LaVoce https://www.lavoce.it/ Settimanale di informazione regionale Fri, 11 Oct 2024 12:56:10 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg LaVoce https://www.lavoce.it/ 32 32 Incontro ecumenico sul Creato. Un modo per salvare il mondo c’è https://www.lavoce.it/incontro-ecumenico-sul-creato-un-modo-per-salvare-il-mondo-ce/ https://www.lavoce.it/incontro-ecumenico-sul-creato-un-modo-per-salvare-il-mondo-ce/#respond Fri, 11 Oct 2024 12:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77938 Al tavolo i sette relatori, il penultimo a destra sta in piedi con un microfono in mano, sullo sfondo uno schermo la scritta con il team del mese del creato “Sperare e agire con la creazione"

“Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! Sal 133(132),1 ”. Quale modo migliore di iniziare se non quello di citare il salmista che ci ricorda che è bello e dolce che i fratelli stiano insieme e, aggiungiamo noi, in grazia di Dio. Con questo spirito e con questo amore fraterno, con questa voglia di amarci reciprocamente e di costruire qualche cosa insieme è stato fatto l’incontro di martedì 1° ottobre ad Olmo su “Ecumenismo e Tempo della Creazione”. Ci siamo incontrati con diverse denominazioni cristiane per parlare insieme, in questo Tempo della Creazione, di quello che può significare per tutti noi il passo di Rm 8, 19-25.

Il tema del mese del Creato

Abbiamo subito trovato un terreno fertile di dialogo e di confronto perché “sperare e agire con la creazione”, tema di tutto questo mese del Creato, non è un argomento che può essere affrontato singolarmente, bensì un tema che avvolge la nostra stessa vita e la sopravvivenza di un intero mondo così come ci è stato consegnato e come noi, con la consapevolezza di aver ricevuto un dono da custodire, dobbiamo essere pronti a consegnarlo alle generazioni future.

Ciascuno è chiamato ad operare per il bene comune

In questo incontro, con le domande poste dal diacono Stefano Tenda, che ha fatto da moderatore, si sono susseguiti gli interventi dei fratelli che hanno partecipato e che hanno preso la parola a nome delle rispettive comunità. Il saluto introduttivo è stato portato dal vicario generale della diocesi don Simone Sorbaioli che ci ha esortato a prendere in mano le nostre responsabilità di battezzati quali custodi e amministratori di questo bene prezioso che è la nostra casa comune, per cui tutti e ciascuno, siamo chiamati ad operare affinché le generazioni che ci succederanno possano trovare un posto ameno dove vivere e non una landa desolata su cui piangere.

Uso consapevole delle risorse umane

Padre Petru, parroco della Chiesa Ortodossa Romena di Perugia, ci ha esortato a vivere come “esseri umani” e non come “averi umani”, cristiani cioè che si conformano al mondo e bramano potere e successo quando dovremmo invece riflettere sulla nostra capacità di distruzione che si può spingere fino alla autodistruzione. I cristiani non devono mirare al possesso, semmai all’uso consapevoli di tutte le risorse che ci sono state messe a disposizione per un fine di benessere, non solo della generazione attuale, ma di tutte le generazioni future.

Il mondo, la nostra casa, ha bisogno di noi

Antonella Violi presidente del consiglio della Chiesa Valdese di Perugia ci ha esortato a fare come il figliol prodigo che ritorna alla casa del Padre con la certezza di non essere degno di essere chiamato ancora figlio e scopre invece l’amore misericordioso di un padre che non si è dimenticato di lui ma, anzi, lo accoglie nella sua casa e gli ridona quella dignità che il figlio pensava di aver perduto definitivamente; è tornato a casa sua, a quella casa che deve difendere e se possibile arricchire perché questa casa, che per noi è il mondo che ci circonda, ha bisogno di noi, di ciascuno di noi per poterla rendere più bella e più accogliente.

Custodi responsabili della vita che è grazia di Dio

Ha parlato poi Andrea Ferrari, pastore della Chiesa Riformata di Perugia, ricordandoci che l’uomo è l’apice della Creazione. Questo comporta da un lato la sua centralità, ciascuno di noi è chiamato a pensare al prossimo con un sentimento di amore particolare, quali fratelli creati ad immagine e somiglianza del Padre e in quanto tali suoi figli prediletti. Dall’altro lato, il dovere, appartenendo a questa famiglia, di comportarci come custodi responsabili di quel dono immenso della vita che è grazia di Dio.

Vivere una vita rispettosa del mondo che ci circonda

Calogero Furnari, pastore emerito della Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno, ci ha esortati a vivere una vita semplice, diremmo quasi frugale, al fine di evitare che i nostri comportamenti possano essere dannosi per il nostro tempo e per i beni che ci sono stati affidati. A questo proposito ci ha parlato di Newstart, acronimo di quello che è un modus vivendi che il cristiano si può imporre col proposito di condurre una vita non solo sana, ma rispettosa del mondo che ci circonda con l’intento di proteggerlo da mali peggiori.

Un modo per salvare il mondo c'è

Ci siamo lasciati con una specie di motto: i cristiani non devono avere bisogno di azioni eclatanti per dimostrare che hanno a cuore i temi della tutela del creato, devono solo lavorare alacremente ogni giorno per far vedere al mondo che un modo per salvarlo, questo mondo, c’è.

Non c’è posto per gli ecoterroristi semmai dobbiamo tutti diventare “ ecosanti ”, come ci vuole il Signore, santi come lui ci insegna e eco perché questo mondo ci è stato dato per custodirlo e proteggerlo da ogni minaccia, compresa quella che noi stessi le portiamo.

Roberto Faraghini Direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso

L’incontro ecumenico del “Mese del creato”

“Ecumenismo e Tempo della Creazione” era il tema dell’incontro che si è tenuto martedì 1° ottobre presso la parrocchia di Olmo. L’incontro era inserito nel calendario degli eventi organizzati dal Circolo “Laudato Si’” di Perugia per il “Tempo della Creazione 2024”. La serata è stata organizzata dal “Circolo Laudato Sì di Perugia”, in stretta collaborazione con l’ufficio diocesano per “l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso”. Tra i presenti anche Marina Zola, delegata Ceu per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, un rappresentate dei Francescani dell’Atonement, rappresentanze del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), dell’Azione Cattolica e del Rinnovamento nello Spirito Santo.

 
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Al tavolo i sette relatori, il penultimo a destra sta in piedi con un microfono in mano, sullo sfondo uno schermo la scritta con il team del mese del creato “Sperare e agire con la creazione"

“Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! Sal 133(132),1 ”. Quale modo migliore di iniziare se non quello di citare il salmista che ci ricorda che è bello e dolce che i fratelli stiano insieme e, aggiungiamo noi, in grazia di Dio. Con questo spirito e con questo amore fraterno, con questa voglia di amarci reciprocamente e di costruire qualche cosa insieme è stato fatto l’incontro di martedì 1° ottobre ad Olmo su “Ecumenismo e Tempo della Creazione”. Ci siamo incontrati con diverse denominazioni cristiane per parlare insieme, in questo Tempo della Creazione, di quello che può significare per tutti noi il passo di Rm 8, 19-25.

Il tema del mese del Creato

Abbiamo subito trovato un terreno fertile di dialogo e di confronto perché “sperare e agire con la creazione”, tema di tutto questo mese del Creato, non è un argomento che può essere affrontato singolarmente, bensì un tema che avvolge la nostra stessa vita e la sopravvivenza di un intero mondo così come ci è stato consegnato e come noi, con la consapevolezza di aver ricevuto un dono da custodire, dobbiamo essere pronti a consegnarlo alle generazioni future.

Ciascuno è chiamato ad operare per il bene comune

In questo incontro, con le domande poste dal diacono Stefano Tenda, che ha fatto da moderatore, si sono susseguiti gli interventi dei fratelli che hanno partecipato e che hanno preso la parola a nome delle rispettive comunità. Il saluto introduttivo è stato portato dal vicario generale della diocesi don Simone Sorbaioli che ci ha esortato a prendere in mano le nostre responsabilità di battezzati quali custodi e amministratori di questo bene prezioso che è la nostra casa comune, per cui tutti e ciascuno, siamo chiamati ad operare affinché le generazioni che ci succederanno possano trovare un posto ameno dove vivere e non una landa desolata su cui piangere.

Uso consapevole delle risorse umane

Padre Petru, parroco della Chiesa Ortodossa Romena di Perugia, ci ha esortato a vivere come “esseri umani” e non come “averi umani”, cristiani cioè che si conformano al mondo e bramano potere e successo quando dovremmo invece riflettere sulla nostra capacità di distruzione che si può spingere fino alla autodistruzione. I cristiani non devono mirare al possesso, semmai all’uso consapevoli di tutte le risorse che ci sono state messe a disposizione per un fine di benessere, non solo della generazione attuale, ma di tutte le generazioni future.

Il mondo, la nostra casa, ha bisogno di noi

Antonella Violi presidente del consiglio della Chiesa Valdese di Perugia ci ha esortato a fare come il figliol prodigo che ritorna alla casa del Padre con la certezza di non essere degno di essere chiamato ancora figlio e scopre invece l’amore misericordioso di un padre che non si è dimenticato di lui ma, anzi, lo accoglie nella sua casa e gli ridona quella dignità che il figlio pensava di aver perduto definitivamente; è tornato a casa sua, a quella casa che deve difendere e se possibile arricchire perché questa casa, che per noi è il mondo che ci circonda, ha bisogno di noi, di ciascuno di noi per poterla rendere più bella e più accogliente.

Custodi responsabili della vita che è grazia di Dio

Ha parlato poi Andrea Ferrari, pastore della Chiesa Riformata di Perugia, ricordandoci che l’uomo è l’apice della Creazione. Questo comporta da un lato la sua centralità, ciascuno di noi è chiamato a pensare al prossimo con un sentimento di amore particolare, quali fratelli creati ad immagine e somiglianza del Padre e in quanto tali suoi figli prediletti. Dall’altro lato, il dovere, appartenendo a questa famiglia, di comportarci come custodi responsabili di quel dono immenso della vita che è grazia di Dio.

Vivere una vita rispettosa del mondo che ci circonda

Calogero Furnari, pastore emerito della Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno, ci ha esortati a vivere una vita semplice, diremmo quasi frugale, al fine di evitare che i nostri comportamenti possano essere dannosi per il nostro tempo e per i beni che ci sono stati affidati. A questo proposito ci ha parlato di Newstart, acronimo di quello che è un modus vivendi che il cristiano si può imporre col proposito di condurre una vita non solo sana, ma rispettosa del mondo che ci circonda con l’intento di proteggerlo da mali peggiori.

Un modo per salvare il mondo c'è

Ci siamo lasciati con una specie di motto: i cristiani non devono avere bisogno di azioni eclatanti per dimostrare che hanno a cuore i temi della tutela del creato, devono solo lavorare alacremente ogni giorno per far vedere al mondo che un modo per salvarlo, questo mondo, c’è.

Non c’è posto per gli ecoterroristi semmai dobbiamo tutti diventare “ ecosanti ”, come ci vuole il Signore, santi come lui ci insegna e eco perché questo mondo ci è stato dato per custodirlo e proteggerlo da ogni minaccia, compresa quella che noi stessi le portiamo.

Roberto Faraghini Direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso

L’incontro ecumenico del “Mese del creato”

“Ecumenismo e Tempo della Creazione” era il tema dell’incontro che si è tenuto martedì 1° ottobre presso la parrocchia di Olmo. L’incontro era inserito nel calendario degli eventi organizzati dal Circolo “Laudato Si’” di Perugia per il “Tempo della Creazione 2024”. La serata è stata organizzata dal “Circolo Laudato Sì di Perugia”, in stretta collaborazione con l’ufficio diocesano per “l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso”. Tra i presenti anche Marina Zola, delegata Ceu per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso, un rappresentate dei Francescani dell’Atonement, rappresentanze del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), dell’Azione Cattolica e del Rinnovamento nello Spirito Santo.

 
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Assisi. Memoria liturgica di Carlo Acutis, quattro giorni di iniziative https://www.lavoce.it/assisi-memoria-liturgica-di-carlo-acutis-quattro-giorni-di-iniziative/ https://www.lavoce.it/assisi-memoria-liturgica-di-carlo-acutis-quattro-giorni-di-iniziative/#respond Thu, 10 Oct 2024 16:14:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77951

Si è aperta giovedì 10 ottobre nella Sala della spogliazione del Vescovado di Assisi, con una riflessione sul disagio giovanile e sulle loro speranze, la quattro giorni di iniziative in occasione della memoria liturgica del beato Carlo Acutis che viene celebrata il 12 ottobre, grazie al convegno “Frà(i) giovani, tra disagio e speranze”.

