in meno del minimo necessario), e con una scopertura del 17%. In tutta Italia, le nostre carceri possono ospitare 47mila detenuti ma in realtà sono 62mila. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo fissa in tre metri quadri lo spazio vitale che deve essere garantito ad ogni persona detenuta. Secondo il rapporto della Fondazione Antigone, che si occupa delle condizioni e dei diritti dei carcerati, nelle 88 visite effettuate dall’inizio dell’anno almeno il 27% dei nostri istituti non garantisce tale obbligo. È una questione di dignità. Da riconoscere e da garantire.]]>
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Orticelli politici, pure esasperati https://www.lavoce.it/orticelli-politici-pure-esasperati/ https://www.lavoce.it/orticelli-politici-pure-esasperati/#respond Wed, 16 Oct 2024 13:39:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77996

Il nostro sistema politico a volte appare inadeguato ad affrontare le grandi sfide di questo tempo difficile e complesso. È un problema di regole e di procedure – e per questo il dibattito sulle riforme istituzionali merita la massima attenzione da parte dei cittadini –, ma anche e forse soprattutto di comportamenti. Pesa in particolare la tendenza dei partiti a concentrarsi sugli interessi di quelli che vengono considerati gli elettorati di riferimento.

La prima preoccupazione è fidelizzare i propri sostenitori. Compiacere chi sventola la stessa bandiera. Questa tendenza rende la politica angusta, asfittica. Impedisce di guardare oltre i confini del proprio orto ideologico. Intendiamoci, qualcosa di simile accadeva anche prima, si potrebbe perfino dire che in una certa misura sia sempre accaduto. Ma ora si è arrivati al paradosso che, anche quando si individuano e si percorrono strade più ampie e magari più corrispondenti agli interessi generali del Paese, quasi lo si nasconde con le armi della retorica. Come se ci si dovesse vergognare nell’anteporre il bene comune a quello della propria fazione. Ovviamente incorrono assai più facilmente in questa perversione le forze che devono misurarsi con le scelte di governo. La concretezza dei problemi lascia spesso intravedere soluzioni ragionevoli e tuttavia, nelle decisioni operative come nella comunicazione pubblica, il più delle volte finiscono per essere privilegiati i cavalli di battaglia che si presumono graditi ai propri sostenitori tradizionali.

Ma anche sul versante delle opposizioni i totem ideologici sono oggetto di una particolare venerazione. Anche a costo di tagliar fuori fasce di elettorato potenzialmente aperte a valutare proposte responsabili, e compromettere così la possibilità di costruire alternative agli attuali equilibri elettorali e parlamentari. Questa politica delle “curve” – nel senso degli stadi calcistici – è una delle cause dell’astensionismo crescente. Non l’unica, ma una delle più robuste.

Ci sono milioni di cittadini che restano alla finestra perché non si riconoscono nell’estremizzazione delle posizioni che caratterizza l’offerta politica in questa fase. Proprio l’esistenza di quest’area enormemente vasta – nelle europee dello scorso giugno l’affluenza non è arrivata alla metà degli aventi diritto – evidenzia gli spazi che si aprirebbero per una politica diversa da parte degli stessi soggetti attualmente in campo o di altri che eventualmente sopraggiungessero. Invece la polarizzazione esasperata ha finito per invadere anche l’ambito che per definizione dovrebbe essere tenuto al riparo dagli eccessi delle rispettive tifoserie, dalle forzature muscolari e revansciste e dalle reazioni aprioristicamente difensive: quello delle istituzioni e delle relative riforme.

A fronte di questa deriva vale la pena riportare le parole di Roberto Ruffilli che l’autorevole rivista Il Mulino, diretta da Paolo Pombeni, pone in testa all’ultimo numero, largamente dedicato proprio al tema delle riforme: “Bisogna impegnarsi nella sfida per costringere le forze politiche a esplicitare la portata effettiva dell’apertura a una ricerca in comune di ‘compromessi ragionevoli’ sulle priorità e le scadenze che consentano di dare gradualità e organicità al processo riformatore, con la garanzia del blocco di ogni manovra strumentale”. Non si trattava di un innocuo auspicio. Il testo citato è dell’inizio del 1988. Poco dopo, il 16 aprile di quello stesso anno, Ruffilli veniva ucciso dalle Brigate rosse. La mediazione autentica ha sempre molti nemici.

Stefano De Martis
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Il nostro sistema politico a volte appare inadeguato ad affrontare le grandi sfide di questo tempo difficile e complesso. È un problema di regole e di procedure – e per questo il dibattito sulle riforme istituzionali merita la massima attenzione da parte dei cittadini –, ma anche e forse soprattutto di comportamenti. Pesa in particolare la tendenza dei partiti a concentrarsi sugli interessi di quelli che vengono considerati gli elettorati di riferimento.

La prima preoccupazione è fidelizzare i propri sostenitori. Compiacere chi sventola la stessa bandiera. Questa tendenza rende la politica angusta, asfittica. Impedisce di guardare oltre i confini del proprio orto ideologico. Intendiamoci, qualcosa di simile accadeva anche prima, si potrebbe perfino dire che in una certa misura sia sempre accaduto. Ma ora si è arrivati al paradosso che, anche quando si individuano e si percorrono strade più ampie e magari più corrispondenti agli interessi generali del Paese, quasi lo si nasconde con le armi della retorica. Come se ci si dovesse vergognare nell’anteporre il bene comune a quello della propria fazione. Ovviamente incorrono assai più facilmente in questa perversione le forze che devono misurarsi con le scelte di governo. La concretezza dei problemi lascia spesso intravedere soluzioni ragionevoli e tuttavia, nelle decisioni operative come nella comunicazione pubblica, il più delle volte finiscono per essere privilegiati i cavalli di battaglia che si presumono graditi ai propri sostenitori tradizionali.

Ma anche sul versante delle opposizioni i totem ideologici sono oggetto di una particolare venerazione. Anche a costo di tagliar fuori fasce di elettorato potenzialmente aperte a valutare proposte responsabili, e compromettere così la possibilità di costruire alternative agli attuali equilibri elettorali e parlamentari. Questa politica delle “curve” – nel senso degli stadi calcistici – è una delle cause dell’astensionismo crescente. Non l’unica, ma una delle più robuste.

Ci sono milioni di cittadini che restano alla finestra perché non si riconoscono nell’estremizzazione delle posizioni che caratterizza l’offerta politica in questa fase. Proprio l’esistenza di quest’area enormemente vasta – nelle europee dello scorso giugno l’affluenza non è arrivata alla metà degli aventi diritto – evidenzia gli spazi che si aprirebbero per una politica diversa da parte degli stessi soggetti attualmente in campo o di altri che eventualmente sopraggiungessero. Invece la polarizzazione esasperata ha finito per invadere anche l’ambito che per definizione dovrebbe essere tenuto al riparo dagli eccessi delle rispettive tifoserie, dalle forzature muscolari e revansciste e dalle reazioni aprioristicamente difensive: quello delle istituzioni e delle relative riforme.

A fronte di questa deriva vale la pena riportare le parole di Roberto Ruffilli che l’autorevole rivista Il Mulino, diretta da Paolo Pombeni, pone in testa all’ultimo numero, largamente dedicato proprio al tema delle riforme: “Bisogna impegnarsi nella sfida per costringere le forze politiche a esplicitare la portata effettiva dell’apertura a una ricerca in comune di ‘compromessi ragionevoli’ sulle priorità e le scadenze che consentano di dare gradualità e organicità al processo riformatore, con la garanzia del blocco di ogni manovra strumentale”. Non si trattava di un innocuo auspicio. Il testo citato è dell’inizio del 1988. Poco dopo, il 16 aprile di quello stesso anno, Ruffilli veniva ucciso dalle Brigate rosse. La mediazione autentica ha sempre molti nemici.

Stefano De Martis
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Don Claudio Regni, una vita, una vocazione “per gli altri” https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/ https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/#comments Tue, 15 Oct 2024 06:27:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77992

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>
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All’Istituto Serafico una cena con pane e dolci preparati dai ragazzi https://www.lavoce.it/allistituto-serafico-una-cena-con-pane-e-dolci-preparati-dai-ragazzi/ https://www.lavoce.it/allistituto-serafico-una-cena-con-pane-e-dolci-preparati-dai-ragazzi/#respond Mon, 14 Oct 2024 11:11:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77976

Una cena speciale, fatta di sorrisi e gesti di gratitudine, ha illuminato il chiostro del Serafico di Assisi quando i ragazzi con disabilità hanno portato in tavola il pane preparato da loro e servito gli ospiti, in un clima di condivisione che ha saputo toccare i cuori di tutti. Un momento in cui l'Istituto guidato da Francesca Di Maolo ha voluto ringraziare chi, con il proprio impegno e la propria generosità, ha reso possibile il cammino di crescita e di inclusione dei ragazzi.

I ragazzi del Serafico hanno cucinato e servito ai tavoli

L’inclusione, infatti, è stata la vera protagonista della serata: non solo come concetto, ma anche come esperienza concreta, vissuta dai ragazzi attraverso il lavoro in cucina e il servizio ai tavoli. Un’esperienza che ha permesso loro di superare le difficoltà quotidiane e di dimostrare che, con il giusto sostegno, non esistono limiti invalicabili.

... e hanno preparato pane e dolci

Tra i momenti più emozionanti della serata, la preparazione del pane e dei dolci: sotto la guida del mastro panificatore Andrea Pioppi, i ragazzi del Serafico si sono cimentati in un’attività che, più di ogni altra, ha simboleggiato la loro partecipazione attiva e creativa. Pane fragrante e crostate deliziose sono stati serviti agli ospiti, divenendo un simbolo tangibile del percorso di crescita e inclusione che si realizza ogni giorno all’interno della struttura assisana. Servire a tavola, poi, è stato un ulteriore passo nel superamento dei limiti: un gesto che ha permesso ai ragazzi di sentirsi protagonisti, di mettersi alla prova e di ricevere il caloroso ringraziamento degli ospiti, tra cui i propri familiari, gli amici e i sostenitori del Serafico.

Francesca Di Maolo: "una cena per dire grazie"

La serata, infatti, è stata soprattutto un atto di gratitudine verso chi, negli anni, ha reso possibile tutto questo loro contribuendo a far sì che il Serafico rappresenti un luogo di crescita e di speranza per tanti bambini e ragazzi con disabilità. Come ha dichiarato la presidente Francesca Di Maolo, “questa cena è il nostro modo di dire grazie a chi ha reso possibile il cammino del Serafico. L’inclusione infatti non si limita a far partecipare, ma significa abbattere barriere, dare a ciascuno la possibilità di esprimersi e di partecipare alla vita. Grazie al sostegno della comunità, i ragazzi qui possono sentirsi parte integrante del mondo, superano i propri limiti e valorizzano le proprie capacità”.