I partecipanti al convegno di apertura sul tema dell'adolescenza

Al convegno sono intervenuti il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino; Laura Pizziconi, psicologa-psicoterapeuta; padre Mirko Mazzocato, responsabile del Servizio giovani dei frati minori di Umbria e Sardegna e don Antonio Coluccia, fondatore dell’Opera San Giustino di Roma, in prima linea a Roma contro lo spaccio e la criminalità. Tanti i partecipanti, tra cui i giovani studenti dell’Istituto alberghiero di Assisi.

Mirko Mazzocato

Mirko Mazzocato ha ricordato la “positività” del termine “fratello: significa che i giovani hanno voglia di stare insieme, la solitudine rivela il bisogno e il desiderio di fraternità con Dio. Oggi i giovani sono spesso appiattiti sul ‘qui e ora’ e invece bisogna ascoltare chi ha senso di empatia e le loro speranze”.

Don Antonio Coluccia

A seguire l’intervento di don Antonio Coluccia, che ha sottolineato come “le periferie sono un tema di cui parlano tutti, dal governo alla Chiesa: nelle piazze di spaccio, un luogo dove la vita non viene rispettata, dove le persone sono escluse perché vivono in solitudine, io cerco di testimoniare Gesù grazie a quelli che chiamo presidi pastorali. Oggi le persone hanno tutto ma mancano loro dei motivatori, come furono Francesco e Carlo. A questi giovani qui presenti vorrei dire che la droga è il più grande bluff, causa morti anche giovanissimi, e che invece Cristo - che ha testimoniato il valore degli abbracci e della misericordia - fa comprendere il valore della vita: non siete comprabili - l’appello di Coluccia, ricordando anche il suo progetto di radio tra Vangelo e Costituzione - innamoratevi della libertà”.

Laura Pizziconi

La psicologa Laura Pizziconi ha messo in luce “le difficoltà dell’adolescenza, e come sia difficile tracciare delle linee tra il disagio e le patologie visti i tanti cambiamenti che il periodo dell’adolescenza porta con sé” e ha invitato “i genitori e gli insegnanti a essere presenti nella vita dei giovani, dialogando con loro”.

Vescovo Domenico Sorrentino

A tirare le fila dei lavori il vescovo Domenico Sorrentino, che ha incentrato il suo discorso sulle figure di Gesù, Francesco e Carlo. Quando a Gesù venne chiesto come vivere per sempre in maniera grande e bella la risposta fu quella di seguire i comandamenti di Dio; Francesco si alleggerì della pesantezza della ricchezza facendo cose bellissime, e infine Carlo Acutis, seppur di famiglia agiata, volle solo i beni essenziali e fu felice anche quando Dio gli disse di spogliarsi della vita, come dimostra un video girato due mesi prima della morte. La felicità - ha concluso il vescovo - passa attraverso la voglia di vita con Gesù, che ha bisogno di voi per rendere il mondo più felice”.

Il programma dei prossimi eventi per la memoria liturgica di Carlo Acutis

Gli eventi organizzati dalla Fondazione Santuario della Spogliazione continueranno venerdì 11 ottobre alle ore 16,30, nella Sala dei Vescovi al Santuario della Spogliazione, dove ci sarà l’inaugurazione della mostra dei miracoli eucaristici, ideata e realizzata dal giovane Carlo Acutis, composta da un’ampia rassegna fotografica, con descrizioni storiche, che racconta alcuni dei principali miracoli eucaristici verificatisi nel corso dei secoli in diversi Paesi del mondo e riconosciuti dalla Chiesa. Infine in serata alle ore 21 nella chiesa di Santa Maria Maggiore - Santuario della Spogliazione ci sarà l’adorazione eucaristica “Tu sei la nostra speranza”, animata dagli studenti Ofm. Cap. Sabato 12 ottobre alle ore 11 la messa sarà celebrata da fr. Simone Calvarese, ministro provinciale della Provincia serafica dei Frati minori Cappuccini; alle ore 18 la messa della memoria liturgica del Beato sarà presieduta da monsignor Domenico Sorrentino. Sempre sabato 12 ottobre alle ore 21 nel Santuario della Spogliazione preghiera e musica con Martín Valverde, musicista molto apprezzato nei Paesi di lingua spagnola e devoto del giovane Beato (ingresso libero fino ad esaurimento posti). [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="77959,77960,77961"]]]>

Si è aperta giovedì 10 ottobre nella Sala della spogliazione del Vescovado di Assisi, con una riflessione sul disagio giovanile e sulle loro speranze, la quattro giorni di iniziative in occasione della memoria liturgica del beato Carlo Acutis che viene celebrata il 12 ottobre, grazie al convegno “Frà(i) giovani, tra disagio e speranze”.

I partecipanti al convegno di apertura sul tema dell'adolescenza

Al convegno sono intervenuti il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino; Laura Pizziconi, psicologa-psicoterapeuta; padre Mirko Mazzocato, responsabile del Servizio giovani dei frati minori di Umbria e Sardegna e don Antonio Coluccia, fondatore dell’Opera San Giustino di Roma, in prima linea a Roma contro lo spaccio e la criminalità. Tanti i partecipanti, tra cui i giovani studenti dell’Istituto alberghiero di Assisi.

Mirko Mazzocato

Mirko Mazzocato ha ricordato la “positività” del termine “fratello: significa che i giovani hanno voglia di stare insieme, la solitudine rivela il bisogno e il desiderio di fraternità con Dio. Oggi i giovani sono spesso appiattiti sul ‘qui e ora’ e invece bisogna ascoltare chi ha senso di empatia e le loro speranze”.

Don Antonio Coluccia

A seguire l’intervento di don Antonio Coluccia, che ha sottolineato come “le periferie sono un tema di cui parlano tutti, dal governo alla Chiesa: nelle piazze di spaccio, un luogo dove la vita non viene rispettata, dove le persone sono escluse perché vivono in solitudine, io cerco di testimoniare Gesù grazie a quelli che chiamo presidi pastorali. Oggi le persone hanno tutto ma mancano loro dei motivatori, come furono Francesco e Carlo. A questi giovani qui presenti vorrei dire che la droga è il più grande bluff, causa morti anche giovanissimi, e che invece Cristo - che ha testimoniato il valore degli abbracci e della misericordia - fa comprendere il valore della vita: non siete comprabili - l’appello di Coluccia, ricordando anche il suo progetto di radio tra Vangelo e Costituzione - innamoratevi della libertà”.

Laura Pizziconi

La psicologa Laura Pizziconi ha messo in luce “le difficoltà dell’adolescenza, e come sia difficile tracciare delle linee tra il disagio e le patologie visti i tanti cambiamenti che il periodo dell’adolescenza porta con sé” e ha invitato “i genitori e gli insegnanti a essere presenti nella vita dei giovani, dialogando con loro”.

Vescovo Domenico Sorrentino

A tirare le fila dei lavori il vescovo Domenico Sorrentino, che ha incentrato il suo discorso sulle figure di Gesù, Francesco e Carlo. Quando a Gesù venne chiesto come vivere per sempre in maniera grande e bella la risposta fu quella di seguire i comandamenti di Dio; Francesco si alleggerì della pesantezza della ricchezza facendo cose bellissime, e infine Carlo Acutis, seppur di famiglia agiata, volle solo i beni essenziali e fu felice anche quando Dio gli disse di spogliarsi della vita, come dimostra un video girato due mesi prima della morte. La felicità - ha concluso il vescovo - passa attraverso la voglia di vita con Gesù, che ha bisogno di voi per rendere il mondo più felice”.

Il programma dei prossimi eventi per la memoria liturgica di Carlo Acutis

Gli eventi organizzati dalla Fondazione Santuario della Spogliazione continueranno venerdì 11 ottobre alle ore 16,30, nella Sala dei Vescovi al Santuario della Spogliazione, dove ci sarà l’inaugurazione della mostra dei miracoli eucaristici, ideata e realizzata dal giovane Carlo Acutis, composta da un’ampia rassegna fotografica, con descrizioni storiche, che racconta alcuni dei principali miracoli eucaristici verificatisi nel corso dei secoli in diversi Paesi del mondo e riconosciuti dalla Chiesa. Infine in serata alle ore 21 nella chiesa di Santa Maria Maggiore - Santuario della Spogliazione ci sarà l’adorazione eucaristica “Tu sei la nostra speranza”, animata dagli studenti Ofm. Cap. Sabato 12 ottobre alle ore 11 la messa sarà celebrata da fr. Simone Calvarese, ministro provinciale della Provincia serafica dei Frati minori Cappuccini; alle ore 18 la messa della memoria liturgica del Beato sarà presieduta da monsignor Domenico Sorrentino. Sempre sabato 12 ottobre alle ore 21 nel Santuario della Spogliazione preghiera e musica con Martín Valverde, musicista molto apprezzato nei Paesi di lingua spagnola e devoto del giovane Beato (ingresso libero fino ad esaurimento posti). [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="77959,77960,77961"]]]>
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Chi lo dice è bugiardo e disonesto https://www.lavoce.it/chi-lo-dice-e-bugiardo-e-disonesto/ https://www.lavoce.it/chi-lo-dice-e-bugiardo-e-disonesto/#respond Thu, 10 Oct 2024 13:52:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77905

In autunno arrivano i primi freddi e le giornate corte, si pensa all’inverno incombente. Fra le tristezze di stagione c’è anche l’attesa della nuova legge finanziaria, quel provvedimento che dovrebbe rimettere un po’ di ordine nei conti dello Stato – risultato che non si raggiunge mai. Qual è il problema? Che lo Stato italiano, si sa, è uno dei più indebitati del mondo, in rapporto al suo prodotto interno lordo. In questo momento il debito pubblico è – arrotondando – di tremila miliardi di lire. Una cifra da capogiro. Ci si può consolare che tutto o quasi questo debito è rappresentato da titoli che li possiede preferisce tenere in cassaforte e rinnovare alla scadenza, anziché chiederne l’incasso (se lo facessero, sarebbe il fallimento). Ma è una magra consolazione, perché gli interessi, invece, bisogna pagarli. Quindi ogni anno, quando si avvicina il momento di fare i preventivi, il ministro delle Finanze comincia ad accennare ai sacrifici che qualcuno dovrà pur fare. Lo ha fatto anche il ministro in carica, Giorgetti; ma i leader della maggioranza lo hanno zittito: quello schieramento politico non può, non deve, parlare di sacrifici. Non è quello che da trenta anni promette “meno tasse per tutti”? Slogan bugiardo e disonesto. Bugiardo, perché la promessa non è stata mantenuta; disonesto, perché è una promessa che nessuno Stato moderno può fare, da quando è entrato nella coscienza collettiva, e nelle aspettative di tutti, il principio che lo Stato deve provvedere ai bisogni primari dei cittadini. Perché la società nel suo insieme funziona meglio – anche dal punto di vista economico e quindi nell’interesse di tutti – se un certo livello di benessere di base è garantito a tutti (si chiama infatti welfare state, stato del benessere). Quindi la sanità, l’istruzione, la viabilità, i trasporti, l’assistenza ai disabili e agli anziani. È bugiardo e disonesto dipingere questo Stato come quello che “mette le mani nelle tasche dei cittadini” perché quello che prende poi lo restituisce in altra forma; per semplificare al massimo, diciamo che non ci sarebbe la folla a fare spese nei centri commerciali, per la gioia degli esercenti, se le famiglie dovessero preoccuparsi di mettere i soldi nel salvadanaio per i giorni in cui si dovranno pagare le medicine e i ricoveri in ospedale. Come insegnavano a quelli che hanno adesso la mia età, quando eravamo bambini.]]>