Il rapporto tra la comunità e i ragazzi del Serafico

Il legame tra gratitudine e inclusione, infatti, al Serafico è molto profondo: da una parte la comunità che supporta e rende possibili i percorsi di crescita, dall’altra i ragazzi che, grazie a questo sostegno, possono vivere esperienze che permettono loro di scoprire nuove capacità e raggiungere traguardi impensabili.

I mostaccioli umbri fatti dai ragazzi donati agli ospiti

A chiusura della serata un dolce gesto ha suggellato questo significato di gratitudine e comunità, leitmotiv di tutto l'evento: agli ospiti sono stati donati i mostaccioli umbri, confezionati dai volontari del Serafico e dalle mamme di alcuni dei ragazzi. Questi dolci, legati alla tradizione francescana, ricordano il legame tra san Francesco e Jacopa dei Settesoli, l’amica a cui, negli ultimi giorni della sua vita, il santo chiese di portare i suoi mostaccioli preferiti: “Portami quei dolci che eri solita farmi a Roma,” le disse. Un simbolo di dolcezza e amicizia, dunque, che ha voluto celebrare, ancora una volta, il legame speciale tra il Serafico e la figura di san Francesco. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="77985,77986,77987,77988"]]]>

Una cena speciale, fatta di sorrisi e gesti di gratitudine, ha illuminato il chiostro del Serafico di Assisi quando i ragazzi con disabilità hanno portato in tavola il pane preparato da loro e servito gli ospiti, in un clima di condivisione che ha saputo toccare i cuori di tutti. Un momento in cui l'Istituto guidato da Francesca Di Maolo ha voluto ringraziare chi, con il proprio impegno e la propria generosità, ha reso possibile il cammino di crescita e di inclusione dei ragazzi.

I ragazzi del Serafico hanno cucinato e servito ai tavoli

L’inclusione, infatti, è stata la vera protagonista della serata: non solo come concetto, ma anche come esperienza concreta, vissuta dai ragazzi attraverso il lavoro in cucina e il servizio ai tavoli. Un’esperienza che ha permesso loro di superare le difficoltà quotidiane e di dimostrare che, con il giusto sostegno, non esistono limiti invalicabili.

... e hanno preparato pane e dolci

Tra i momenti più emozionanti della serata, la preparazione del pane e dei dolci: sotto la guida del mastro panificatore Andrea Pioppi, i ragazzi del Serafico si sono cimentati in un’attività che, più di ogni altra, ha simboleggiato la loro partecipazione attiva e creativa. Pane fragrante e crostate deliziose sono stati serviti agli ospiti, divenendo un simbolo tangibile del percorso di crescita e inclusione che si realizza ogni giorno all’interno della struttura assisana. Servire a tavola, poi, è stato un ulteriore passo nel superamento dei limiti: un gesto che ha permesso ai ragazzi di sentirsi protagonisti, di mettersi alla prova e di ricevere il caloroso ringraziamento degli ospiti, tra cui i propri familiari, gli amici e i sostenitori del Serafico.

Francesca Di Maolo: "una cena per dire grazie"

La serata, infatti, è stata soprattutto un atto di gratitudine verso chi, negli anni, ha reso possibile tutto questo loro contribuendo a far sì che il Serafico rappresenti un luogo di crescita e di speranza per tanti bambini e ragazzi con disabilità. Come ha dichiarato la presidente Francesca Di Maolo, “questa cena è il nostro modo di dire grazie a chi ha reso possibile il cammino del Serafico. L’inclusione infatti non si limita a far partecipare, ma significa abbattere barriere, dare a ciascuno la possibilità di esprimersi e di partecipare alla vita. Grazie al sostegno della comunità, i ragazzi qui possono sentirsi parte integrante del mondo, superano i propri limiti e valorizzano le proprie capacità”.

Il rapporto tra la comunità e i ragazzi del Serafico

Il legame tra gratitudine e inclusione, infatti, al Serafico è molto profondo: da una parte la comunità che supporta e rende possibili i percorsi di crescita, dall’altra i ragazzi che, grazie a questo sostegno, possono vivere esperienze che permettono loro di scoprire nuove capacità e raggiungere traguardi impensabili.

I mostaccioli umbri fatti dai ragazzi donati agli ospiti

A chiusura della serata un dolce gesto ha suggellato questo significato di gratitudine e comunità, leitmotiv di tutto l'evento: agli ospiti sono stati donati i mostaccioli umbri, confezionati dai volontari del Serafico e dalle mamme di alcuni dei ragazzi. Questi dolci, legati alla tradizione francescana, ricordano il legame tra san Francesco e Jacopa dei Settesoli, l’amica a cui, negli ultimi giorni della sua vita, il santo chiese di portare i suoi mostaccioli preferiti: “Portami quei dolci che eri solita farmi a Roma,” le disse. Un simbolo di dolcezza e amicizia, dunque, che ha voluto celebrare, ancora una volta, il legame speciale tra il Serafico e la figura di san Francesco. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="77985,77986,77987,77988"]]]>
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Incontro ecumenico sul Creato. Un modo per salvare il mondo c’è https://www.lavoce.it/incontro-ecumenico-sul-creato-un-modo-per-salvare-il-mondo-ce/ https://www.lavoce.it/incontro-ecumenico-sul-creato-un-modo-per-salvare-il-mondo-ce/#respond Fri, 11 Oct 2024 12:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77938 Al tavolo i sette relatori, il penultimo a destra sta in piedi con un microfono in mano, sullo sfondo uno schermo la scritta con il team del mese del creato “Sperare e agire con la creazione"

“Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! Sal 133(132),1 ”. Quale modo migliore di iniziare se non quello di citare il salmista che ci ricorda che è bello e dolce che i fratelli stiano insieme e, aggiungiamo noi, in grazia di Dio. Con questo spirito e con questo amore fraterno, con questa voglia di amarci reciprocamente e di costruire qualche cosa insieme è stato fatto l’incontro di martedì 1° ottobre ad Olmo su “Ecumenismo e Tempo della Creazione”. Ci siamo incontrati con diverse denominazioni cristiane per parlare insieme, in questo Tempo della Creazione, di quello che può significare per tutti noi il passo di Rm 8, 19-25.

Il tema del mese del Creato

Abbiamo subito trovato un terreno fertile di dialogo e di confronto perché “sperare e agire con la creazione”, tema di tutto questo mese del Creato, non è un argomento che può essere affrontato singolarmente, bensì un tema che avvolge la nostra stessa vita e la sopravvivenza di un intero mondo così come ci è stato consegnato e come noi, con la consapevolezza di aver ricevuto un dono da custodire, dobbiamo essere pronti a consegnarlo alle generazioni future.

Ciascuno è chiamato ad operare per il bene comune

In questo incontro, con le domande poste dal diacono Stefano Tenda, che ha fatto da moderatore, si sono susseguiti gli interventi dei fratelli che hanno partecipato e che hanno preso la parola a nome delle rispettive comunità. Il saluto introduttivo è stato portato dal vicario generale della diocesi don Simone Sorbaioli che ci ha esortato a prendere in mano le nostre responsabilità di battezzati quali custodi e amministratori di questo bene prezioso che è la nostra casa comune, per cui tutti e ciascuno, siamo chiamati ad operare affinché le generazioni che ci succederanno possano trovare un posto ameno dove vivere e non una landa desolata su cui piangere.

Uso consapevole delle risorse umane

Padre Petru, parroco della Chiesa Ortodossa Romena di Perugia, ci ha esortato a vivere come “esseri umani” e non come “averi umani”, cristiani cioè che si conformano al mondo e bramano potere e successo quando dovremmo invece riflettere sulla nostra capacità di distruzione che si può spingere fino alla autodistruzione. I cristiani non devono mirare al possesso, semmai all’uso consapevoli di tutte le risorse che ci sono state messe a disposizione per un fine di benessere, non solo della generazione attuale, ma di tutte le generazioni future.

Il mondo, la nostra casa, ha bisogno di noi

Antonella Violi presidente del consiglio della Chiesa Valdese di Perugia ci ha esortato a fare come il figliol prodigo che ritorna alla casa del Padre con la certezza di non essere degno di essere chiamato ancora figlio e scopre invece l’amore misericordioso di un padre che non si è dimenticato di lui ma, anzi, lo accoglie nella sua casa e gli ridona quella dignità che il figlio pensava di aver perduto definitivamente; è tornato a casa sua, a quella casa che deve difendere e se possibile arricchire perché questa casa, che per noi è il mondo che ci circonda, ha bisogno di noi, di ciascuno di noi per poterla rendere più bella e più accogliente.

Custodi responsabili della vita che è grazia di Dio

Ha parlato poi Andrea Ferrari, pastore della Chiesa Riformata di Perugia, ricordandoci che l’uomo è l’apice della Creazione. Questo comporta da un lato la sua centralità, ciascuno di noi è chiamato a pensare al prossimo con un sentimento di amore particolare, quali fratelli creati ad immagine e somiglianza del Padre e in quanto tali suoi figli prediletti. Dall’altro lato, il dovere, appartenendo a questa famiglia, di comportarci come custodi responsabili di quel dono immenso della vita che è grazia di Dio.

Vivere una vita rispettosa del mondo che ci circonda

Calogero Furnari, pastore emerito della Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno, ci ha esortati a vivere una vita semplice, diremmo quasi frugale, al fine di evitare che i nostri comportamenti possano essere dannosi per il nostro tempo e per i beni che ci sono stati affidati. A questo proposito ci ha parlato di Newstart, acronimo di quello che è un modus vivendi che il cristiano si può imporre col proposito di condurre una vita non solo sana, ma rispettosa del mondo che ci circonda con l’intento di proteggerlo da mali peggiori.

Un modo per salvare il mondo c'è

Ci siamo lasciati con una specie di motto: i cristiani non devono avere bisogno di azioni eclatanti per dimostrare che hanno a cuore i temi della tutela del creato, devono solo lavorare alacremente ogni giorno per far vedere al mondo che un modo per salvarlo, questo mondo, c’è.

Non c’è posto per gli ecoterroristi semmai dobbiamo tutti diventare “ ecosanti ”, come ci vuole il Signore, santi come lui ci insegna e eco perché questo mondo ci è stato dato per custodirlo e proteggerlo da ogni minaccia, compresa quella che noi stessi le portiamo.