In autunno arrivano i primi freddi e le giornate corte, si pensa all’inverno incombente. Fra le tristezze di stagione c’è anche l’attesa della nuova legge finanziaria, quel provvedimento che dovrebbe rimettere un po’ di ordine nei conti dello Stato – risultato che non si raggiunge mai. Qual è il problema? Che lo Stato italiano, si sa, è uno dei più indebitati del mondo, in rapporto al suo prodotto interno lordo. In questo momento il debito pubblico è – arrotondando – di tremila miliardi di lire. Una cifra da capogiro. Ci si può consolare che tutto o quasi questo debito è rappresentato da titoli che li possiede preferisce tenere in cassaforte e rinnovare alla scadenza, anziché chiederne l’incasso (se lo facessero, sarebbe il fallimento). Ma è una magra consolazione, perché gli interessi, invece, bisogna pagarli. Quindi ogni anno, quando si avvicina il momento di fare i preventivi, il ministro delle Finanze comincia ad accennare ai sacrifici che qualcuno dovrà pur fare. Lo ha fatto anche il ministro in carica, Giorgetti; ma i leader della maggioranza lo hanno zittito: quello schieramento politico non può, non deve, parlare di sacrifici. Non è quello che da trenta anni promette “meno tasse per tutti”? Slogan bugiardo e disonesto. Bugiardo, perché la promessa non è stata mantenuta; disonesto, perché è una promessa che nessuno Stato moderno può fare, da quando è entrato nella coscienza collettiva, e nelle aspettative di tutti, il principio che lo Stato deve provvedere ai bisogni primari dei cittadini. Perché la società nel suo insieme funziona meglio – anche dal punto di vista economico e quindi nell’interesse di tutti – se un certo livello di benessere di base è garantito a tutti (si chiama infatti welfare state, stato del benessere). Quindi la sanità, l’istruzione, la viabilità, i trasporti, l’assistenza ai disabili e agli anziani. È bugiardo e disonesto dipingere questo Stato come quello che “mette le mani nelle tasche dei cittadini” perché quello che prende poi lo restituisce in altra forma; per semplificare al massimo, diciamo che non ci sarebbe la folla a fare spese nei centri commerciali, per la gioia degli esercenti, se le famiglie dovessero preoccuparsi di mettere i soldi nel salvadanaio per i giorni in cui si dovranno pagare le medicine e i ricoveri in ospedale. Come insegnavano a quelli che hanno adesso la mia età, quando eravamo bambini.]]>
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I “disastri naturali” uccidono. Serve la cura per la casa comune https://www.lavoce.it/i-disastri-naturali-uccidono-serve-la-cura-per-la-casa-comune/ https://www.lavoce.it/i-disastri-naturali-uccidono-serve-la-cura-per-la-casa-comune/#respond Thu, 10 Oct 2024 10:41:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77908

Facciamo bene a raccontare i conflitti in corso che sempre di più assumono i contorni di massacri e carneficine, ma non possiamo per questo dimenticare quell’altra guerra in atto contro l’ambiente che, per questo, continua a presentarci il suo conto. Le piogge monsoniche in Nepal si sono fatte più violente e disastrose che nel passato. Si calcola che siano circa 200 le persone morte a causa delle alluvioni e degli smottamenti provocati dalle piogge torrenziali negli ultimi giorni di settembre. A queste vanno aggiunte altre 194 persone che sono rimaste ferite e 30 dispersi. Migliaia le case distrutte, le infrastrutture danneggiate, gli abitanti che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Negli Usa, in Florida e North Carolina, l’uragano Helene ha fatto la voce grossa e ha provocato 180 vittime secondo il bilancio provvisorio. Era dal 2005 che negli Stati Uniti non si registrava un numero così alto di vittime a causa di un disastro naturale. Secondo gli scienziati il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza e l’intensità̀ di questi fenomeni che continuiamo a definire “naturali” ma che potrebbero trovare una soluzione o un attenuamento se solo cominciassimo sul serio a prenderci cura della nostra casa comune.]]>

Facciamo bene a raccontare i conflitti in corso che sempre di più assumono i contorni di massacri e carneficine, ma non possiamo per questo dimenticare quell’altra guerra in atto contro l’ambiente che, per questo, continua a presentarci il suo conto. Le piogge monsoniche in Nepal si sono fatte più violente e disastrose che nel passato. Si calcola che siano circa 200 le persone morte a causa delle alluvioni e degli smottamenti provocati dalle piogge torrenziali negli ultimi giorni di settembre. A queste vanno aggiunte altre 194 persone che sono rimaste ferite e 30 dispersi. Migliaia le case distrutte, le infrastrutture danneggiate, gli abitanti che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Negli Usa, in Florida e North Carolina, l’uragano Helene ha fatto la voce grossa e ha provocato 180 vittime secondo il bilancio provvisorio. Era dal 2005 che negli Stati Uniti non si registrava un numero così alto di vittime a causa di un disastro naturale. Secondo gli scienziati il cambiamento climatico sta aumentando la frequenza e l’intensità̀ di questi fenomeni che continuiamo a definire “naturali” ma che potrebbero trovare una soluzione o un attenuamento se solo cominciassimo sul serio a prenderci cura della nostra casa comune.]]>
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Pensionati. Intervista a Luigi Fabiani, segretario della Fnp Cisl Umbria https://www.lavoce.it/pensionati-intervista-a-luigi-fabiani-segretario-della-fnp-cisl-umbria/ https://www.lavoce.it/pensionati-intervista-a-luigi-fabiani-segretario-della-fnp-cisl-umbria/#respond Thu, 10 Oct 2024 10:24:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77918 Luigi Fabiani a mezzo busto sullo sfondo il manifesto della Cisl Umbria

Umbria terra di santi, mancava solo un sindacato che avesse un patrono protettore. E invece, dal 2022 santa Rita è la protettrice della Fnp (Federazione nazionale pensionati) Cisl Umbria, unico caso in Italia di un’organizzazione sindacale che possa vantare una patrona. Proprio nella basilica di Santa Rita a Cascia, il 28 settembre, è stata celebrata una liturgia dedicata. “Santa Rita è l’espressione più pura del cristianesimo – spiega Luigi Fabiani, segretario generale regionale Fnp Cisl –, un punto di riferimento per i laici, in virtù della solidarietà e del bene comune che esprime la sua figura. Una patrona che accomuna, con la sua storia e il suo esempio, cattolici e laici. Per un messaggio quanto mai attuale, e che ha portato oggi Papa Francesco a parlare di Terza guerra mondiale a pezzi”.

Perchè la scelta di santa Rita come patrona

Considerando le origini della Cisl, sindacato cattolico, la scelta non suona così fuori luogo. “Ci riconosciamo nei princìpi cristiani – sottolinea ancora Fabiani –, come la solidarietà, la fratellanza, l’attenzione agli ultimi”. Ma perché la scelta proprio sulla santa dei casi impossibili? “L’idea venne a Ilio Carlini, nostro dirigente sindacale di Terni – racconta – e così nel 2022 a Cascia abbiamo fatto un Consiglio generale con l’ordine del giorno di istituire santa Rita come protettrice della nostra federazione regionale; e dopo due anni siamo ancora qui a ricordarlo”. Una giornata speciale che ha visto riunite circa 300 persone e i segretari nazionali e regionali. Arricchita dalla cerimonia di premiazione di 40 ex dirigenti over 80 e l’ufficializzazione, nero su bianco, del gemellaggio tra la Fnp dell’Umbria e quella delle Marche. Il percorso, si augura il segretario Luigi Fabiani, è che possa concludersi con l’istituzione di santa Rita protettrice nazionale dei pensionati Cisl: “Naturalmente è una decisione che dovrebbe avere il consenso unanime di tutti”.

Il gemellaggio con la Fnp delle Marche

Quanto al gemellaggio con la Fnp delle Marche, Fabiani poi dichiara: “Con questa Regione confinante condividiamo gli stessi problemi. Lo spopolamento dei paesi di montagna, l’invecchiamento, con la conseguente mancanza dei servizi essenziali, come la chiusura degli uffici postali e la desertificazione bancaria. Unendo le forze, facendo rete, magari possiamo affrontare insieme le criticità e trovare una soluzione”.

Qualche numero

La Federazione nazionale pensionati della Cisl Umbria conta circa 35 mila iscritti. L’Umbria, si sa, è una delle Regioni italiane tra le più anziane. Viviamo in un Paese in cui la natalità è ai minimi storici; e tutto questo si ripercuote sui costi sociali. Dati alla mano, gli anziani over 65 nel Bel Paese rappresentano il 24% della popolazione residente, nel 2050 saranno il 34,9%. Tenuto conto che la non autosufficienza è direttamente proporzionale all’invecchiamento, 5,4 milioni di anziani avranno gravi limitazioni.

“Una popolazione – aggiunge Fabiani – che, quindi, richiede un livello di assistenza a cui il Paese, nel suo insieme, non riesce a dare risposte adeguate, con le famiglie che si trovano spesso sole nel gestire una persona non autosufficiente o devono fare ricorso a colf e badanti. In questo contesto si inserisce l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 29 del 2024 su ‘Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane’, che attua la riforma del sistema di assistenza per gli anziani, ottemperando il progetto di riforma inserito tra gli obiettivi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza)”.

Una riforma per tanti non sufficiente – conclude il segretario generale regionale Fnp Cisl –, ma che in realtà rappresenta un passo in avanti dopo trent’anni di stallo, per allineare l’Italia ai principali Stati dell’Unione europea, e che evidenzia una generale presa di coscienza dell’invecchiamento della popolazione del nostro Paese e riconosce il ruolo degli anziani nella società. L’obiettivo complessivo è di promuovere un percorso di riforma per introdurre un sistema organico di interventi in favore degli over 65, da una parte, l’invecchiamento attivo; e dall’altra, l’inclusione sociale, l’assistenza e la cura degli stessi, soprattutto quando sono fragili o non autosufficienti. La strada è ancora lunga, ma è stato gettato un seme”.

Rosaria Parrilla
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Luigi Fabiani a mezzo busto sullo sfondo il manifesto della Cisl Umbria

Umbria terra di santi, mancava solo un sindacato che avesse un patrono protettore. E invece, dal 2022 santa Rita è la protettrice della Fnp (Federazione nazionale pensionati) Cisl Umbria, unico caso in Italia di un’organizzazione sindacale che possa vantare una patrona. Proprio nella basilica di Santa Rita a Cascia, il 28 settembre, è stata celebrata una liturgia dedicata. “Santa Rita è l’espressione più pura del cristianesimo – spiega Luigi Fabiani, segretario generale regionale Fnp Cisl –, un punto di riferimento per i laici, in virtù della solidarietà e del bene comune che esprime la sua figura. Una patrona che accomuna, con la sua storia e il suo esempio, cattolici e laici. Per un messaggio quanto mai attuale, e che ha portato oggi Papa Francesco a parlare di Terza guerra mondiale a pezzi”.

Perchè la scelta di santa Rita come patrona

Considerando le origini della Cisl, sindacato cattolico, la scelta non suona così fuori luogo. “Ci riconosciamo nei princìpi cristiani – sottolinea ancora Fabiani –, come la solidarietà, la fratellanza, l’attenzione agli ultimi”. Ma perché la scelta proprio sulla santa dei casi impossibili? “L’idea venne a Ilio Carlini, nostro dirigente sindacale di Terni – racconta – e così nel 2022 a Cascia abbiamo fatto un Consiglio generale con l’ordine del giorno di istituire santa Rita come protettrice della nostra federazione regionale; e dopo due anni siamo ancora qui a ricordarlo”. Una giornata speciale che ha visto riunite circa 300 persone e i segretari nazionali e regionali. Arricchita dalla cerimonia di premiazione di 40 ex dirigenti over 80 e l’ufficializzazione, nero su bianco, del gemellaggio tra la Fnp dell’Umbria e quella delle Marche. Il percorso, si augura il segretario Luigi Fabiani, è che possa concludersi con l’istituzione di santa Rita protettrice nazionale dei pensionati Cisl: “Naturalmente è una decisione che dovrebbe avere il consenso unanime di tutti”.

Il gemellaggio con la Fnp delle Marche

Quanto al gemellaggio con la Fnp delle Marche, Fabiani poi dichiara: “Con questa Regione confinante condividiamo gli stessi problemi. Lo spopolamento dei paesi di montagna, l’invecchiamento, con la conseguente mancanza dei servizi essenziali, come la chiusura degli uffici postali e la desertificazione bancaria. Unendo le forze, facendo rete, magari possiamo affrontare insieme le criticità e trovare una soluzione”.

Qualche numero

La Federazione nazionale pensionati della Cisl Umbria conta circa 35 mila iscritti. L’Umbria, si sa, è una delle Regioni italiane tra le più anziane. Viviamo in un Paese in cui la natalità è ai minimi storici; e tutto questo si ripercuote sui costi sociali. Dati alla mano, gli anziani over 65 nel Bel Paese rappresentano il 24% della popolazione residente, nel 2050 saranno il 34,9%. Tenuto conto che la non autosufficienza è direttamente proporzionale all’invecchiamento, 5,4 milioni di anziani avranno gravi limitazioni.

“Una popolazione – aggiunge Fabiani – che, quindi, richiede un livello di assistenza a cui il Paese, nel suo insieme, non riesce a dare risposte adeguate, con le famiglie che si trovano spesso sole nel gestire una persona non autosufficiente o devono fare ricorso a colf e badanti. In questo contesto si inserisce l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 29 del 2024 su ‘Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane’, che attua la riforma del sistema di assistenza per gli anziani, ottemperando il progetto di riforma inserito tra gli obiettivi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza)”.