Roberto Faraghini Direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso

L’incontro ecumenico del “Mese del creato”

“Ecumenismo e Tempo della Creazione” era il tema dell’incontro che si è tenuto martedì 1° ottobre presso la parrocchia di Olmo. L’incontro era inserito nel calendario degli eventi organizzati dal Circolo “Laudato Si’” di Perugia per il “Tempo della Creazione 2024”. La serata è stata organizzata dal “Circolo Laudato Sì di Perugia”, in stretta collaborazione con l’ufficio diocesano per “l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso”. Tra i presenti anche Marina Zola, delegata Ceu per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, un rappresentate dei Francescani dell’Atonement, rappresentanze del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), dell’Azione Cattolica e del Rinnovamento nello Spirito Santo.

 
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Al tavolo i sette relatori, il penultimo a destra sta in piedi con un microfono in mano, sullo sfondo uno schermo la scritta con il team del mese del creato “Sperare e agire con la creazione"

“Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! Sal 133(132),1 ”. Quale modo migliore di iniziare se non quello di citare il salmista che ci ricorda che è bello e dolce che i fratelli stiano insieme e, aggiungiamo noi, in grazia di Dio. Con questo spirito e con questo amore fraterno, con questa voglia di amarci reciprocamente e di costruire qualche cosa insieme è stato fatto l’incontro di martedì 1° ottobre ad Olmo su “Ecumenismo e Tempo della Creazione”. Ci siamo incontrati con diverse denominazioni cristiane per parlare insieme, in questo Tempo della Creazione, di quello che può significare per tutti noi il passo di Rm 8, 19-25.

Il tema del mese del Creato

Abbiamo subito trovato un terreno fertile di dialogo e di confronto perché “sperare e agire con la creazione”, tema di tutto questo mese del Creato, non è un argomento che può essere affrontato singolarmente, bensì un tema che avvolge la nostra stessa vita e la sopravvivenza di un intero mondo così come ci è stato consegnato e come noi, con la consapevolezza di aver ricevuto un dono da custodire, dobbiamo essere pronti a consegnarlo alle generazioni future.

Ciascuno è chiamato ad operare per il bene comune

In questo incontro, con le domande poste dal diacono Stefano Tenda, che ha fatto da moderatore, si sono susseguiti gli interventi dei fratelli che hanno partecipato e che hanno preso la parola a nome delle rispettive comunità. Il saluto introduttivo è stato portato dal vicario generale della diocesi don Simone Sorbaioli che ci ha esortato a prendere in mano le nostre responsabilità di battezzati quali custodi e amministratori di questo bene prezioso che è la nostra casa comune, per cui tutti e ciascuno, siamo chiamati ad operare affinché le generazioni che ci succederanno possano trovare un posto ameno dove vivere e non una landa desolata su cui piangere.

Uso consapevole delle risorse umane

Padre Petru, parroco della Chiesa Ortodossa Romena di Perugia, ci ha esortato a vivere come “esseri umani” e non come “averi umani”, cristiani cioè che si conformano al mondo e bramano potere e successo quando dovremmo invece riflettere sulla nostra capacità di distruzione che si può spingere fino alla autodistruzione. I cristiani non devono mirare al possesso, semmai all’uso consapevoli di tutte le risorse che ci sono state messe a disposizione per un fine di benessere, non solo della generazione attuale, ma di tutte le generazioni future.

Il mondo, la nostra casa, ha bisogno di noi

Antonella Violi presidente del consiglio della Chiesa Valdese di Perugia ci ha esortato a fare come il figliol prodigo che ritorna alla casa del Padre con la certezza di non essere degno di essere chiamato ancora figlio e scopre invece l’amore misericordioso di un padre che non si è dimenticato di lui ma, anzi, lo accoglie nella sua casa e gli ridona quella dignità che il figlio pensava di aver perduto definitivamente; è tornato a casa sua, a quella casa che deve difendere e se possibile arricchire perché questa casa, che per noi è il mondo che ci circonda, ha bisogno di noi, di ciascuno di noi per poterla rendere più bella e più accogliente.

Custodi responsabili della vita che è grazia di Dio

Ha parlato poi Andrea Ferrari, pastore della Chiesa Riformata di Perugia, ricordandoci che l’uomo è l’apice della Creazione. Questo comporta da un lato la sua centralità, ciascuno di noi è chiamato a pensare al prossimo con un sentimento di amore particolare, quali fratelli creati ad immagine e somiglianza del Padre e in quanto tali suoi figli prediletti. Dall’altro lato, il dovere, appartenendo a questa famiglia, di comportarci come custodi responsabili di quel dono immenso della vita che è grazia di Dio.

Vivere una vita rispettosa del mondo che ci circonda

Calogero Furnari, pastore emerito della Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno, ci ha esortati a vivere una vita semplice, diremmo quasi frugale, al fine di evitare che i nostri comportamenti possano essere dannosi per il nostro tempo e per i beni che ci sono stati affidati. A questo proposito ci ha parlato di Newstart, acronimo di quello che è un modus vivendi che il cristiano si può imporre col proposito di condurre una vita non solo sana, ma rispettosa del mondo che ci circonda con l’intento di proteggerlo da mali peggiori.

Un modo per salvare il mondo c'è

Ci siamo lasciati con una specie di motto: i cristiani non devono avere bisogno di azioni eclatanti per dimostrare che hanno a cuore i temi della tutela del creato, devono solo lavorare alacremente ogni giorno per far vedere al mondo che un modo per salvarlo, questo mondo, c’è.

Non c’è posto per gli ecoterroristi semmai dobbiamo tutti diventare “ ecosanti ”, come ci vuole il Signore, santi come lui ci insegna e eco perché questo mondo ci è stato dato per custodirlo e proteggerlo da ogni minaccia, compresa quella che noi stessi le portiamo.

Roberto Faraghini Direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso

L’incontro ecumenico del “Mese del creato”

“Ecumenismo e Tempo della Creazione” era il tema dell’incontro che si è tenuto martedì 1° ottobre presso la parrocchia di Olmo. L’incontro era inserito nel calendario degli eventi organizzati dal Circolo “Laudato Si’” di Perugia per il “Tempo della Creazione 2024”. La serata è stata organizzata dal “Circolo Laudato Sì di Perugia”, in stretta collaborazione con l’ufficio diocesano per “l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso”. Tra i presenti anche Marina Zola, delegata Ceu per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, un rappresentate dei Francescani dell’Atonement, rappresentanze del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), dell’Azione Cattolica e del Rinnovamento nello Spirito Santo.

 
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Assisi. Memoria liturgica di Carlo Acutis, quattro giorni di iniziative https://www.lavoce.it/assisi-memoria-liturgica-di-carlo-acutis-quattro-giorni-di-iniziative/ https://www.lavoce.it/assisi-memoria-liturgica-di-carlo-acutis-quattro-giorni-di-iniziative/#respond Thu, 10 Oct 2024 16:14:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77951

Si è aperta giovedì 10 ottobre nella Sala della spogliazione del Vescovado di Assisi, con una riflessione sul disagio giovanile e sulle loro speranze, la quattro giorni di iniziative in occasione della memoria liturgica del beato Carlo Acutis che viene celebrata il 12 ottobre, grazie al convegno “Frà(i) giovani, tra disagio e speranze”.

I partecipanti al convegno di apertura sul tema dell'adolescenza

Al convegno sono intervenuti il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino; Laura Pizziconi, psicologa-psicoterapeuta; padre Mirko Mazzocato, responsabile del Servizio giovani dei frati minori di Umbria e Sardegna e don Antonio Coluccia, fondatore dell’Opera San Giustino di Roma, in prima linea a Roma contro lo spaccio e la criminalità. Tanti i partecipanti, tra cui i giovani studenti dell’Istituto alberghiero di Assisi.

Mirko Mazzocato

Mirko Mazzocato ha ricordato la “positività” del termine “fratello: significa che i giovani hanno voglia di stare insieme, la solitudine rivela il bisogno e il desiderio di fraternità con Dio. Oggi i giovani sono spesso appiattiti sul ‘qui e ora’ e invece bisogna ascoltare chi ha senso di empatia e le loro speranze”.

Don Antonio Coluccia

A seguire l’intervento di don Antonio Coluccia, che ha sottolineato come “le periferie sono un tema di cui parlano tutti, dal governo alla Chiesa: nelle piazze di spaccio, un luogo dove la vita non viene rispettata, dove le persone sono escluse perché vivono in solitudine, io cerco di testimoniare Gesù grazie a quelli che chiamo presidi pastorali. Oggi le persone hanno tutto ma mancano loro dei motivatori, come furono Francesco e Carlo. A questi giovani qui presenti vorrei dire che la droga è il più grande bluff, causa morti anche giovanissimi, e che invece Cristo - che ha testimoniato il valore degli abbracci e della misericordia - fa comprendere il valore della vita: non siete comprabili - l’appello di Coluccia, ricordando anche il suo progetto di radio tra Vangelo e Costituzione - innamoratevi della libertà”.

Laura Pizziconi

La psicologa Laura Pizziconi ha messo in luce “le difficoltà dell’adolescenza, e come sia difficile tracciare delle linee tra il disagio e le patologie visti i tanti cambiamenti che il periodo dell’adolescenza porta con sé” e ha invitato “i genitori e gli insegnanti a essere presenti nella vita dei giovani, dialogando con loro”.

Vescovo Domenico Sorrentino

A tirare le fila dei lavori il vescovo Domenico Sorrentino, che ha incentrato il suo discorso sulle figure di Gesù, Francesco e Carlo. Quando a Gesù venne chiesto come vivere per sempre in maniera grande e bella la risposta fu quella di seguire i comandamenti di Dio; Francesco si alleggerì della pesantezza della ricchezza facendo cose bellissime, e infine Carlo Acutis, seppur di famiglia agiata, volle solo i beni essenziali e fu felice anche quando Dio gli disse di spogliarsi della vita, come dimostra un video girato due mesi prima della morte. La felicità - ha concluso il vescovo - passa attraverso la voglia di vita con Gesù, che ha bisogno di voi per rendere il mondo più felice”.