Una riforma per tanti non sufficiente – conclude il segretario generale regionale Fnp Cisl –, ma che in realtà rappresenta un passo in avanti dopo trent’anni di stallo, per allineare l’Italia ai principali Stati dell’Unione europea, e che evidenzia una generale presa di coscienza dell’invecchiamento della popolazione del nostro Paese e riconosce il ruolo degli anziani nella società. L’obiettivo complessivo è di promuovere un percorso di riforma per introdurre un sistema organico di interventi in favore degli over 65, da una parte, l’invecchiamento attivo; e dall’altra, l’inclusione sociale, l’assistenza e la cura degli stessi, soprattutto quando sono fragili o non autosufficienti. La strada è ancora lunga, ma è stato gettato un seme”.

Rosaria Parrilla
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Sporchi interessi dietro i missili https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/ https://www.lavoce.it/sporchi-interessi-dietro-i-missili/#respond Wed, 09 Oct 2024 17:13:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77901

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>

A un anno di distanza, in Medio Oriente la marcia verso la guerra totale subisce nuove accelerazioni. Dal canto suo, Netanyahu recupera dal lessico di George W. Bush la formula della “lotta all’asse del male”. L’operazione “Promessa vera 2” ha rotto gli indugi. Quella del 14 aprile fu lanciata a due settimane dall’attacco alla sede diplomatica a Damasco. Stavolta la rappresaglia pendeva da più tempo: dal 31 luglio, giorno dell’omicidio a Teheran di Haniyeh, leader di Hamas, sospesa in cambio di una tregua a Gaza. Poi la serie di altri colpi, fino all’operazione “Ordine nuovo” sul Libano e le uccisioni di Nasrallah e del generale iraniano Nilforoushan. La goccia della tracimazione si è ingrossata con il discorso rivolto da Netanyahu al popolo iraniano: un misto di minaccia e invito alla sollevazione contro una teocrazia che semina guerre nei cinque Continenti. L’Iran ha voluto riaffermare la deterrenza, quando il temporeggiamento è parso sulla soglia oltre la quale si chiama debolezza. E si è ritenuto che il lungo rinvio della risposta – comunque lanciata previo avviso a Washington – avesse già maturato l’intento di scongiurare la reazione a caldo degli Usa, il cui establishment, in Iran come altrove, viene giudicato impulsivo e di vista corta. Infine Teheran ha voluto marcare le differenze, contrapponendo la risposta calibrata sulla legalità internazionale alle abnormi violazioni di Israele, che aggiorna la sua dottrina del “cane pazzo” nelle mattanze indiscriminate a Gaza, mentre in Libano è già catastrofe umanitaria e si sventra un quartiere per uccidere Nasrallah mentre questi stava dialogando con Francia e Usa. Ma ciò non basta a interrompere i raid sul Libano, che hanno tre “pregi”: non contrariare i sudditi delle petrolmonarchie sunnite, rilanciare i consensi interni a Netanyahu e propiziare altri inneschi per coinvolgere gli Usa. Eventualità perseguita anche tentando l’invasione terrestre, che si scontra con la preparazione dei guerriglieri sciiti di Hezbollah e un’Idf (esercito israeliano) inadatta a guerre lunghe e multifronte. Nel frattempo i caschi blu Unifil, lì dal 1978 per interporsi, passivi schivano i colpi. Mentre pensa a cosa colpire dell’Iran (anche siti nucleari?), il Governo israeliano mette nel mirino anche la Siria. La quale, assieme a Iran, Libano, Iraq, Gaza, Cisgiordania e Yemen, è implicata nel “Nuovo ordine mediorientale” illustrato da Netanyahu all’Assemblea Onu. Osservando bene, si nota che ad accomunare i “benedetti” (democrazie o sultanismi feudali che siano) è la partecipazione al corridoio tra India ed Europa, siglato al G20 di Nuova Delhi un mese prima dell’assalto del 7 ottobre. Il fattore economico concorre a spiegare l’escalation e la proietta nella cornice di contese più ampie. Che non lasciano indifferenti Mosca, dati i nessi geostrategici tra la destabilizzazione siriana e l’atlantizzazione del Mar Nero per interposta Ucraina. L’interruttore per spegnere la miccia sta a Washington. Ma osta l’influenza dei profeti neo-conservatori incistati negli apparati, e trasversali ai due partiti. Ma fin dove spingersi? Fino una guerra totale? Del tipo che l’acribia geopolitica di Papa Francesco paventa all’orizzonte. Parlando in Lussemburgo, il Santo Padre ha sostituito la formula “terza guerra mondiale a pezzi” con quella di “guerra ormai quasi mondiale”: un passo avanti verso il baratro, sospinto da brame interconnesse, coltivate all’ombra di “missioni storiche” nel sopore di molte menti e di troppe coscienze. Giuseppe Casale Pontificia università lateranense]]>
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Giornata della Dislessia, il Serafico propone il “Quaderno DSA” https://www.lavoce.it/giornata-della-dislessia-il-serafico-propone-il-quaderno-dsa/ https://www.lavoce.it/giornata-della-dislessia-il-serafico-propone-il-quaderno-dsa/#respond Mon, 07 Oct 2024 12:00:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77885 Le braccia di un bambino che guarda davanti a sè un foglio con dei disegni, di fronte alla maestra che è di spalle, con un maglia nera, e di cui si vede solo la spalla e il braccio destro e la mano

In occasione della Giornata Internazionale della Dislessia, (8 ottobre) mentre si rinnova l’attenzione sul tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) - in Italia, circa il 3-5% dei bambini in età scolare ne è affetto, spesso senza una diagnosi tempestiva – arriva a supporto delle famiglie e delle scuole, il Quaderno DSA dell’Istituto Serafico di Assisi, un vademecum gratuito (è possibile scaricarlo qui >> https://www.serafico.org/wp-content/uploads/2020/03/Serafico_DSA_A4_impaginato_print.pdf) pieno di consigli pratici per riconoscere precocemente i segnali. Il Serafico, noto per la sua esperienza pluriennale nella diagnosi e nel trattamento dei Dsa, offre la possibilità di ricevere una diagnosi e una certificazione dei Dsa, ma soprattutto offre un percorso di trattamento individuale, un percorso completo che coinvolge famiglie, insegnanti e operatori sanitari, che può essere portato avanti fino alla conclusione della terza media per gli aspetti riabilitativi e fino alla conclusione della scuola superiore per il potenziamento educativo.

L'importanza di una diagnosi precoce di dislessia

L’importanza di una diagnosi tempestiva, riconoscendo presto questi segnali, può fare la differenza per il futuro di un bambino. Secondo il dottor Gianni Lanfaloni, responsabile del Centro per i Dsa del Serafico, “una diagnosi precoce e un intervento mirato possono ridurre notevolmente l’impatto del disturbo sulla vita scolastica e sociale”.

Il servizio del Serafico di Assisi per gli utenti esterni

Tra i servizi per gli utenti esterni, infatti, al Serafico c’è quello per la diagnosi, la certificazione e il trattamento dei Dsa ed è accreditato dalla Regione Umbria per la certificazione valida ai fini scolastici e lavorativi. “Quando parliamo di Dsa – continua Lanfaloni – facciamo riferimento a una serie di disturbi che si distinguono in dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia, che sono diagnosticabili alla fine della seconda e terza elementare; per i piccoli della prima, invece, si può verificare una possibilità di rischio” Ma come può un genitore accorgersi se il proprio figlio ha un disturbo dell’apprendimento? Grazie al “Quaderno DSA” del Serafico è possibile identificare alcuni segnali-chiave che potrebbero far scattare l’allarme e indirizzare verso un intervento precoce.

I segnali chiavi di un disturbo dell'apprendimento

  1. Difficoltà nella lettura fluente. Un bambino con dislessia può avere difficoltà a riconoscere lettere e parole in modo rapido e preciso; gli errori possono includere l’inversione di lettere simili come “m” e “n”, o il mancato riconoscimento di parole comuni.
  2. Lentezza nella decodifica del testo scritto. Se un bambino impiega molto più tempo rispetto ai suoi coetanei per leggere un brano, questo potrebbe essere un segnale di dislessia poiché la lentezza nella lettura spesso si accompagna a una comprensione del testo compromessa
  3. Errori frequenti di ortografia. Nei casi di disortografia, si riscontrano errori ortografici costanti, come confondere suoni simili (“f” e “v”, “b” e “p”) oppure omettere o aggiungere lettere nelle parole (es: “casa” diventa “casae”).
  4. Scrittura disorganizzata o illeggibile. La disgrafia si manifesta con una scrittura poco leggibile, disordinata e lenta; i bambini con disgrafia spesso trovano difficile mantenere le parole sulla linea o separare correttamente le lettere.
  5. Difficoltà nell’apprendimento delle tabelline o dei numeri. Nei bambini con discalculia può emergere una difficoltà a memorizzare le tabelline o a comprendere concetti numerici di base; può risultare complicato anche eseguire semplici operazioni matematiche, come sommare o sottrarre.
  6. Confusione tra simboli e numeri. La discalculia si manifesta anche con l’incapacità di distinguere correttamente simboli numerici, come confondere il 6 con il 9, o l’1 con il 7, creando problemi nell’apprendimento della matematica.
  7. Omissione di lettere o sillabe. Nei bambini dislessici un segnale precoce può essere la tendenza a omettere lettere o intere sillabe durante la lettura o la scrittura. Ad esempio, “prato” diventa “pato” o “fiuto” diventa “futo”.
  8. Difficoltà nell’orientamento spaziale e temporale. Un bambino con dislessia o discalculia può avere problemi a orientarsi nel tempo e nello spazio: difficoltà a seguire l’orario scolastico, a ricordare la sequenza dei giorni della settimana o a leggere l’orologio.
  9. Problemi di attenzione durante la lettura o la scrittura. Spesso i bambini con DSA tendono a distrarsi facilmente durante le attività di letto-scrittura, manifestando una scarsa attenzione e una lentezza nel completare i compiti.
  10. Segnali precoci nello sviluppo del linguaggio. Anche prima dell’inizio della scuola, alcuni bambini manifestano segnali di rischio DSA, come un ritardo nello sviluppo del linguaggio o difficoltà a “giocare” con i suoni delle parole, essenziali per l’apprendimento della lettura.

    Cosa offre il "Quaderno Dsa"

    Il “Quaderno DSA”, rivolto a genitori, educatori e insegnanti, offre strumenti pratici e informazioni cruciali per avviare un percorso di sostegno educativo e il Serafico, con la sua lunga esperienza, non solo offre un supporto clinico, ma anche educativo e psicologico, grazie a un approccio multidisciplinare personalizzato. Per un bambino con DSA un intervento precoce significa non solo migliorare le performance scolastiche, ma anche recuperare fiducia in se stesso e affrontare con serenità il percorso di crescita.
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Le braccia di un bambino che guarda davanti a sè un foglio con dei disegni, di fronte alla maestra che è di spalle, con un maglia nera, e di cui si vede solo la spalla e il braccio destro e la mano

In occasione della Giornata Internazionale della Dislessia, (8 ottobre) mentre si rinnova l’attenzione sul tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) - in Italia, circa il 3-5% dei bambini in età scolare ne è affetto, spesso senza una diagnosi tempestiva – arriva a supporto delle famiglie e delle scuole, il Quaderno DSA dell’Istituto Serafico di Assisi, un vademecum gratuito (è possibile scaricarlo qui >> https://www.serafico.org/wp-content/uploads/2020/03/Serafico_DSA_A4_impaginato_print.pdf) pieno di consigli pratici per riconoscere precocemente i segnali. Il Serafico, noto per la sua esperienza pluriennale nella diagnosi e nel trattamento dei Dsa, offre la possibilità di ricevere una diagnosi e una certificazione dei Dsa, ma soprattutto offre un percorso di trattamento individuale, un percorso completo che coinvolge famiglie, insegnanti e operatori sanitari, che può essere portato avanti fino alla conclusione della terza media per gli aspetti riabilitativi e fino alla conclusione della scuola superiore per il potenziamento educativo.

L'importanza di una diagnosi precoce di dislessia

L’importanza di una diagnosi tempestiva, riconoscendo presto questi segnali, può fare la differenza per il futuro di un bambino. Secondo il dottor Gianni Lanfaloni, responsabile del Centro per i Dsa del Serafico, “una diagnosi precoce e un intervento mirato possono ridurre notevolmente l’impatto del disturbo sulla vita scolastica e sociale”.