Il programma dei prossimi eventi per la memoria liturgica di Carlo Acutis

Gli eventi organizzati dalla Fondazione Santuario della Spogliazione continueranno venerdì 11 ottobre alle ore 16,30, nella Sala dei Vescovi al Santuario della Spogliazione, dove ci sarà l’inaugurazione della mostra dei miracoli eucaristici, ideata e realizzata dal giovane Carlo Acutis, composta da un’ampia rassegna fotografica, con descrizioni storiche, che racconta alcuni dei principali miracoli eucaristici verificatisi nel corso dei secoli in diversi Paesi del mondo e riconosciuti dalla Chiesa. Infine in serata alle ore 21 nella chiesa di Santa Maria Maggiore - Santuario della Spogliazione ci sarà l’adorazione eucaristica “Tu sei la nostra speranza”, animata dagli studenti Ofm. Cap. Sabato 12 ottobre alle ore 11 la messa sarà celebrata da fr. Simone Calvarese, ministro provinciale della Provincia serafica dei Frati minori Cappuccini; alle ore 18 la messa della memoria liturgica del Beato sarà presieduta da monsignor Domenico Sorrentino. Sempre sabato 12 ottobre alle ore 21 nel Santuario della Spogliazione preghiera e musica con Martín Valverde, musicista molto apprezzato nei Paesi di lingua spagnola e devoto del giovane Beato (ingresso libero fino ad esaurimento posti). [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="77959,77960,77961"]]]>

Si è aperta giovedì 10 ottobre nella Sala della spogliazione del Vescovado di Assisi, con una riflessione sul disagio giovanile e sulle loro speranze, la quattro giorni di iniziative in occasione della memoria liturgica del beato Carlo Acutis che viene celebrata il 12 ottobre, grazie al convegno “Frà(i) giovani, tra disagio e speranze”.

I partecipanti al convegno di apertura sul tema dell'adolescenza

Al convegno sono intervenuti il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino; Laura Pizziconi, psicologa-psicoterapeuta; padre Mirko Mazzocato, responsabile del Servizio giovani dei frati minori di Umbria e Sardegna e don Antonio Coluccia, fondatore dell’Opera San Giustino di Roma, in prima linea a Roma contro lo spaccio e la criminalità. Tanti i partecipanti, tra cui i giovani studenti dell’Istituto alberghiero di Assisi.

Mirko Mazzocato

Mirko Mazzocato ha ricordato la “positività” del termine “fratello: significa che i giovani hanno voglia di stare insieme, la solitudine rivela il bisogno e il desiderio di fraternità con Dio. Oggi i giovani sono spesso appiattiti sul ‘qui e ora’ e invece bisogna ascoltare chi ha senso di empatia e le loro speranze”.

Don Antonio Coluccia

A seguire l’intervento di don Antonio Coluccia, che ha sottolineato come “le periferie sono un tema di cui parlano tutti, dal governo alla Chiesa: nelle piazze di spaccio, un luogo dove la vita non viene rispettata, dove le persone sono escluse perché vivono in solitudine, io cerco di testimoniare Gesù grazie a quelli che chiamo presidi pastorali. Oggi le persone hanno tutto ma mancano loro dei motivatori, come furono Francesco e Carlo. A questi giovani qui presenti vorrei dire che la droga è il più grande bluff, causa morti anche giovanissimi, e che invece Cristo - che ha testimoniato il valore degli abbracci e della misericordia - fa comprendere il valore della vita: non siete comprabili - l’appello di Coluccia, ricordando anche il suo progetto di radio tra Vangelo e Costituzione - innamoratevi della libertà”.

Laura Pizziconi

La psicologa Laura Pizziconi ha messo in luce “le difficoltà dell’adolescenza, e come sia difficile tracciare delle linee tra il disagio e le patologie visti i tanti cambiamenti che il periodo dell’adolescenza porta con sé” e ha invitato “i genitori e gli insegnanti a essere presenti nella vita dei giovani, dialogando con loro”.

Vescovo Domenico Sorrentino

A tirare le fila dei lavori il vescovo Domenico Sorrentino, che ha incentrato il suo discorso sulle figure di Gesù, Francesco e Carlo. Quando a Gesù venne chiesto come vivere per sempre in maniera grande e bella la risposta fu quella di seguire i comandamenti di Dio; Francesco si alleggerì della pesantezza della ricchezza facendo cose bellissime, e infine Carlo Acutis, seppur di famiglia agiata, volle solo i beni essenziali e fu felice anche quando Dio gli disse di spogliarsi della vita, come dimostra un video girato due mesi prima della morte. La felicità - ha concluso il vescovo - passa attraverso la voglia di vita con Gesù, che ha bisogno di voi per rendere il mondo più felice”.

Il programma dei prossimi eventi per la memoria liturgica di Carlo Acutis

Gli eventi organizzati dalla Fondazione Santuario della Spogliazione continueranno venerdì 11 ottobre alle ore 16,30, nella Sala dei Vescovi al Santuario della Spogliazione, dove ci sarà l’inaugurazione della mostra dei miracoli eucaristici, ideata e realizzata dal giovane Carlo Acutis, composta da un’ampia rassegna fotografica, con descrizioni storiche, che racconta alcuni dei principali miracoli eucaristici verificatisi nel corso dei secoli in diversi Paesi del mondo e riconosciuti dalla Chiesa. Infine in serata alle ore 21 nella chiesa di Santa Maria Maggiore - Santuario della Spogliazione ci sarà l’adorazione eucaristica “Tu sei la nostra speranza”, animata dagli studenti Ofm. Cap. Sabato 12 ottobre alle ore 11 la messa sarà celebrata da fr. Simone Calvarese, ministro provinciale della Provincia serafica dei Frati minori Cappuccini; alle ore 18 la messa della memoria liturgica del Beato sarà presieduta da monsignor Domenico Sorrentino. Sempre sabato 12 ottobre alle ore 21 nel Santuario della Spogliazione preghiera e musica con Martín Valverde, musicista molto apprezzato nei Paesi di lingua spagnola e devoto del giovane Beato (ingresso libero fino ad esaurimento posti). [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="77959,77960,77961"]]]>
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Chi lo dice è bugiardo e disonesto https://www.lavoce.it/chi-lo-dice-e-bugiardo-e-disonesto/ https://www.lavoce.it/chi-lo-dice-e-bugiardo-e-disonesto/#respond Thu, 10 Oct 2024 13:52:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77905

In autunno arrivano i primi freddi e le giornate corte, si pensa all’inverno incombente. Fra le tristezze di stagione c’è anche l’attesa della nuova legge finanziaria, quel provvedimento che dovrebbe rimettere un po’ di ordine nei conti dello Stato – risultato che non si raggiunge mai. Qual è il problema? Che lo Stato italiano, si sa, è uno dei più indebitati del mondo, in rapporto al suo prodotto interno lordo. In questo momento il debito pubblico è – arrotondando – di tremila miliardi di euro. Una cifra da capogiro. Ci si può consolare che tutto o quasi questo debito è rappresentato da titoli che li possiede preferisce tenere in cassaforte e rinnovare alla scadenza, anziché chiederne l’incasso (se lo facessero, sarebbe il fallimento). Ma è una magra consolazione, perché gli interessi, invece, bisogna pagarli. Quindi ogni anno, quando si avvicina il momento di fare i preventivi, il ministro delle Finanze comincia ad accennare ai sacrifici che qualcuno dovrà pur fare. Lo ha fatto anche il ministro in carica, Giorgetti; ma i leader della maggioranza lo hanno zittito: quello schieramento politico non può, non deve, parlare di sacrifici. Non è quello che da trenta anni promette “meno tasse per tutti”? Slogan bugiardo e disonesto. Bugiardo, perché la promessa non è stata mantenuta; disonesto, perché è una promessa che nessuno Stato moderno può fare, da quando è entrato nella coscienza collettiva, e nelle aspettative di tutti, il principio che lo Stato deve provvedere ai bisogni primari dei cittadini. Perché la società nel suo insieme funziona meglio – anche dal punto di vista economico e quindi nell’interesse di tutti – se un certo livello di benessere di base è garantito a tutti (si chiama infatti welfare state, stato del benessere). Quindi la sanità, l’istruzione, la viabilità, i trasporti, l’assistenza ai disabili e agli anziani. È bugiardo e disonesto dipingere questo Stato come quello che “mette le mani nelle tasche dei cittadini” perché quello che prende poi lo restituisce in altra forma; per semplificare al massimo, diciamo che non ci sarebbe la folla a fare spese nei centri commerciali, per la gioia degli esercenti, se le famiglie dovessero preoccuparsi di mettere i soldi nel salvadanaio per i giorni in cui si dovranno pagare le medicine e i ricoveri in ospedale. Come insegnavano a quelli che hanno adesso la mia età, quando eravamo bambini.]]>

In autunno arrivano i primi freddi e le giornate corte, si pensa all’inverno incombente. Fra le tristezze di stagione c’è anche l’attesa della nuova legge finanziaria, quel provvedimento che dovrebbe rimettere un po’ di ordine nei conti dello Stato – risultato che non si raggiunge mai. Qual è il problema? Che lo Stato italiano, si sa, è uno dei più indebitati del mondo, in rapporto al suo prodotto interno lordo. In questo momento il debito pubblico è – arrotondando – di tremila miliardi di euro. Una cifra da capogiro. Ci si può consolare che tutto o quasi questo debito è rappresentato da titoli che li possiede preferisce tenere in cassaforte e rinnovare alla scadenza, anziché chiederne l’incasso (se lo facessero, sarebbe il fallimento). Ma è una magra consolazione, perché gli interessi, invece, bisogna pagarli. Quindi ogni anno, quando si avvicina il momento di fare i preventivi, il ministro delle Finanze comincia ad accennare ai sacrifici che qualcuno dovrà pur fare. Lo ha fatto anche il ministro in carica, Giorgetti; ma i leader della maggioranza lo hanno zittito: quello schieramento politico non può, non deve, parlare di sacrifici. Non è quello che da trenta anni promette “meno tasse per tutti”? Slogan bugiardo e disonesto. Bugiardo, perché la promessa non è stata mantenuta; disonesto, perché è una promessa che nessuno Stato moderno può fare, da quando è entrato nella coscienza collettiva, e nelle aspettative di tutti, il principio che lo Stato deve provvedere ai bisogni primari dei cittadini. Perché la società nel suo insieme funziona meglio – anche dal punto di vista economico e quindi nell’interesse di tutti – se un certo livello di benessere di base è garantito a tutti (si chiama infatti welfare state, stato del benessere). Quindi la sanità, l’istruzione, la viabilità, i trasporti, l’assistenza ai disabili e agli anziani. È bugiardo e disonesto dipingere questo Stato come quello che “mette le mani nelle tasche dei cittadini” perché quello che prende poi lo restituisce in altra forma; per semplificare al massimo, diciamo che non ci sarebbe la folla a fare spese nei centri commerciali, per la gioia degli esercenti, se le famiglie dovessero preoccuparsi di mettere i soldi nel salvadanaio per i giorni in cui si dovranno pagare le medicine e i ricoveri in ospedale. Come insegnavano a quelli che hanno adesso la mia età, quando eravamo bambini.]]>
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I “disastri naturali” uccidono. Serve la cura per la casa comune https://www.lavoce.it/i-disastri-naturali-uccidono-serve-la-cura-per-la-casa-comune/ https://www.lavoce.it/i-disastri-naturali-uccidono-serve-la-cura-per-la-casa-comune/#respond Thu, 10 Oct 2024 10:41:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77908