Il servizio del Serafico di Assisi per gli utenti esterni

Tra i servizi per gli utenti esterni, infatti, al Serafico c’è quello per la diagnosi, la certificazione e il trattamento dei Dsa ed è accreditato dalla Regione Umbria per la certificazione valida ai fini scolastici e lavorativi. “Quando parliamo di Dsa – continua Lanfaloni – facciamo riferimento a una serie di disturbi che si distinguono in dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia, che sono diagnosticabili alla fine della seconda e terza elementare; per i piccoli della prima, invece, si può verificare una possibilità di rischio” Ma come può un genitore accorgersi se il proprio figlio ha un disturbo dell’apprendimento? Grazie al “Quaderno DSA” del Serafico è possibile identificare alcuni segnali-chiave che potrebbero far scattare l’allarme e indirizzare verso un intervento precoce.

I segnali chiavi di un disturbo dell'apprendimento

  1. Difficoltà nella lettura fluente. Un bambino con dislessia può avere difficoltà a riconoscere lettere e parole in modo rapido e preciso; gli errori possono includere l’inversione di lettere simili come “m” e “n”, o il mancato riconoscimento di parole comuni.
  2. Lentezza nella decodifica del testo scritto. Se un bambino impiega molto più tempo rispetto ai suoi coetanei per leggere un brano, questo potrebbe essere un segnale di dislessia poiché la lentezza nella lettura spesso si accompagna a una comprensione del testo compromessa
  3. Errori frequenti di ortografia. Nei casi di disortografia, si riscontrano errori ortografici costanti, come confondere suoni simili (“f” e “v”, “b” e “p”) oppure omettere o aggiungere lettere nelle parole (es: “casa” diventa “casae”).
  4. Scrittura disorganizzata o illeggibile. La disgrafia si manifesta con una scrittura poco leggibile, disordinata e lenta; i bambini con disgrafia spesso trovano difficile mantenere le parole sulla linea o separare correttamente le lettere.
  5. Difficoltà nell’apprendimento delle tabelline o dei numeri. Nei bambini con discalculia può emergere una difficoltà a memorizzare le tabelline o a comprendere concetti numerici di base; può risultare complicato anche eseguire semplici operazioni matematiche, come sommare o sottrarre.
  6. Confusione tra simboli e numeri. La discalculia si manifesta anche con l’incapacità di distinguere correttamente simboli numerici, come confondere il 6 con il 9, o l’1 con il 7, creando problemi nell’apprendimento della matematica.
  7. Omissione di lettere o sillabe. Nei bambini dislessici un segnale precoce può essere la tendenza a omettere lettere o intere sillabe durante la lettura o la scrittura. Ad esempio, “prato” diventa “pato” o “fiuto” diventa “futo”.
  8. Difficoltà nell’orientamento spaziale e temporale. Un bambino con dislessia o discalculia può avere problemi a orientarsi nel tempo e nello spazio: difficoltà a seguire l’orario scolastico, a ricordare la sequenza dei giorni della settimana o a leggere l’orologio.
  9. Problemi di attenzione durante la lettura o la scrittura. Spesso i bambini con DSA tendono a distrarsi facilmente durante le attività di letto-scrittura, manifestando una scarsa attenzione e una lentezza nel completare i compiti.
  10. Segnali precoci nello sviluppo del linguaggio. Anche prima dell’inizio della scuola, alcuni bambini manifestano segnali di rischio DSA, come un ritardo nello sviluppo del linguaggio o difficoltà a “giocare” con i suoni delle parole, essenziali per l’apprendimento della lettura.

    Cosa offre il "Quaderno Dsa"

    Il “Quaderno DSA”, rivolto a genitori, educatori e insegnanti, offre strumenti pratici e informazioni cruciali per avviare un percorso di sostegno educativo e il Serafico, con la sua lunga esperienza, non solo offre un supporto clinico, ma anche educativo e psicologico, grazie a un approccio multidisciplinare personalizzato. Per un bambino con DSA un intervento precoce significa non solo migliorare le performance scolastiche, ma anche recuperare fiducia in se stesso e affrontare con serenità il percorso di crescita.
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Famiglia, chi è a favore e chi no della Legge regionale https://www.lavoce.it/famiglia-chi-e-a-favore-e-chi-no-della-legge-regionale/ https://www.lavoce.it/famiglia-chi-e-a-favore-e-chi-no-della-legge-regionale/#respond Thu, 03 Oct 2024 17:00:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77865 Foto di gruppo dei parteciapnti alla manifestazione delle associazioni pro legge famiglia umbra, con in mano i cartelli con gli slogan

Chi è a favore della legge

La famiglia da sempre riveste un ruolo fondamentale nella nostra società, anche se oggi è sempre più sgretolata. Termometro dei nostri tempi. Quello che stupisce, ma forse non più di tanto, è che la nuova legge regionale sulla famiglia non abbia accontentato tutti.

Il parere positivo di Vincenzo Aquino (Famiglie numerose)

Si sono creati due opposti ‘schieramenti’, tra chi la sostiene e la ritiene un modello innovativo da seguire, e chi la ritiene poco inclusiva e non all’altezza dei tempi.

Tra i vari sostenitori, Vincenzo Aquino, presidente regionale dell’Associazione famiglie numerose, che riunisce 1.100 nuclei dai tre figli in su. Aquino, essendo padre di 11 figli, di cui 7 maschi e 4 femmine, che vanno dai 14 ai 35 anni, conosce bene le difficoltà di una famiglia. E ritiene le polemiche nate attorno a questa legge: “Inutili”. Non solo perché si parla di 30 milioni di euro, ma anche perché durante l’iter c’è stata un’ampia partecipazione: “Abbiamo dato i nostri contributi, che sono stati accolti. Rappresenta un passo avanti importante per la nostra Regione. Anche perché mancava uno strumento più strutturato. E allo stato attuale, per noi famiglie numerose, ma anche per le giovani coppie, è un elemento di garanzia”.

Il fattore famiglia e il Dipartimento per la famiglia

Il riferimento è alla sperimentazione del ‘fattore famiglia’: “È una misura che allarga la platea di accesso a contributi e servizi, permettendo di ridistribuire in modo più equo i fondi a disposizione. Per rendere poi integrate e condivise le politiche per il sostegno famigliare, la legge istituisce il ‘Dipartimento per la famiglia’ con funzioni propositive, di coordinamento e monitoraggio degli effetti prodotti dagli interventi previsti nel piano triennale e valorizza il ruolo dell’associazionismo di supporto alle famiglie”.

La promozione della natalità

Per i sostenitori, la legge promuove in maniera concreta la natalità, anche a vantaggio delle famiglie monoparentali o fragili, aiuta la genitorialità per le coppie di fatto o in caso di separazione o divorzio, anche attraverso il sostegno psicologico e pratico nelle procedure per l’adozione o l’affido familiare. Istituisce poi un fondo per gli orfani e rafforza la mediazione familiare per la prevenzione e la lotta alla violenza domestica.

Crediamo nella famiglia naturale

Aquino su un punto però è chiaro: “Crediamo nella famiglia naturale, quella prevista dalla Costituzione. Purtroppo è una questione ideologica. Questo spiace, abbiamo il massimo rispetto per tutti, ma la legge è completa perché promuove la natalità in una Regione dove si fanno meno figli. Così, invece, ognuno nella piena libertà si sentirà più sicuro di fare il primo, il secondo o il terzo figlio”.

A favore anche Simona Morettini (Federvita Umbria)

Anche Simona Morettini, presidente di Federvita Umbria, è a favore: “Siamo un’associazione apartitica, a sostegno delle donne e delle famiglie”.  L’associazione infatti aiuta le donne che hanno difficoltà economiche a portare avanti una gravidanza e vede in questa nuova legge uno spiraglio in più, per chi si sente sola e ha timore di non farcela. “La legge prevede dei fondi rivolti proprio alla natalità – sottolinea la presidente Morettini –, dal terzo mese di gravidanza fino al primo anno di vita del bambino, quindi si tratta di un aiuto concreto dal punto di vista economico. Per questo la reputiamo una buona legge. Purtroppo le polemiche sono ideologiche e questo spiace, ma fa parte del contraddittorio”.

Quello che è certo è la consapevolezza dell’importanza della legge, che arriva dai fronti del dissenso e del consenso, ma che divide su alcuni punti. Proprio come la nostra società, sempre più divisa.

Chi è a sfavore della legge

Il coro dei “no” contro la nuova legge regionale è stato ribadito anche durante la Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, che si è tenuta sabato scorso anche a Perugia, in piazza IV Novembre. La speranza infatti, dato che ormai la legge è stata approvata, è che semmai alle prossime regionali di novembre ci sia un cambio politico.

“Sappiamo – chiosa Giorgia Gaggiotti della Rete umbra per l’autodeterminazione – che non ci sono margini di miglioramento con questo interlocutore politico. Pertanto chiediamo a chi verrà dopo, se sarà di un altro colore politico, di cancellare questa legge”. E ribadisce la scelta di protestare ancora: “Questa legge regionale, che giaceva nei cassetti dal 2020, anche se ha visto miglioramenti, pur avendo inserito citazioni della Convenzione di Istanbul, in realtà non è cambiata nella sostanza. Il lessico ha un indirizzo ben preciso (‘famiglia’ e non ‘famiglie’ al plurale), che è quello di questa fantomatica famiglia naturale che antropologicamente non esiste, perché ogni società riconosce la famiglia in modo diverso. È una legge totalmente indirizzata verso un unico modello di famiglia anacronistica. Oltre al fatto che alcuni passaggi sono un copia e incolla del famoso ddl Pillon (ex senatore leghista) su cui abbiamo fatto tante battaglie”.

Legge non inclusiva

Il riferimento poi non poteva non andare alle famiglie arcobaleno, che in Umbria raccoglie l’adesione all’omonima associazione, con 30 iscritti. Gli autori della legge regionale “si rifanno alla Costituzione – ribadisce ancora Gaggiotti – che però parla di quella famiglia di quella società, mentre la società attuale nel frattempo è cambiata.

Ecco perché contestiamo questa legge: non è affatto inclusiva e rappresenta un ritorno al passato. Non riconosce a tutte le formazioni familiari, di qualsiasi tipo, il diritto all’assistenza, al riconoscimento giuridico e a usufruire dei diritti indirizzati invece verso la cosiddetta famiglia tradizionale”. Ma le criticità riguardano anche il settore sanità: “I consultori si chiameranno ‘Consultori delle famiglie’, che di fatto ingloberanno al loro interno anche le associazioni antiabortiste. Perciò una donna che, per qualsiasi motivo, decide di interrompere la propria gravidanza, avrà sempre più difficoltà”.

Le Famiglie arcobaleno

Tra i manifestanti anche le Famiglie arcobaleno. Daniel Baciarelli della segreteria nazionale e Giuseppe Barbieri, referente regionale, ribadiscono: “Faremo opposizione in tutte le sedi. Vogliamo capire il motivo della nostra esclusione. Siamo qui anche per difendere i diritti delle donne, che sono le figure più attaccate da questa legge, soprattutto per quanto riguarda il loro diritto di scelta sul proprio corpo e nell’accesso ai servizi di cui dovrebbero disporre”.

Il no di Emma Pavanelli (5Stelle)

Anche la senatrice dei cinquestelle Emma Pavanelli ha ribadito il suo no: “Vogliamo far sentire la nostra voce contro una legge che non è sulle famiglie. E poi ci sono altre criticità che sono presenti nel testo, come per esempio – vista la Giornata di oggi – le difficoltà che le donne incontrano nella nostra Regione a far valere le proprie scelte”.

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Foto di gruppo dei parteciapnti alla manifestazione delle associazioni pro legge famiglia umbra, con in mano i cartelli con gli slogan

Chi è a favore della legge

La famiglia da sempre riveste un ruolo fondamentale nella nostra società, anche se oggi è sempre più sgretolata. Termometro dei nostri tempi. Quello che stupisce, ma forse non più di tanto, è che la nuova legge regionale sulla famiglia non abbia accontentato tutti.

Il parere positivo di Vincenzo Aquino (Famiglie numerose)

Si sono creati due opposti ‘schieramenti’, tra chi la sostiene e la ritiene un modello innovativo da seguire, e chi la ritiene poco inclusiva e non all’altezza dei tempi.

Tra i vari sostenitori, Vincenzo Aquino, presidente regionale dell’Associazione famiglie numerose, che riunisce 1.100 nuclei dai tre figli in su. Aquino, essendo padre di 11 figli, di cui 7 maschi e 4 femmine, che vanno dai 14 ai 35 anni, conosce bene le difficoltà di una famiglia. E ritiene le polemiche nate attorno a questa legge: “Inutili”. Non solo perché si parla di 30 milioni di euro, ma anche perché durante l’iter c’è stata un’ampia partecipazione: “Abbiamo dato i nostri contributi, che sono stati accolti. Rappresenta un passo avanti importante per la nostra Regione. Anche perché mancava uno strumento più strutturato. E allo stato attuale, per noi famiglie numerose, ma anche per le giovani coppie, è un elemento di garanzia”.

Il fattore famiglia e il Dipartimento per la famiglia

Il riferimento è alla sperimentazione del ‘fattore famiglia’: “È una misura che allarga la platea di accesso a contributi e servizi, permettendo di ridistribuire in modo più equo i fondi a disposizione. Per rendere poi integrate e condivise le politiche per il sostegno famigliare, la legge istituisce il ‘Dipartimento per la famiglia’ con funzioni propositive, di coordinamento e monitoraggio degli effetti prodotti dagli interventi previsti nel piano triennale e valorizza il ruolo dell’associazionismo di supporto alle famiglie”.

La promozione della natalità

Per i sostenitori, la legge promuove in maniera concreta la natalità, anche a vantaggio delle famiglie monoparentali o fragili, aiuta la genitorialità per le coppie di fatto o in caso di separazione o divorzio, anche attraverso il sostegno psicologico e pratico nelle procedure per l’adozione o l’affido familiare. Istituisce poi un fondo per gli orfani e rafforza la mediazione familiare per la prevenzione e la lotta alla violenza domestica.

Crediamo nella famiglia naturale

Aquino su un punto però è chiaro: “Crediamo nella famiglia naturale, quella prevista dalla Costituzione. Purtroppo è una questione ideologica. Questo spiace, abbiamo il massimo rispetto per tutti, ma la legge è completa perché promuove la natalità in una Regione dove si fanno meno figli. Così, invece, ognuno nella piena libertà si sentirà più sicuro di fare il primo, il secondo o il terzo figlio”.

A favore anche Simona Morettini (Federvita Umbria)

Anche Simona Morettini, presidente di Federvita Umbria, è a favore: “Siamo un’associazione apartitica, a sostegno delle donne e delle famiglie”.  L’associazione infatti aiuta le donne che hanno difficoltà economiche a portare avanti una gravidanza e vede in questa nuova legge uno spiraglio in più, per chi si sente sola e ha timore di non farcela. “La legge prevede dei fondi rivolti proprio alla natalità – sottolinea la presidente Morettini –, dal terzo mese di gravidanza fino al primo anno di vita del bambino, quindi si tratta di un aiuto concreto dal punto di vista economico. Per questo la reputiamo una buona legge. Purtroppo le polemiche sono ideologiche e questo spiace, ma fa parte del contraddittorio”.

Quello che è certo è la consapevolezza dell’importanza della legge, che arriva dai fronti del dissenso e del consenso, ma che divide su alcuni punti. Proprio come la nostra società, sempre più divisa.

Chi è a sfavore della legge

Il coro dei “no” contro la nuova legge regionale è stato ribadito anche durante la Giornata internazionale per l’aborto libero e sicuro, che si è tenuta sabato scorso anche a Perugia, in piazza IV Novembre. La speranza infatti, dato che ormai la legge è stata approvata, è che semmai alle prossime regionali di novembre ci sia un cambio politico.

“Sappiamo – chiosa Giorgia Gaggiotti della Rete umbra per l’autodeterminazione – che non ci sono margini di miglioramento con questo interlocutore politico. Pertanto chiediamo a chi verrà dopo, se sarà di un altro colore politico, di cancellare questa legge”. E ribadisce la scelta di protestare ancora: “Questa legge regionale, che giaceva nei cassetti dal 2020, anche se ha visto miglioramenti, pur avendo inserito citazioni della Convenzione di Istanbul, in realtà non è cambiata nella sostanza. Il lessico ha un indirizzo ben preciso (‘famiglia’ e non ‘famiglie’ al plurale), che è quello di questa fantomatica famiglia naturale che antropologicamente non esiste, perché ogni società riconosce la famiglia in modo diverso. È una legge totalmente indirizzata verso un unico modello di famiglia anacronistica. Oltre al fatto che alcuni passaggi sono un copia e incolla del famoso ddl Pillon (ex senatore leghista) su cui abbiamo fatto tante battaglie”.

Legge non inclusiva

Il riferimento poi non poteva non andare alle famiglie arcobaleno, che in Umbria raccoglie l’adesione all’omonima associazione, con 30 iscritti. Gli autori della legge regionale “si rifanno alla Costituzione – ribadisce ancora Gaggiotti – che però parla di quella famiglia di quella società, mentre la società attuale nel frattempo è cambiata.

Ecco perché contestiamo questa legge: non è affatto inclusiva e rappresenta un ritorno al passato. Non riconosce a tutte le formazioni familiari, di qualsiasi tipo, il diritto all’assistenza, al riconoscimento giuridico e a usufruire dei diritti indirizzati invece verso la cosiddetta famiglia tradizionale”. Ma le criticità riguardano anche il settore sanità: “I consultori si chiameranno ‘Consultori delle famiglie’, che di fatto ingloberanno al loro interno anche le associazioni antiabortiste. Perciò una donna che, per qualsiasi motivo, decide di interrompere la propria gravidanza, avrà sempre più difficoltà”.

Le Famiglie arcobaleno

Tra i manifestanti anche le Famiglie arcobaleno. Daniel Baciarelli della segreteria nazionale e Giuseppe Barbieri, referente regionale, ribadiscono: “Faremo opposizione in tutte le sedi. Vogliamo capire il motivo della nostra esclusione. Siamo qui anche per difendere i diritti delle donne, che sono le figure più attaccate da questa legge, soprattutto per quanto riguarda il loro diritto di scelta sul proprio corpo e nell’accesso ai servizi di cui dovrebbero disporre”.

Il no di Emma Pavanelli (5Stelle)

Anche la senatrice dei cinquestelle Emma Pavanelli ha ribadito il suo no: “Vogliamo far sentire la nostra voce contro una legge che non è sulle famiglie. E poi ci sono altre criticità che sono presenti nel testo, come per esempio – vista la Giornata di oggi – le difficoltà che le donne incontrano nella nostra Regione a far valere le proprie scelte”.

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Ai killer robot non interessa chi muore https://www.lavoce.it/ai-killer-robot-non-interessa-chi-muore/ https://www.lavoce.it/ai-killer-robot-non-interessa-chi-muore/#respond Thu, 03 Oct 2024 08:37:33 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77830

Mentre le Nazioni unite e il “Gruppo degli esperti governativi sulle tecnologie emergenti nel settore dei sistemi di armi autonome letali” continuano a discutere, i Killer robot vengono ampiamente utilizzati nei conflitti in corso. Sono sistemi d’arma che utilizzano gli standard più avanzati dell’intelligenza artificiale per colpire strutture e persone senza il controllo, la verifica e la decisione finale da parte di un essere umano. Ormai da tempo alcune fonti militari israeliane hanno rivelato il largo impiego dei sistemi Lavender e Gospel nella Striscia di Gaza e, si suppone, anche in Libano. Il sistema Lavender utilizza una grande quantità di informazioni che l’intelligence israeliana ha raccolto sui cittadini della Striscia di Gaza nel corso degli anni. Si tratta di dati personali e biometrici raccolti tramite intercettazioni e rilevamenti da droni che riguardano comportamenti (frequentazioni, idee politiche…), modelli di comunicazione, connessioni ai social media e cambi frequenti di indirizzo. A ciascuna/o cittadina/o viene assegnato un punteggio circa la sua potenziale pericolosità. Il sistema Gospel si comporta allo stesso modo riguardo alle strutture e, in particolare, su quella che viene definita la metropolitana di Gaza, la fittissima rete dei cammini sotterranei. Ogni qualvolta che Lavender individua un obiettivo pericoloso, invia un impulso che permette il lancio di un missile o altra arma che uccide la persona individuata senza alcun riguardo per le altre che ne vengono coinvolte. È così che siamo arrivati al numero impressionante di vittime che si contano fino ad oggi in quei contesti di guerra. Serve urgentemente quantomeno una legislazione mondiale per la messa al bando delle armi autonome letali.]]>

Mentre le Nazioni unite e il “Gruppo degli esperti governativi sulle tecnologie emergenti nel settore dei sistemi di armi autonome letali” continuano a discutere, i Killer robot vengono ampiamente utilizzati nei conflitti in corso. Sono sistemi d’arma che utilizzano gli standard più avanzati dell’intelligenza artificiale per colpire strutture e persone senza il controllo, la verifica e la decisione finale da parte di un essere umano. Ormai da tempo alcune fonti militari israeliane hanno rivelato il largo impiego dei sistemi Lavender e Gospel nella Striscia di Gaza e, si suppone, anche in Libano. Il sistema Lavender utilizza una grande quantità di informazioni che l’intelligence israeliana ha raccolto sui cittadini della Striscia di Gaza nel corso degli anni. Si tratta di dati personali e biometrici raccolti tramite intercettazioni e rilevamenti da droni che riguardano comportamenti (frequentazioni, idee politiche…), modelli di comunicazione, connessioni ai social media e cambi frequenti di indirizzo. A ciascuna/o cittadina/o viene assegnato un punteggio circa la sua potenziale pericolosità. Il sistema Gospel si comporta allo stesso modo riguardo alle strutture e, in particolare, su quella che viene definita la metropolitana di Gaza, la fittissima rete dei cammini sotterranei. Ogni qualvolta che Lavender individua un obiettivo pericoloso, invia un impulso che permette il lancio di un missile o altra arma che uccide la persona individuata senza alcun riguardo per le altre che ne vengono coinvolte. È così che siamo arrivati al numero impressionante di vittime che si contano fino ad oggi in quei contesti di guerra. Serve urgentemente quantomeno una legislazione mondiale per la messa al bando delle armi autonome letali.]]>
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I confini non sono “sacri” ma necessari https://www.lavoce.it/i-confini-non-sono-sacri-ma-necessari/ https://www.lavoce.it/i-confini-non-sono-sacri-ma-necessari/#respond Wed, 02 Oct 2024 17:00:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77823

La settimana scorsa ho redarguito Matteo Salvini (si fa per dire: a lui non può importargliene di meno, ammesso che lo venga mai a sapere) perché si era vantato di avere difeso i sacri confini della Patria. Ma l’ho fatto perché ne aveva parlato vergognosamente a sproposito; altrimenti il valore dei confini nazionali e della loro difesa va preso molto sul serio. Nei rapporti fra privati cittadini, uno dei fattori più importanti per una convivenza pacifica è la certezza del diritto; ossia che ciascuno possa sapere che cosa è suo e che cosa è di altri; che cosa può chiedere, e a chi, e che cosa deve dare, e a chi. E che insieme a queste certezze abbia anche la fiducia che gli altri rispetteranno i suoi diritti quanto lui rispetterà i loro. Questi concetti – fatte le dovute proporzioni – valgono anche nei rapporti fra gli Stati. Da questo punto di vista, la certezza dei confini e la possibilità di fidarsi che saranno rispettati sono essenziali garanzie di pace, fino a che durano. Al mondo ci sono circa 200 Stati (la cifra è approssimativa perché alcune situazioni sono ancora in via di definizione, come quella dell’Autorità nazionale palestinese); in termini di estensione territoriale il più grande è la Russia, il più piccolo il Vaticano. Ma per il diritto internazionale hanno tutti la stessa dignità e gli stessi diritti; a partire dal diritto sul proprio territorio e al rispetto dei propri confini. Questi, una volta che gli Stati interessati li hanno concordati formalmente o li hanno riconosciuti di fatto, possono essere modificati solo consensualmente. Se uno Stato invade con la forza il territorio di un altro Stato – come l’Italia nel 1940 con la Grecia o la Russia nel 2022 con l’Ucraina – questo è un atto di guerra, e chi è stato aggredito ha il diritto di reagire. Come tutte le regole del diritto, anche questa protegge il più debole dalla prepotenza del più forte; altrimenti trionferebbe il paradosso – che Platone in uno dei suoi dialoghi mette in bocca all’immaginario personaggio Callicle – secondo cui è legge di natura che il forte vinca sul debole, e se è legge di natura è giusto che vada così. Invece non è giusto che il forte prevalga solo perché è il più forte. Non è questo il mondo che vogliamo. Faccio con amarezza queste riflessioni mentre in Medio Oriente (e altrove) i confini vengono travolti da eserciti in movimento.]]>