Facciamo bene a raccontare i conflitti in corso che sempre di più assumono i contorni di massacri e carneficine, ma non possiamo per questo dimenticare quell’altra guerra in atto contro l’ambiente che, per questo, continua a presentarci il suo conto. Le piogge monsoniche in Nepal si sono fatte più violente e disastrose che nel passato. Si calcola che siano circa 200 le persone morte a causa delle alluvioni e degli smottamenti provocati dalle piogge torrenziali negli ultimi giorni di settembre. A queste vanno aggiunte altre 194 persone che sono rimaste ferite e 30 dispersi. Migliaia le case distrutte, le infrastrutture danneggiate, gli abitanti che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Negli Usa, in Florida e North Carolina, l’uragano Helene ha fatto la voce grossa e ha provocato 180 vittime secondo il bilancio provvisorio. Era dal 2005 che negli Stati Uniti non si registrava un numero così alto di vittime a causa di un disastro naturale. Secondo gli scienziati il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza e l’intensità̀ di questi fenomeni che continuiamo a definire “naturali” ma che potrebbero trovare una soluzione o un attenuamento se solo cominciassimo sul serio a prenderci cura della nostra casa comune.]]>

Facciamo bene a raccontare i conflitti in corso che sempre di più assumono i contorni di massacri e carneficine, ma non possiamo per questo dimenticare quell’altra guerra in atto contro l’ambiente che, per questo, continua a presentarci il suo conto. Le piogge monsoniche in Nepal si sono fatte più violente e disastrose che nel passato. Si calcola che siano circa 200 le persone morte a causa delle alluvioni e degli smottamenti provocati dalle piogge torrenziali negli ultimi giorni di settembre. A queste vanno aggiunte altre 194 persone che sono rimaste ferite e 30 dispersi. Migliaia le case distrutte, le infrastrutture danneggiate, gli abitanti che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Negli Usa, in Florida e North Carolina, l’uragano Helene ha fatto la voce grossa e ha provocato 180 vittime secondo il bilancio provvisorio. Era dal 2005 che negli Stati Uniti non si registrava un numero così alto di vittime a causa di un disastro naturale. Secondo gli scienziati il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza e l’intensità̀ di questi fenomeni che continuiamo a definire “naturali” ma che potrebbero trovare una soluzione o un attenuamento se solo cominciassimo sul serio a prenderci cura della nostra casa comune.]]>
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Pensionati. Intervista a Luigi Fabiani, segretario della Fnp Cisl Umbria https://www.lavoce.it/pensionati-intervista-a-luigi-fabiani-segretario-della-fnp-cisl-umbria/ https://www.lavoce.it/pensionati-intervista-a-luigi-fabiani-segretario-della-fnp-cisl-umbria/#respond Thu, 10 Oct 2024 10:24:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77918 Luigi Fabiani a mezzo busto sullo sfondo il manifesto della Cisl Umbria

Umbria terra di santi, mancava solo un sindacato che avesse un patrono protettore. E invece, dal 2022 santa Rita è la protettrice della Fnp (Federazione nazionale pensionati) Cisl Umbria, unico caso in Italia di un’organizzazione sindacale che possa vantare una patrona. Proprio nella basilica di Santa Rita a Cascia, il 28 settembre, è stata celebrata una liturgia dedicata. “Santa Rita è l’espressione più pura del cristianesimo – spiega Luigi Fabiani, segretario generale regionale Fnp Cisl –, un punto di riferimento per i laici, in virtù della solidarietà e del bene comune che esprime la sua figura. Una patrona che accomuna, con la sua storia e il suo esempio, cattolici e laici. Per un messaggio quanto mai attuale, e che ha portato oggi Papa Francesco a parlare di Terza guerra mondiale a pezzi”.

Perchè la scelta di santa Rita come patrona

Considerando le origini della Cisl, sindacato cattolico, la scelta non suona così fuori luogo. “Ci riconosciamo nei princìpi cristiani – sottolinea ancora Fabiani –, come la solidarietà, la fratellanza, l’attenzione agli ultimi”. Ma perché la scelta proprio sulla santa dei casi impossibili? “L’idea venne a Ilio Carlini, nostro dirigente sindacale di Terni – racconta – e così nel 2022 a Cascia abbiamo fatto un Consiglio generale con l’ordine del giorno di istituire santa Rita come protettrice della nostra federazione regionale; e dopo due anni siamo ancora qui a ricordarlo”. Una giornata speciale che ha visto riunite circa 300 persone e i segretari nazionali e regionali. Arricchita dalla cerimonia di premiazione di 40 ex dirigenti over 80 e l’ufficializzazione, nero su bianco, del gemellaggio tra la Fnp dell’Umbria e quella delle Marche. Il percorso, si augura il segretario Luigi Fabiani, è che possa concludersi con l’istituzione di santa Rita protettrice nazionale dei pensionati Cisl: “Naturalmente è una decisione che dovrebbe avere il consenso unanime di tutti”.

Il gemellaggio con la Fnp delle Marche

Quanto al gemellaggio con la Fnp delle Marche, Fabiani poi dichiara: “Con questa Regione confinante condividiamo gli stessi problemi. Lo spopolamento dei paesi di montagna, l’invecchiamento, con la conseguente mancanza dei servizi essenziali, come la chiusura degli uffici postali e la desertificazione bancaria. Unendo le forze, facendo rete, magari possiamo affrontare insieme le criticità e trovare una soluzione”.

Qualche numero

La Federazione nazionale pensionati della Cisl Umbria conta circa 35 mila iscritti. L’Umbria, si sa, è una delle Regioni italiane tra le più anziane. Viviamo in un Paese in cui la natalità è ai minimi storici; e tutto questo si ripercuote sui costi sociali. Dati alla mano, gli anziani over 65 nel Bel Paese rappresentano il 24% della popolazione residente, nel 2050 saranno il 34,9%. Tenuto conto che la non autosufficienza è direttamente proporzionale all’invecchiamento, 5,4 milioni di anziani avranno gravi limitazioni.

“Una popolazione – aggiunge Fabiani – che, quindi, richiede un livello di assistenza a cui il Paese, nel suo insieme, non riesce a dare risposte adeguate, con le famiglie che si trovano spesso sole nel gestire una persona non autosufficiente o devono fare ricorso a colf e badanti. In questo contesto si inserisce l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 29 del 2024 su ‘Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane’, che attua la riforma del sistema di assistenza per gli anziani, ottemperando il progetto di riforma inserito tra gli obiettivi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza)”.

Una riforma per tanti non sufficiente – conclude il segretario generale regionale Fnp Cisl –, ma che in realtà rappresenta un passo in avanti dopo trent’anni di stallo, per allineare l’Italia ai principali Stati dell’Unione europea, e che evidenzia una generale presa di coscienza dell’invecchiamento della popolazione del nostro Paese e riconosce il ruolo degli anziani nella società. L’obiettivo complessivo è di promuovere un percorso di riforma per introdurre un sistema organico di interventi in favore degli over 65, da una parte, l’invecchiamento attivo; e dall’altra, l’inclusione sociale, l’assistenza e la cura degli stessi, soprattutto quando sono fragili o non autosufficienti. La strada è ancora lunga, ma è stato gettato un seme”.

Rosaria Parrilla
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Luigi Fabiani a mezzo busto sullo sfondo il manifesto della Cisl Umbria

Umbria terra di santi, mancava solo un sindacato che avesse un patrono protettore. E invece, dal 2022 santa Rita è la protettrice della Fnp (Federazione nazionale pensionati) Cisl Umbria, unico caso in Italia di un’organizzazione sindacale che possa vantare una patrona. Proprio nella basilica di Santa Rita a Cascia, il 28 settembre, è stata celebrata una liturgia dedicata. “Santa Rita è l’espressione più pura del cristianesimo – spiega Luigi Fabiani, segretario generale regionale Fnp Cisl –, un punto di riferimento per i laici, in virtù della solidarietà e del bene comune che esprime la sua figura. Una patrona che accomuna, con la sua storia e il suo esempio, cattolici e laici. Per un messaggio quanto mai attuale, e che ha portato oggi Papa Francesco a parlare di Terza guerra mondiale a pezzi”.

Perchè la scelta di santa Rita come patrona

Considerando le origini della Cisl, sindacato cattolico, la scelta non suona così fuori luogo. “Ci riconosciamo nei princìpi cristiani – sottolinea ancora Fabiani –, come la solidarietà, la fratellanza, l’attenzione agli ultimi”. Ma perché la scelta proprio sulla santa dei casi impossibili? “L’idea venne a Ilio Carlini, nostro dirigente sindacale di Terni – racconta – e così nel 2022 a Cascia abbiamo fatto un Consiglio generale con l’ordine del giorno di istituire santa Rita come protettrice della nostra federazione regionale; e dopo due anni siamo ancora qui a ricordarlo”. Una giornata speciale che ha visto riunite circa 300 persone e i segretari nazionali e regionali. Arricchita dalla cerimonia di premiazione di 40 ex dirigenti over 80 e l’ufficializzazione, nero su bianco, del gemellaggio tra la Fnp dell’Umbria e quella delle Marche. Il percorso, si augura il segretario Luigi Fabiani, è che possa concludersi con l’istituzione di santa Rita protettrice nazionale dei pensionati Cisl: “Naturalmente è una decisione che dovrebbe avere il consenso unanime di tutti”.

Il gemellaggio con la Fnp delle Marche

Quanto al gemellaggio con la Fnp delle Marche, Fabiani poi dichiara: “Con questa Regione confinante condividiamo gli stessi problemi. Lo spopolamento dei paesi di montagna, l’invecchiamento, con la conseguente mancanza dei servizi essenziali, come la chiusura degli uffici postali e la desertificazione bancaria. Unendo le forze, facendo rete, magari possiamo affrontare insieme le criticità e trovare una soluzione”.

Qualche numero

La Federazione nazionale pensionati della Cisl Umbria conta circa 35 mila iscritti. L’Umbria, si sa, è una delle Regioni italiane tra le più anziane. Viviamo in un Paese in cui la natalità è ai minimi storici; e tutto questo si ripercuote sui costi sociali. Dati alla mano, gli anziani over 65 nel Bel Paese rappresentano il 24% della popolazione residente, nel 2050 saranno il 34,9%. Tenuto conto che la non autosufficienza è direttamente proporzionale all’invecchiamento, 5,4 milioni di anziani avranno gravi limitazioni.