La settimana scorsa ho redarguito Matteo Salvini (si fa per dire: a lui non può importargliene di meno, ammesso che lo venga mai a sapere) perché si era vantato di avere difeso i sacri confini della Patria. Ma l’ho fatto perché ne aveva parlato vergognosamente a sproposito; altrimenti il valore dei confini nazionali e della loro difesa va preso molto sul serio. Nei rapporti fra privati cittadini, uno dei fattori più importanti per una convivenza pacifica è la certezza del diritto; ossia che ciascuno possa sapere che cosa è suo e che cosa è di altri; che cosa può chiedere, e a chi, e che cosa deve dare, e a chi. E che insieme a queste certezze abbia anche la fiducia che gli altri rispetteranno i suoi diritti quanto lui rispetterà i loro. Questi concetti – fatte le dovute proporzioni – valgono anche nei rapporti fra gli Stati. Da questo punto di vista, la certezza dei confini e la possibilità di fidarsi che saranno rispettati sono essenziali garanzie di pace, fino a che durano. Al mondo ci sono circa 200 Stati (la cifra è approssimativa perché alcune situazioni sono ancora in via di definizione, come quella dell’Autorità nazionale palestinese); in termini di estensione territoriale il più grande è la Russia, il più piccolo il Vaticano. Ma per il diritto internazionale hanno tutti la stessa dignità e gli stessi diritti; a partire dal diritto sul proprio territorio e al rispetto dei propri confini. Questi, una volta che gli Stati interessati li hanno concordati formalmente o li hanno riconosciuti di fatto, possono essere modificati solo consensualmente. Se uno Stato invade con la forza il territorio di un altro Stato – come l’Italia nel 1940 con la Grecia o la Russia nel 2022 con l’Ucraina – questo è un atto di guerra, e chi è stato aggredito ha il diritto di reagire. Come tutte le regole del diritto, anche questa protegge il più debole dalla prepotenza del più forte; altrimenti trionferebbe il paradosso – che Platone in uno dei suoi dialoghi mette in bocca all’immaginario personaggio Callicle – secondo cui è legge di natura che il forte vinca sul debole, e se è legge di natura è giusto che vada così. Invece non è giusto che il forte prevalga solo perché è il più forte. Non è questo il mondo che vogliamo. Faccio con amarezza queste riflessioni mentre in Medio Oriente (e altrove) i confini vengono travolti da eserciti in movimento.]]>
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San Francesco: sarà la Sicilia a portare l’olio per la lampada https://www.lavoce.it/san-francesco-sara-la-sicilia-a-portare-lolio-per-la-lampada/ https://www.lavoce.it/san-francesco-sara-la-sicilia-a-portare-lolio-per-la-lampada/#respond Wed, 02 Oct 2024 15:47:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77842 pellegrini di spalle sullo sfondo la basilica superiore di San Francesco ad Assisi

Nell’ottocentesimo anniversario dell’impressione delle stimmate ricevute a La Verna nel 1224, la città di san Francesco accoglie quest’anno i circa cinquemila pellegrini e le istituzioni provenienti dalla Sicilia per le celebrazioni della festa di san Francesco, patrono d’Italia.

La Sicilia accenderà la lampada votiva

Così, a 21 anni di distanza dall’ultima volta, la Regione più grande d’Italia torna ad Assisi donando l’olio che alimenta la lampada votiva dei Comuni d’Italia che arde sulla tomba del Santo. Ad accenderla il 4 ottobre durante la celebrazione in basilica, presieduta da mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana (diretta dalle ore 10 su Rai1), sarà il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, in rappresentanza di tutto il popolo italiano.

Le parole delle autorità civili e religiose

“È molto bello questo tocco francescano del cristianesimo – sottolinea mons. Raspanti –, che incarna tre concetti su cui vorremmo concentrarci: pace, fraternità e creato. Queste sono le tre parole che sottolineeremo con la nostra partecipazione, valori di cui vorremmo riappropriarci nella nostra vita quotidiana come Chiesa”.

Il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, ha parlato dell’olio che la Sicilia donerà come simbolo del lavoro della sua gente e come unione a san Francesco: “Questo atto, ricco di storia, è destinato a lasciare un segno profondo nella memoria collettiva della regione e dell’intera nazione, con l’impegno di costruire un futuro migliore, ispirato dai principi di giustizia e solidarietà che san Francesco ci ha insegnato”.

Mons. Domenico Sorrentino sottolinea da parte sua che quest’anno la festa di san Francesco “ci riporta al cuore del Vangelo: la croce. La croce come espressione dell’amore radicale quale è stato vissuto da Cristo sul Golgota: Francesco si immedesimò con lui, ricevendone anche i segni della Passione nel corpo. Ricordarlo ci fa bene, ci aiuta a portare le inevitabili croci quotidiane, ma soprattutto a diventare sempre più capaci di dare la nostra vita per i fratelli. È la sfida del Vangelo, da vivere e da annunciare”.

La sindaca di Assisi Stefania Proietti tiene a dare il benvenuto “ai nostri amici della Sicilia, ai primi cittadini e alle loro Amministrazioni, sottolineando la vocazione di Assisi, una città messaggio e speciale nell’accoglienza, portatrice di valori universali come la fraternità, la pace e il dialogo”.

Di “attualità e bellezza del messaggio del Poverello” ha parlato fra Massimo Travascio, Custode della Porziuncola. “La partecipazione della Regione Sicilia – ha detto – si traduce in un segno di apertura universale, solidale e rispettosa, in armonia con la fraternità, autentica profezia per l’oggi. È fondamentale, sull’esempio di san Francesco, una scelta di ‘minorità’, schierandosi al fianco delle vittime delle ingiustizie derivanti dai diversi conflitti di cui siamo testimoni e sforzandosi di porre fine alla insensata guerra alla nostra casa comune”.

Infine, il custode del Sacro Convento, fra Marco Moroni, sottolinea la capacità di accogliere, di “fare spazio all’altro”, della Sicilia, nonostante le difficoltà che ciò comporta. “Mi piace pensare che nel nome e nello stile di san Francesco d’Assisi, uomo fraterno e accogliente per eccellenza, questa ospitalità viene ricambiata agli amici siciliani, così numerosi in questi giorni ad Assisi. Essi ci faranno dono, semplicemente con la loro presenza, di questa ricchezza creatasi in secoli di incontri: e questo scambio, ancora una volta, sarà arricchimento reciproco nella consapevolezza che i valori essenziali nella vita sono proprio le persone”.

Andrea Rossi

Calendario degli eventi e delle celebrazioni

Giovedì 3 ottobre, alle ore 11, si tiene nella basilica di Santa Maria degli Angeli la messa del “Transito” presieduta da fra Francesco Piloni, ministro provinciale dei Frati minori di Umbria. Alle 15 al santuario della Spogliazione, i vescovi siciliani incontrano mons. Domenico Sorrentino. Alle 17.30 a Santa Maria degli Angeli, l’accoglienza delle autorità civili. Nella stessa sede, alle ore 21.30, la veglia con i giovani.

Venerdì 4 ottobre, alle ore 10 e in diretta su Rai1, la celebrazione eucaristica nella basilica superiore di San Francesco presieduta da Mons. Antonino Raspanti, presidente della Conferenza episcopale siciliana. Il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, accende la lampada votiva dei Comuni d’Italia con l’olio offerto dalla Regione Sicilia. Alle 11.30, dalla loggia del Sacro Convento, il saluto di fra Carlos A. Trovarelli, ministro generale dei Conventuali, e i messaggi istituzionali all’Italia con i saluti delle autorità; in rappresentanza del Governo presenzia il poeta Davide Rondoni. Alle ore 16, in basilica inferiore mons.

Guglielmo Giombanco, segretario della Conferenza episcopale siciliana, presiede i vespri pontificali; segue la processione alla chiesa superiore, e la benedizione all’Italia con la Chartula dal cupolino della basilica da parte di mons. Sorrentino.

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pellegrini di spalle sullo sfondo la basilica superiore di San Francesco ad Assisi

Nell’ottocentesimo anniversario dell’impressione delle stimmate ricevute a La Verna nel 1224, la città di san Francesco accoglie quest’anno i circa cinquemila pellegrini e le istituzioni provenienti dalla Sicilia per le celebrazioni della festa di san Francesco, patrono d’Italia.

La Sicilia accenderà la lampada votiva

Così, a 21 anni di distanza dall’ultima volta, la Regione più grande d’Italia torna ad Assisi donando l’olio che alimenta la lampada votiva dei Comuni d’Italia che arde sulla tomba del Santo. Ad accenderla il 4 ottobre durante la celebrazione in basilica, presieduta da mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana (diretta dalle ore 10 su Rai1), sarà il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, in rappresentanza di tutto il popolo italiano.

Le parole delle autorità civili e religiose

“È molto bello questo tocco francescano del cristianesimo – sottolinea mons. Raspanti –, che incarna tre concetti su cui vorremmo concentrarci: pace, fraternità e creato. Queste sono le tre parole che sottolineeremo con la nostra partecipazione, valori di cui vorremmo riappropriarci nella nostra vita quotidiana come Chiesa”.

Il presidente della Regione Sicilia, Renato Schifani, ha parlato dell’olio che la Sicilia donerà come simbolo del lavoro della sua gente e come unione a san Francesco: “Questo atto, ricco di storia, è destinato a lasciare un segno profondo nella memoria collettiva della regione e dell’intera nazione, con l’impegno di costruire un futuro migliore, ispirato dai principi di giustizia e solidarietà che san Francesco ci ha insegnato”.

Mons. Domenico Sorrentino sottolinea da parte sua che quest’anno la festa di san Francesco “ci riporta al cuore del Vangelo: la croce. La croce come espressione dell’amore radicale quale è stato vissuto da Cristo sul Golgota: Francesco si immedesimò con lui, ricevendone anche i segni della Passione nel corpo. Ricordarlo ci fa bene, ci aiuta a portare le inevitabili croci quotidiane, ma soprattutto a diventare sempre più capaci di dare la nostra vita per i fratelli. È la sfida del Vangelo, da vivere e da annunciare”.

La sindaca di Assisi Stefania Proietti tiene a dare il benvenuto “ai nostri amici della Sicilia, ai primi cittadini e alle loro Amministrazioni, sottolineando la vocazione di Assisi, una città messaggio e speciale nell’accoglienza, portatrice di valori universali come la fraternità, la pace e il dialogo”.

Di “attualità e bellezza del messaggio del Poverello” ha parlato fra Massimo Travascio, Custode della Porziuncola. “La partecipazione della Regione Sicilia – ha detto – si traduce in un segno di apertura universale, solidale e rispettosa, in armonia con la fraternità, autentica profezia per l’oggi. È fondamentale, sull’esempio di san Francesco, una scelta di ‘minorità’, schierandosi al fianco delle vittime delle ingiustizie derivanti dai diversi conflitti di cui siamo testimoni e sforzandosi di porre fine alla insensata guerra alla nostra casa comune”.

Infine, il custode del Sacro Convento, fra Marco Moroni, sottolinea la capacità di accogliere, di “fare spazio all’altro”, della Sicilia, nonostante le difficoltà che ciò comporta. “Mi piace pensare che nel nome e nello stile di san Francesco d’Assisi, uomo fraterno e accogliente per eccellenza, questa ospitalità viene ricambiata agli amici siciliani, così numerosi in questi giorni ad Assisi. Essi ci faranno dono, semplicemente con la loro presenza, di questa ricchezza creatasi in secoli di incontri: e questo scambio, ancora una volta, sarà arricchimento reciproco nella consapevolezza che i valori essenziali nella vita sono proprio le persone”.

Andrea Rossi

Calendario degli eventi e delle celebrazioni

Giovedì 3 ottobre, alle ore 11, si tiene nella basilica di Santa Maria degli Angeli la messa del “Transito” presieduta da fra Francesco Piloni, ministro provinciale dei Frati minori di Umbria. Alle 15 al santuario della Spogliazione, i vescovi siciliani incontrano mons. Domenico Sorrentino. Alle 17.30 a Santa Maria degli Angeli, l’accoglienza delle autorità civili. Nella stessa sede, alle ore 21.30, la veglia con i giovani.

Venerdì 4 ottobre, alle ore 10 e in diretta su Rai1, la celebrazione eucaristica nella basilica superiore di San Francesco presieduta da Mons. Antonino Raspanti, presidente della Conferenza episcopale siciliana. Il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, accende la lampada votiva dei Comuni d’Italia con l’olio offerto dalla Regione Sicilia. Alle 11.30, dalla loggia del Sacro Convento, il saluto di fra Carlos A. Trovarelli, ministro generale dei Conventuali, e i messaggi istituzionali all’Italia con i saluti delle autorità; in rappresentanza del Governo presenzia il poeta Davide Rondoni. Alle ore 16, in basilica inferiore mons.

Guglielmo Giombanco, segretario della Conferenza episcopale siciliana, presiede i vespri pontificali; segue la processione alla chiesa superiore, e la benedizione all’Italia con la Chartula dal cupolino della basilica da parte di mons. Sorrentino.