“Una popolazione – aggiunge Fabiani – che, quindi, richiede un livello di assistenza a cui il Paese, nel suo insieme, non riesce a dare risposte adeguate, con le famiglie che si trovano spesso sole nel gestire una persona non autosufficiente o devono fare ricorso a colf e badanti. In questo contesto si inserisce l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 29 del 2024 su ‘Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane’, che attua la riforma del sistema di assistenza per gli anziani, ottemperando il progetto di riforma inserito tra gli obiettivi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza)”.

Una riforma per tanti non sufficiente – conclude il segretario generale regionale Fnp Cisl –, ma che in realtà rappresenta un passo in avanti dopo trent’anni di stallo, per allineare l’Italia ai principali Stati dell’Unione europea, e che evidenzia una generale presa di coscienza dell’invecchiamento della popolazione del nostro Paese e riconosce il ruolo degli anziani nella società. L’obiettivo complessivo è di promuovere un percorso di riforma per introdurre un sistema organico di interventi in favore degli over 65, da una parte, l’invecchiamento attivo; e dall’altra, l’inclusione sociale, l’assistenza e la cura degli stessi, soprattutto quando sono fragili o non autosufficienti. La strada è ancora lunga, ma è stato gettato un seme”.

Rosaria Parrilla
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Sporchi interessi dietro i missili https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/ https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/#respond Wed, 09 Oct 2024 17:13:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77901

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
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Giornata della Dislessia, il Serafico propone il “Quaderno DSA” https://www.lavoce.it/giornata-della-dislessia-il-serafico-propone-il-quaderno-dsa/ https://www.lavoce.it/giornata-della-dislessia-il-serafico-propone-il-quaderno-dsa/#respond Mon, 07 Oct 2024 12:00:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77885 Le braccia di un bambino che guarda davanti a sè un foglio con dei disegni, di fronte alla maestra che è di spalle, con un maglia nera, e di cui si vede solo la spalla e il braccio destro e la mano

In occasione della Giornata Internazionale della Dislessia, (8 ottobre) mentre si rinnova l’attenzione sul tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) - in Italia, circa il 3-5% dei bambini in età scolare ne è affetto, spesso senza una diagnosi tempestiva – arriva a supporto delle famiglie e delle scuole, il Quaderno DSA dell’Istituto Serafico di Assisi, un vademecum gratuito (è possibile scaricarlo qui >> https://www.serafico.org/wp-content/uploads/2020/03/Serafico_DSA_A4_impaginato_print.pdf) pieno di consigli pratici per riconoscere precocemente i segnali. Il Serafico, noto per la sua esperienza pluriennale nella diagnosi e nel trattamento dei Dsa, offre la possibilità di ricevere una diagnosi e una certificazione dei Dsa, ma soprattutto offre un percorso di trattamento individuale, un percorso completo che coinvolge famiglie, insegnanti e operatori sanitari, che può essere portato avanti fino alla conclusione della terza media per gli aspetti riabilitativi e fino alla conclusione della scuola superiore per il potenziamento educativo.

L'importanza di una diagnosi precoce di dislessia

L’importanza di una diagnosi tempestiva, riconoscendo presto questi segnali, può fare la differenza per il futuro di un bambino. Secondo il dottor Gianni Lanfaloni, responsabile del Centro per i Dsa del Serafico, “una diagnosi precoce e un intervento mirato possono ridurre notevolmente l’impatto del disturbo sulla vita scolastica e sociale”.

Il servizio del Serafico di Assisi per gli utenti esterni

Tra i servizi per gli utenti esterni, infatti, al Serafico c’è quello per la diagnosi, la certificazione e il trattamento dei Dsa ed è accreditato dalla Regione Umbria per la certificazione valida ai fini scolastici e lavorativi. “Quando parliamo di Dsa – continua Lanfaloni – facciamo riferimento a una serie di disturbi che si distinguono in dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia, che sono diagnosticabili alla fine della seconda e terza elementare; per i piccoli della prima, invece, si può verificare una possibilità di rischio” Ma come può un genitore accorgersi se il proprio figlio ha un disturbo dell’apprendimento? Grazie al “Quaderno DSA” del Serafico è possibile identificare alcuni segnali-chiave che potrebbero far scattare l’allarme e indirizzare verso un intervento precoce.

I segnali chiavi di un disturbo dell'apprendimento

  1. Difficoltà nella lettura fluente. Un bambino con dislessia può avere difficoltà a riconoscere lettere e parole in modo rapido e preciso; gli errori possono includere l’inversione di lettere simili come “m” e “n”, o il mancato riconoscimento di parole comuni.
  2. Lentezza nella decodifica del testo scritto. Se un bambino impiega molto più tempo rispetto ai suoi coetanei per leggere un brano, questo potrebbe essere un segnale di dislessia poiché la lentezza nella lettura spesso si accompagna a una comprensione del testo compromessa
  3. Errori frequenti di ortografia. Nei casi di disortografia, si riscontrano errori ortografici costanti, come confondere suoni simili (“f” e “v”, “b” e “p”) oppure omettere o aggiungere lettere nelle parole (es: “casa” diventa “casae”).
  4. Scrittura disorganizzata o illeggibile. La disgrafia si manifesta con una scrittura poco leggibile, disordinata e lenta; i bambini con disgrafia spesso trovano difficile mantenere le parole sulla linea o separare correttamente le lettere.
  5. Difficoltà nell’apprendimento delle tabelline o dei numeri. Nei bambini con discalculia può emergere una difficoltà a memorizzare le tabelline o a comprendere concetti numerici di base; può risultare complicato anche eseguire semplici operazioni matematiche, come sommare o sottrarre.
  6. Confusione tra simboli e numeri. La discalculia si manifesta anche con l’incapacità di distinguere correttamente simboli numerici, come confondere il 6 con il 9, o l’1 con il 7, creando problemi nell’apprendimento della matematica.
  7. Omissione di lettere o sillabe. Nei bambini dislessici un segnale precoce può essere la tendenza a omettere lettere o intere sillabe durante la lettura o la scrittura. Ad esempio, “prato” diventa “pato” o “fiuto” diventa “futo”.
  8. Difficoltà nell’orientamento spaziale e temporale. Un bambino con dislessia o discalculia può avere problemi a orientarsi nel tempo e nello spazio: difficoltà a seguire l’orario scolastico, a ricordare la sequenza dei giorni della settimana o a leggere l’orologio.
  9. Problemi di attenzione durante la lettura o la scrittura. Spesso i bambini con DSA tendono a distrarsi facilmente durante le attività di letto-scrittura, manifestando una scarsa attenzione e una lentezza nel completare i compiti.
  10. Segnali precoci nello sviluppo del linguaggio. Anche prima dell’inizio della scuola, alcuni bambini manifestano segnali di rischio DSA, come un ritardo nello sviluppo del linguaggio o difficoltà a “giocare” con i suoni delle parole, essenziali per l’apprendimento della lettura.

    Cosa offre il "Quaderno Dsa"

    Il “Quaderno DSA”, rivolto a genitori, educatori e insegnanti, offre strumenti pratici e informazioni cruciali per avviare un percorso di sostegno educativo e il Serafico, con la sua lunga esperienza, non solo offre un supporto clinico, ma anche educativo e psicologico, grazie a un approccio multidisciplinare personalizzato. Per un bambino con DSA un intervento precoce significa non solo migliorare le performance scolastiche, ma anche recuperare fiducia in se stesso e affrontare con serenità il percorso di crescita.
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Le braccia di un bambino che guarda davanti a sè un foglio con dei disegni, di fronte alla maestra che è di spalle, con un maglia nera, e di cui si vede solo la spalla e il braccio destro e la mano

In occasione della Giornata Internazionale della Dislessia, (8 ottobre) mentre si rinnova l’attenzione sul tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) - in Italia, circa il 3-5% dei bambini in età scolare ne è affetto, spesso senza una diagnosi tempestiva – arriva a supporto delle famiglie e delle scuole, il Quaderno DSA dell’Istituto Serafico di Assisi, un vademecum gratuito (è possibile scaricarlo qui >> https://www.serafico.org/wp-content/uploads/2020/03/Serafico_DSA_A4_impaginato_print.pdf) pieno di consigli pratici per riconoscere precocemente i segnali. Il Serafico, noto per la sua esperienza pluriennale nella diagnosi e nel trattamento dei Dsa, offre la possibilità di ricevere una diagnosi e una certificazione dei Dsa, ma soprattutto offre un percorso di trattamento individuale, un percorso completo che coinvolge famiglie, insegnanti e operatori sanitari, che può essere portato avanti fino alla conclusione della terza media per gli aspetti riabilitativi e fino alla conclusione della scuola superiore per il potenziamento educativo.

L'importanza di una diagnosi precoce di dislessia

L’importanza di una diagnosi tempestiva, riconoscendo presto questi segnali, può fare la differenza per il futuro di un bambino. Secondo il dottor Gianni Lanfaloni, responsabile del Centro per i Dsa del Serafico, “una diagnosi precoce e un intervento mirato possono ridurre notevolmente l’impatto del disturbo sulla vita scolastica e sociale”.

Il servizio del Serafico di Assisi per gli utenti esterni

Tra i servizi per gli utenti esterni, infatti, al Serafico c’è quello per la diagnosi, la certificazione e il trattamento dei Dsa ed è accreditato dalla Regione Umbria per la certificazione valida ai fini scolastici e lavorativi. “Quando parliamo di Dsa – continua Lanfaloni – facciamo riferimento a una serie di disturbi che si distinguono in dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia, che sono diagnosticabili alla fine della seconda e terza elementare; per i piccoli della prima, invece, si può verificare una possibilità di rischio” Ma come può un genitore accorgersi se il proprio figlio ha un disturbo dell’apprendimento? Grazie al “Quaderno DSA” del Serafico è possibile identificare alcuni segnali-chiave che potrebbero far scattare l’allarme e indirizzare verso un intervento precoce.

I segnali chiavi di un disturbo dell'apprendimento

  1. Difficoltà nella lettura fluente. Un bambino con dislessia può avere difficoltà a riconoscere lettere e parole in modo rapido e preciso; gli errori possono includere l’inversione di lettere simili come “m” e “n”, o il mancato riconoscimento di parole comuni.
  2. Lentezza nella decodifica del testo scritto. Se un bambino impiega molto più tempo rispetto ai suoi coetanei per leggere un brano, questo potrebbe essere un segnale di dislessia poiché la lentezza nella lettura spesso si accompagna a una comprensione del testo compromessa
  3. Errori frequenti di ortografia. Nei casi di disortografia, si riscontrano errori ortografici costanti, come confondere suoni simili (“f” e “v”, “b” e “p”) oppure omettere o aggiungere lettere nelle parole (es: “casa” diventa “casae”).
  4. Scrittura disorganizzata o illeggibile. La disgrafia si manifesta con una scrittura poco leggibile, disordinata e lenta; i bambini con disgrafia spesso trovano difficile mantenere le parole sulla linea o separare correttamente le lettere.
  5. Difficoltà nell’apprendimento delle tabelline o dei numeri. Nei bambini con discalculia può emergere una difficoltà a memorizzare le tabelline o a comprendere concetti numerici di base; può risultare complicato anche eseguire semplici operazioni matematiche, come sommare o sottrarre.
  6. Confusione tra simboli e numeri. La discalculia si manifesta anche con l’incapacità di distinguere correttamente simboli numerici, come confondere il 6 con il 9, o l’1 con il 7, creando problemi nell’apprendimento della matematica.
  7. Omissione di lettere o sillabe. Nei bambini dislessici un segnale precoce può essere la tendenza a omettere lettere o intere sillabe durante la lettura o la scrittura. Ad esempio, “prato” diventa “pato” o “fiuto” diventa “futo”.
  8. Difficoltà nell’orientamento spaziale e temporale. Un bambino con dislessia o discalculia può avere problemi a orientarsi nel tempo e nello spazio: difficoltà a seguire l’orario scolastico, a ricordare la sequenza dei giorni della settimana o a leggere l’orologio.
  9. Problemi di attenzione durante la lettura o la scrittura. Spesso i bambini con DSA tendono a distrarsi facilmente durante le attività di letto-scrittura, manifestando una scarsa attenzione e una lentezza nel completare i compiti.
  10. Segnali precoci nello sviluppo del linguaggio. Anche prima dell’inizio della scuola, alcuni bambini manifestano segnali di rischio DSA, come un ritardo nello sviluppo del linguaggio o difficoltà a “giocare” con i suoni delle parole, essenziali per l’apprendimento della lettura.

    Cosa offre il "Quaderno Dsa"

    Il “Quaderno DSA”, rivolto a genitori, educatori e insegnanti, offre strumenti pratici e informazioni cruciali per avviare un percorso di sostegno educativo e il Serafico, con la sua lunga esperienza, non solo offre un supporto clinico, ma anche educativo e psicologico, grazie a un approccio multidisciplinare personalizzato. Per un bambino con DSA un intervento precoce significa non solo migliorare le performance scolastiche, ma anche recuperare fiducia in se stesso e affrontare con serenità il percorso di crescita.
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Famiglia, chi è a favore e chi no della Legge regionale https://www.lavoce.it/famiglia-chi-e-a-favore-e-chi-no-della-legge-regionale/ https://www.lavoce.it/famiglia-chi-e-a-favore-e-chi-no-della-legge-regionale/#respond Thu, 03 Oct 2024 17:00:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77865 Foto di gruppo dei parteciapnti alla manifestazione delle associazioni pro legge famiglia umbra, con in mano i cartelli con gli slogan

Chi è a favore della legge

La famiglia da sempre riveste un ruolo fondamentale nella nostra società, anche se oggi è sempre più sgretolata. Termometro dei nostri tempi. Quello che stupisce, ma forse non più di tanto, è che la nuova legge regionale sulla famiglia non abbia accontentato tutti.

Il parere positivo di Vincenzo Aquino (Famiglie numerose)

Si sono creati due opposti ‘schieramenti’, tra chi la sostiene e la ritiene un modello innovativo da seguire, e chi la ritiene poco inclusiva e non all’altezza dei tempi.

Tra i vari sostenitori, Vincenzo Aquino, presidente regionale dell’Associazione famiglie numerose, che riunisce 1.100 nuclei dai tre figli in su. Aquino, essendo padre di 11 figli, di cui 7 maschi e 4 femmine, che vanno dai 14 ai 35 anni, conosce bene le difficoltà di una famiglia. E ritiene le polemiche nate attorno a questa legge: “Inutili”. Non solo perché si parla di 30 milioni di euro, ma anche perché durante l’iter c’è stata un’ampia partecipazione: “Abbiamo dato i nostri contributi, che sono stati accolti. Rappresenta un passo avanti importante per la nostra Regione. Anche perché mancava uno strumento più strutturato. E allo stato attuale, per noi famiglie numerose, ma anche per le giovani coppie, è un elemento di garanzia”.

Il fattore famiglia e il Dipartimento per la famiglia

Il riferimento è alla sperimentazione del ‘fattore famiglia’: “È una misura che allarga la platea di accesso a contributi e servizi, permettendo di ridistribuire in modo più equo i fondi a disposizione. Per rendere poi integrate e condivise le politiche per il sostegno famigliare, la legge istituisce il ‘Dipartimento per la famiglia’ con funzioni propositive, di coordinamento e monitoraggio degli effetti prodotti dagli interventi previsti nel piano triennale e valorizza il ruolo dell’associazionismo di supporto alle famiglie”.

La promozione della natalità

Per i sostenitori, la legge promuove in maniera concreta la natalità, anche a vantaggio delle famiglie monoparentali o fragili, aiuta la genitorialità per le coppie di fatto o in caso di separazione o divorzio, anche attraverso il sostegno psicologico e pratico nelle procedure per l’adozione o l’affido familiare. Istituisce poi un fondo per gli orfani e rafforza la mediazione familiare per la prevenzione e la lotta alla violenza domestica.

Crediamo nella famiglia naturale

Aquino su un punto però è chiaro: “Crediamo nella famiglia naturale, quella prevista dalla Costituzione. Purtroppo è una questione ideologica. Questo spiace, abbiamo il massimo rispetto per tutti, ma la legge è completa perché promuove la natalità in una Regione dove si fanno meno figli. Così, invece, ognuno nella piena libertà si sentirà più sicuro di fare il primo, il secondo o il terzo figlio”.

A favore anche Simona Morettini (Federvita Umbria)

Anche Simona Morettini, presidente di Federvita Umbria, è a favore: “Siamo un’associazione apartitica, a sostegno delle donne e delle famiglie”.  L’associazione infatti aiuta le donne che hanno difficoltà economiche a portare avanti una gravidanza e vede in questa nuova legge uno spiraglio in più, per chi si sente sola e ha timore di non farcela. “La legge prevede dei fondi rivolti proprio alla natalità – sottolinea la presidente Morettini –, dal terzo mese di gravidanza fino al primo anno di vita del bambino, quindi si tratta di un aiuto concreto dal punto di vista economico. Per questo la reputiamo una buona legge. Purtroppo le polemiche sono ideologiche e questo spiace, ma fa parte del contraddittorio”.

Quello che è certo è la consapevolezza dell’importanza della legge, che arriva dai fronti del dissenso e del consenso, ma che divide su alcuni punti. Proprio come la nostra società, sempre più divisa.

Chi è a sfavore della legge

Il coro dei “no” contro la nuova legge regionale è stato ribadito anche durante la Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, che si è tenuta sabato scorso anche a Perugia, in piazza IV Novembre. La speranza infatti, dato che ormai la legge è stata approvata, è che semmai alle prossime regionali di novembre ci sia un cambio politico.

“Sappiamo – chiosa Giorgia Gaggiotti della Rete umbra per l’autodeterminazione – che non ci sono margini di miglioramento con questo interlocutore politico. Pertanto chiediamo a chi verrà dopo, se sarà di un altro colore politico, di cancellare questa legge”. E ribadisce la scelta di protestare ancora: “Questa legge regionale, che giaceva nei cassetti dal 2020, anche se ha visto miglioramenti, pur avendo inserito citazioni della Convenzione di Istanbul, in realtà non è cambiata nella sostanza. Il lessico ha un indirizzo ben preciso (‘famiglia’ e non ‘famiglie’ al plurale), che è quello di questa fantomatica famiglia naturale che antropologicamente non esiste, perché ogni società riconosce la famiglia in modo diverso. È una legge totalmente indirizzata verso un unico modello di famiglia anacronistica. Oltre al fatto che alcuni passaggi sono un copia e incolla del famoso ddl Pillon (ex senatore leghista) su cui abbiamo fatto tante battaglie”.

Legge non inclusiva

Il riferimento poi non poteva non andare alle famiglie arcobaleno, che in Umbria raccoglie l’adesione all’omonima associazione, con 30 iscritti. Gli autori della legge regionale “si rifanno alla Costituzione – ribadisce ancora Gaggiotti – che però parla di quella famiglia di quella società, mentre la società attuale nel frattempo è cambiata.

Ecco perché contestiamo questa legge: non è affatto inclusiva e rappresenta un ritorno al passato. Non riconosce a tutte le formazioni familiari, di qualsiasi tipo, il diritto all’assistenza, al riconoscimento giuridico e a usufruire dei diritti indirizzati invece verso la cosiddetta famiglia tradizionale”. Ma le criticità riguardano anche il settore sanità: “I consultori si chiameranno ‘Consultori delle famiglie’, che di fatto ingloberanno al loro interno anche le associazioni antiabortiste. Perciò una donna che, per qualsiasi motivo, decide di interrompere la propria gravidanza, avrà sempre più difficoltà”.

Le Famiglie arcobaleno

Tra i manifestanti anche le Famiglie arcobaleno. Daniel Baciarelli della segreteria nazionale e Giuseppe Barbieri, referente regionale, ribadiscono: “Faremo opposizione in tutte le sedi. Vogliamo capire il motivo della nostra esclusione. Siamo qui anche per difendere i diritti delle donne, che sono le figure più attaccate da questa legge, soprattutto per quanto riguarda il loro diritto di scelta sul proprio corpo e nell’accesso ai servizi di cui dovrebbero disporre”.

Il no di Emma Pavanelli (5Stelle)

Anche la senatrice dei cinquestelle Emma Pavanelli ha ribadito il suo no: “Vogliamo far sentire la nostra voce contro una legge che non è sulle famiglie. E poi ci sono altre criticità che sono presenti nel testo, come per esempio – vista la Giornata di oggi – le difficoltà che le donne incontrano nella nostra Regione a far valere le proprie scelte”.

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Foto di gruppo dei parteciapnti alla manifestazione delle associazioni pro legge famiglia umbra, con in mano i cartelli con gli slogan

Chi è a favore della legge

La famiglia da sempre riveste un ruolo fondamentale nella nostra società, anche se oggi è sempre più sgretolata. Termometro dei nostri tempi. Quello che stupisce, ma forse non più di tanto, è che la nuova legge regionale sulla famiglia non abbia accontentato tutti.

Il parere positivo di Vincenzo Aquino (Famiglie numerose)

Si sono creati due opposti ‘schieramenti’, tra chi la sostiene e la ritiene un modello innovativo da seguire, e chi la ritiene poco inclusiva e non all’altezza dei tempi.

Tra i vari sostenitori, Vincenzo Aquino, presidente regionale dell’Associazione famiglie numerose, che riunisce 1.100 nuclei dai tre figli in su. Aquino, essendo padre di 11 figli, di cui 7 maschi e 4 femmine, che vanno dai 14 ai 35 anni, conosce bene le difficoltà di una famiglia. E ritiene le polemiche nate attorno a questa legge: “Inutili”. Non solo perché si parla di 30 milioni di euro, ma anche perché durante l’iter c’è stata un’ampia partecipazione: “Abbiamo dato i nostri contributi, che sono stati accolti. Rappresenta un passo avanti importante per la nostra Regione. Anche perché mancava uno strumento più strutturato. E allo stato attuale, per noi famiglie numerose, ma anche per le giovani coppie, è un elemento di garanzia”.

Il fattore famiglia e il Dipartimento per la famiglia

Il riferimento è alla sperimentazione del ‘fattore famiglia’: “È una misura che allarga la platea di accesso a contributi e servizi, permettendo di ridistribuire in modo più equo i fondi a disposizione. Per rendere poi integrate e condivise le politiche per il sostegno famigliare, la legge istituisce il ‘Dipartimento per la famiglia’ con funzioni propositive, di coordinamento e monitoraggio degli effetti prodotti dagli interventi previsti nel piano triennale e valorizza il ruolo dell’associazionismo di supporto alle famiglie”.

La promozione della natalità

Per i sostenitori, la legge promuove in maniera concreta la natalità, anche a vantaggio delle famiglie monoparentali o fragili, aiuta la genitorialità per le coppie di fatto o in caso di separazione o divorzio, anche attraverso il sostegno psicologico e pratico nelle procedure per l’adozione o l’affido familiare. Istituisce poi un fondo per gli orfani e rafforza la mediazione familiare per la prevenzione e la lotta alla violenza domestica.

Crediamo nella famiglia naturale

Aquino su un punto però è chiaro: “Crediamo nella famiglia naturale, quella prevista dalla Costituzione. Purtroppo è una questione ideologica. Questo spiace, abbiamo il massimo rispetto per tutti, ma la legge è completa perché promuove la natalità in una Regione dove si fanno meno figli. Così, invece, ognuno nella piena libertà si sentirà più sicuro di fare il primo, il secondo o il terzo figlio”.

A favore anche Simona Morettini (Federvita Umbria)

Anche Simona Morettini, presidente di Federvita Umbria, è a favore: “Siamo un’associazione apartitica, a sostegno delle donne e delle famiglie”.  L’associazione infatti aiuta le donne che hanno difficoltà economiche a portare avanti una gravidanza e vede in questa nuova legge uno spiraglio in più, per chi si sente sola e ha timore di non farcela. “La legge prevede dei fondi rivolti proprio alla natalità – sottolinea la presidente Morettini –, dal terzo mese di gravidanza fino al primo anno di vita del bambino, quindi si tratta di un aiuto concreto dal punto di vista economico. Per questo la reputiamo una buona legge. Purtroppo le polemiche sono ideologiche e questo spiace, ma fa parte del contraddittorio”.

Quello che è certo è la consapevolezza dell’importanza della legge, che arriva dai fronti del dissenso e del consenso, ma che divide su alcuni punti. Proprio come la nostra società, sempre più divisa.

Chi è a sfavore della legge

Il coro dei “no” contro la nuova legge regionale è stato ribadito anche durante la Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, che si è tenuta sabato scorso anche a Perugia, in piazza IV Novembre. La speranza infatti, dato che ormai la legge è stata approvata, è che semmai alle prossime regionali di novembre ci sia un cambio politico.

“Sappiamo – chiosa Giorgia Gaggiotti della Rete umbra per l’autodeterminazione – che non ci sono margini di miglioramento con questo interlocutore politico. Pertanto chiediamo a chi verrà dopo, se sarà di un altro colore politico, di cancellare questa legge”. E ribadisce la scelta di protestare ancora: “Questa legge regionale, che giaceva nei cassetti dal 2020, anche se ha visto miglioramenti, pur avendo inserito citazioni della Convenzione di Istanbul, in realtà non è cambiata nella sostanza. Il lessico ha un indirizzo ben preciso (‘famiglia’ e non ‘famiglie’ al plurale), che è quello di questa fantomatica famiglia naturale che antropologicamente non esiste, perché ogni società riconosce la famiglia in modo diverso. È una legge totalmente indirizzata verso un unico modello di famiglia anacronistica. Oltre al fatto che alcuni passaggi sono un copia e incolla del famoso ddl Pillon (ex senatore leghista) su cui abbiamo fatto tante battaglie”.

Legge non inclusiva

Il riferimento poi non poteva non andare alle famiglie arcobaleno, che in Umbria raccoglie l’adesione all’omonima associazione, con 30 iscritti. Gli autori della legge regionale “si rifanno alla Costituzione – ribadisce ancora Gaggiotti – che però parla di quella famiglia di quella società, mentre la società attuale nel frattempo è cambiata.

Ecco perché contestiamo questa legge: non è affatto inclusiva e rappresenta un ritorno al passato. Non riconosce a tutte le formazioni familiari, di qualsiasi tipo, il diritto all’assistenza, al riconoscimento giuridico e a usufruire dei diritti indirizzati invece verso la cosiddetta famiglia tradizionale”. Ma le criticità riguardano anche il settore sanità: “I consultori si chiameranno ‘Consultori delle famiglie’, che di fatto ingloberanno al loro interno anche le associazioni antiabortiste. Perciò una donna che, per qualsiasi motivo, decide di interrompere la propria gravidanza, avrà sempre più difficoltà”.

Le Famiglie arcobaleno

Tra i manifestanti anche le Famiglie arcobaleno. Daniel Baciarelli della segreteria nazionale e Giuseppe Barbieri, referente regionale, ribadiscono: “Faremo opposizione in tutte le sedi. Vogliamo capire il motivo della nostra esclusione. Siamo qui anche per difendere i diritti delle donne, che sono le figure più attaccate da questa legge, soprattutto per quanto riguarda il loro diritto di scelta sul proprio corpo e nell’accesso ai servizi di cui dovrebbero disporre”.

Il no di Emma Pavanelli (5Stelle)

Anche la senatrice dei cinquestelle Emma Pavanelli ha ribadito il suo no: “Vogliamo far sentire la nostra voce contro una legge che non è sulle famiglie. E poi ci sono altre criticità che sono presenti nel testo, come per esempio – vista la Giornata di oggi – le difficoltà che le donne incontrano nella nostra Regione a far valere le proprie scelte”.

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Ai killer robot non interessa chi muore https://www.lavoce.it/ai-killer-robot-non-interessa-chi-muore/ https://www.lavoce.it/ai-killer-robot-non-interessa-chi-muore/#respond Thu, 03 Oct 2024 08:37:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77830

Mentre le Nazioni unite e il “Gruppo degli esperti governativi sulle tecnologie emergenti nel settore dei sistemi di armi autonome letali” continuano a discutere, i Killer robot vengono ampiamente utilizzati nei conflitti in corso. Sono sistemi d’arma che utilizzano gli standard più avanzati dell’intelligenza artificiale per colpire strutture e persone senza il controllo, la verifica e la decisione finale da parte di un essere umano. Ormai da tempo alcune fonti militari israeliane hanno rivelato il largo impiego dei sistemi Lavender e Gospel nella Striscia di Gaza e, si suppone, anche in Libano. Il sistema Lavender utilizza una grande quantità di informazioni che l’intelligence israeliana ha raccolto sui cittadini della Striscia di Gaza nel corso degli anni. Si tratta di dati personali e biometrici raccolti tramite intercettazioni e rilevamenti da droni che riguardano comportamenti (frequentazioni, idee politiche…), modelli di comunicazione, connessioni ai social media e cambi frequenti di indirizzo. A ciascuna/o cittadina/o viene assegnato un punteggio circa la sua potenziale pericolosità. Il sistema Gospel si comporta allo stesso modo riguardo alle strutture e, in particolare, su quella che viene definita la metropolitana di Gaza, la fittissima rete dei cammini sotterranei. Ogni qualvolta che Lavender individua un obiettivo pericoloso, invia un impulso che permette il lancio di un missile o altra arma che uccide la persona individuata senza alcun riguardo per le altre che ne vengono coinvolte. È così che siamo arrivati al numero impressionante di vittime che si contano fino ad oggi in quei contesti di guerra. Serve urgentemente quantomeno una legislazione mondiale per la messa al bando delle armi autonome letali.]]>

Mentre le Nazioni unite e il “Gruppo degli esperti governativi sulle tecnologie emergenti nel settore dei sistemi di armi autonome letali” continuano a discutere, i Killer robot vengono ampiamente utilizzati nei conflitti in corso. Sono sistemi d’arma che utilizzano gli standard più avanzati dell’intelligenza artificiale per colpire strutture e persone senza il controllo, la verifica e la decisione finale da parte di un essere umano. Ormai da tempo alcune fonti militari israeliane hanno rivelato il largo impiego dei sistemi Lavender e Gospel nella Striscia di Gaza e, si suppone, anche in Libano. Il sistema Lavender utilizza una grande quantità di informazioni che l’intelligence israeliana ha raccolto sui cittadini della Striscia di Gaza nel corso degli anni. Si tratta di dati personali e biometrici raccolti tramite intercettazioni e rilevamenti da droni che riguardano comportamenti (frequentazioni, idee politiche…), modelli di comunicazione, connessioni ai social media e cambi frequenti di indirizzo. A ciascuna/o cittadina/o viene assegnato un punteggio circa la sua potenziale pericolosità. Il sistema Gospel si comporta allo stesso modo riguardo alle strutture e, in particolare, su quella che viene definita la metropolitana di Gaza, la fittissima rete dei cammini sotterranei. Ogni qualvolta che Lavender individua un obiettivo pericoloso, invia un impulso che permette il lancio di un missile o altra arma che uccide la persona individuata senza alcun riguardo per le altre che ne vengono coinvolte. È così che siamo arrivati al numero impressionante di vittime che si contano fino ad oggi in quei contesti di guerra. Serve urgentemente quantomeno una legislazione mondiale per la messa al bando delle armi autonome letali.]]>
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