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Il ritorno dei referendum https://www.lavoce.it/il-ritorno-dei-referendum/ https://www.lavoce.it/il-ritorno-dei-referendum/#respond Wed, 02 Oct 2024 12:00:38 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77817

Tornano i referendum abrogativi. Riguardano autonomia differenziata, Jobs Act e cittadinanza, per un totale di sette quesiti che ora dovranno superare il vaglio di ammissibilità alla Corte costituzionale. Il responso è atteso per gennaio. Ma sull’autonomia ci sarà un primo passaggio cruciale già a novembre, quando la Consulta esaminerà i ricorsi che le Regioni guidate dal centro-sinistra hanno presentato utilizzando il canale diretto previsto dalla Costituzione. Perché il procedimento possa avere luogo, esse dovranno innanzitutto dimostrare che la legge Calderoli lede i loro interessi: è un caso giuridicamente molto sensibile, ulteriormente complicato dal fatto che non solo il Governo si costituirà in giudizio per difendere la legge, ma anche il Veneto impugnerà i ricorsi delle altre Regioni. Ma a cosa è dovuto questo ritorno? Le ultime consultazioni risalgono al 2022, quando sui quesiti in materia di giustizia si raggiunse a stento una partecipazione del 20%, abissalmente lontana dal quorum richiesto. Poi bisogna risalire al 2016, al quesito contro le trivellazioni marine, con un’affluenza che si fermò poco oltre il 30%. La tornata precedente, nell’ormai lontano 2011, fu l’ultima in cui i votanti superarono la soglia del 50% necessaria per la validità della consultazione; in quella circostanza vennero abrogate norme in diversi ambiti, dal nucleare all’acqua pubblica. Da allora, complice il progressivo incremento dell’astensionismo elettorale a ogni livello, il raggiungimento del quorum è diventato un ostacolo quasi insuperabile e questo ha sistematicamente scoraggiato altre iniziative. Come interpretare, dunque, la nuova impennata referendaria? È un segnale che può essere ricondotto alla crisi della rappresentanza politica tradizionale, ma è anche il sintomo di una vitalità democratica che non trova altri strumenti per esprimersi e coglie le opportunità offerte da iniziative che vanno al di là della pura e semplice dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione. Un dato nuovo è quello della possibilità della firma digitale. Il potenziale di tale innovazione è emerso con chiarezza a proposito del referendum sulla cittadinanza, il cui quesito è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 5 settembre e ha raggiunto il tetto delle 500 mila firme in meno di un mese. Tempi e costi della raccolta delle firme cambiano radicalmente, se basta un click. Il mezzo milione di sottoscrizioni diventa un obiettivo alla portata di molti, anche se poi (ammesso che la Consulta dia il via libera) bisogna portare alle urne 25 milioni di elettori perché la consultazione sia valida. C’è il rischio di ritrovarsi con referendum a raffica che non conducono a nulla: un terribile boomerang per la partecipazione. Ecco perché si discute dell’ipotesi di aumentare drasticamente il numero delle firme da raccogliere e, allo stesso tempo, di abbassare il quorum nelle urne rapportandolo al numero dei votanti alle ultime elezioni politiche, e non a quello degli aventi diritto in astratto. Qui, oltre agli aspetti tecnici, si impone una riflessione sul senso complessivo dello strumento referendario in una democrazia rappresentativa. Da un lato, infatti, bisogna scongiurare il pericolo che un uso distorto dei referendum possa indurre una deriva plebiscitaria del sistema; dall’altro la valorizzazione delle forme di democrazia diretta può costituire un utile bilanciamento a fronte di un ruolo sempre più forte dell’Esecutivo, tanto più nella prospettiva di un’eventuale riforma del premierato. Stefano De Martis]]>

Tornano i referendum abrogativi. Riguardano autonomia differenziata, Jobs Act e cittadinanza, per un totale di sette quesiti che ora dovranno superare il vaglio di ammissibilità alla Corte costituzionale. Il responso è atteso per gennaio. Ma sull’autonomia ci sarà un primo passaggio cruciale già a novembre, quando la Consulta esaminerà i ricorsi che le Regioni guidate dal centro-sinistra hanno presentato utilizzando il canale diretto previsto dalla Costituzione. Perché il procedimento possa avere luogo, esse dovranno innanzitutto dimostrare che la legge Calderoli lede i loro interessi: è un caso giuridicamente molto sensibile, ulteriormente complicato dal fatto che non solo il Governo si costituirà in giudizio per difendere la legge, ma anche il Veneto impugnerà i ricorsi delle altre Regioni. Ma a cosa è dovuto questo ritorno? Le ultime consultazioni risalgono al 2022, quando sui quesiti in materia di giustizia si raggiunse a stento una partecipazione del 20%, abissalmente lontana dal quorum richiesto. Poi bisogna risalire al 2016, al quesito contro le trivellazioni marine, con un’affluenza che si fermò poco oltre il 30%. La tornata precedente, nell’ormai lontano 2011, fu l’ultima in cui i votanti superarono la soglia del 50% necessaria per la validità della consultazione; in quella circostanza vennero abrogate norme in diversi ambiti, dal nucleare all’acqua pubblica. Da allora, complice il progressivo incremento dell’astensionismo elettorale a ogni livello, il raggiungimento del quorum è diventato un ostacolo quasi insuperabile e questo ha sistematicamente scoraggiato altre iniziative. Come interpretare, dunque, la nuova impennata referendaria? È un segnale che può essere ricondotto alla crisi della rappresentanza politica tradizionale, ma è anche il sintomo di una vitalità democratica che non trova altri strumenti per esprimersi e coglie le opportunità offerte da iniziative che vanno al di là della pura e semplice dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione. Un dato nuovo è quello della possibilità della firma digitale. Il potenziale di tale innovazione è emerso con chiarezza a proposito del referendum sulla cittadinanza, il cui quesito è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 5 settembre e ha raggiunto il tetto delle 500 mila firme in meno di un mese. Tempi e costi della raccolta delle firme cambiano radicalmente, se basta un click. Il mezzo milione di sottoscrizioni diventa un obiettivo alla portata di molti, anche se poi (ammesso che la Consulta dia il via libera) bisogna portare alle urne 25 milioni di elettori perché la consultazione sia valida. C’è il rischio di ritrovarsi con referendum a raffica che non conducono a nulla: un terribile boomerang per la partecipazione. Ecco perché si discute dell’ipotesi di aumentare drasticamente il numero delle firme da raccogliere e, allo stesso tempo, di abbassare il quorum nelle urne rapportandolo al numero dei votanti alle ultime elezioni politiche, e non a quello degli aventi diritto in astratto. Qui, oltre agli aspetti tecnici, si impone una riflessione sul senso complessivo dello strumento referendario in una democrazia rappresentativa. Da un lato, infatti, bisogna scongiurare il pericolo che un uso distorto dei referendum possa indurre una deriva plebiscitaria del sistema; dall’altro la valorizzazione delle forme di democrazia diretta può costituire un utile bilanciamento a fronte di un ruolo sempre più forte dell’Esecutivo, tanto più nella prospettiva di un’eventuale riforma del premierato. Stefano De Martis]]>
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7 ottobre: un anno dopo. Intervista a p. Patton, Custode di Terra Santa https://www.lavoce.it/7ottobre-intervista-patton/ https://www.lavoce.it/7ottobre-intervista-patton/#respond Wed, 02 Oct 2024 06:01:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77835

Un anno fa, il 7 ottobre 2023, l’attacco di Hamas contro Israele: migliaia di appartenenti a varie fazioni terroristiche palestinesi, provenienti dalla Striscia di Gaza, si sono infiltrati, via terra, via mare e dal cielo, in territorio israeliano uccidendo 1200 ebrei, tra civili e soldati, facendo scempio di uomini, donne, bambini, anziani che abitavano nei kibbutz e nelle città vicine al confine, come Sderot.

Dal 7 ottobre di un anno fa decine di migliaia di vittime

In quello stesso giorno furono prese in ostaggio 250 persone; 101 di queste (al 26 settembre 2024, ndr.), di ben 21 nazionalità, sono ancora nelle mani di Hamas. Un brusco risveglio per lo Stato di Israele che in poche ore ha visto frantumarsi quel mito della sicurezza che lo aveva sempre accompagnato sin dall’inizio della sua storia. La risposta israeliana non si è fatta attendere con l’avvio di una campagna militare dentro Gaza che ad oggi ha provocato, tra i palestinesi, oltre 41.500 morti, più di 96mila feriti e la distruzione di interi quartieri, comprese strade, scuole, ospedali e infrastrutture varie. Una vera e propria emergenza umanitaria e sanitaria che coinvolge tutta la popolazione gazawa praticamente sfollata all’interno della stessa Striscia. Senza esito, finora, i negoziati, mediati da Usa, Qatar ed Egitto, per pervenire ad un cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi. Un anno dopo il 7 ottobre il Sir ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. La Custodia di Terra Santa il 7 ottobre pregherà per la pace, rispondendo all'invito del Patriarca il cardinale Pierbattista Pizzaballa Che cosa è cambiato in Israele da quel 7 ottobre? “È cambiato completamente il modo di vivere e di convivere. Prima del 7 ottobre c’era, seppur fragile, un equilibrio di convivenza e, in alcuni settori della società civile israeliana, anche di disponibilità e di apertura verso il mondo palestinese e viceversa. Quanto accaduto il 7 ottobre ha riportato le lancette della storia a prima del 1948, anno della nascita di Israele, ma con una diffusione nella cultura e nella comunicazione attuali, di odio, di rabbia, di paura, di polarizzazione e anche di rifiuto di ragionare. È evidente il rifiuto di vedere le conseguenze di quello che si sta facendo in prospettiva futura”. Ma rimettere insieme ‘i pezzi’ di una società come quella israeliana, traumatizzata dai fatti del 7 ottobre, è possibile?  
“Va detto che nella società israeliana vivono differenti anime, religiose e no. Ci sono partiti religiosi che sostengono politicamente il governo. Altri un po’ meno. Ci sono religiosi coi quali è possibile dialogare fruttuosamente e altri no. Ci sono, poi, i coloni fondamentalisti sia dal punto di vista religioso che del nazionalismo politico, questi hanno fatto un cortocircuito che ha prodotto una specie di messianismo nazionalista e fondamentalista. Va detto anche che gli ultraortodossi, noti anche come haredim, sono cosa diversa dai coloni: entrambi hanno posizioni differenti all’interno del Governo. E come dicevo poc’anzi, nella società israeliana esistono anche ambienti più laici e aperti al dialogo con i palestinesi e con gli israeliani di etnia araba. Ora per provare a rimettere insieme i frammenti di questa società servirebbe, a mio parere, un cambio culturale profondo che abbia come presupposto un’apertura di credito verso la controparte e cominciare a pensare che fidarsi, dialogare, convivere e accettarsi reciprocamente sia possibile”.

Rachel: il cambiamento passa per il riconoscimento del dolore dell'altro

Come dare forza a questo cambiamento culturale? “
Lo ha detto Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, uno degli ostaggi uccisi da Hamas mentre era tenuto a Gaza: il cambiamento passa attraverso il riconoscimento del valore della sofferenza dell’altro. Israeliani e palestinesi devono comprendere la sofferenza gli uni degli altri reciprocamente. Questo significa riconoscere il diritto all’esistenza dell’altro, la sua dignità. È un ostacolo culturale, psicologico, in parte anche religioso, che, se non si supera, renderà difficile, se non impossibile la convivenza. Chi dovrebbe favorire la rimozione di questo ostacolo è la leadership politica e religiosa dei due popoli. Purtroppo, in questo momento sembra prevalere, nei due contendenti, solo il desiderio di eliminazione dell'altro”. I fatti del 7 ottobre 2023 hanno sfatato il mito della sicurezza di Israele… “La paura e l’incertezza c’erano anche prima. Basterebbe vedere quei grandi tabelloni rossi, situati nei pressi dei check point militari, che avvertono gli israeliani di non entrare nei Territori palestinesi per motivi di sicurezza. Questo fa capire che i rapporti con i palestinesi sono stati sempre improntati alla mancanza di fiducia e segnati dalla paura. Parlerei, dunque, di una falsa sicurezza alimentata dal muro che separa Israele dalla Cisgiordania e da Gaza, e dalla convinzione che, al confine con il Libano, Hezbollah possa essere controllato militarmente. Io credo che l’idea di paura appartenga all’inconscio collettivo del popolo ebraico ed ha una giustificazione storica. Anche in questo caso c’è bisogno di quel cambiamento di cui parlavo poco fa e ben delineato dalle parole di Rachel Goldberg-Polin e di altri familiari di ostaggi nelle mani di Hamas. Purtroppo, ho l’impressione che buona parte degli israeliani, in questo momento, appoggi l’azione militare del Governo, forse anche per un desiderio di vendetta e di deterrenza basata sul terrorizzare l’altro, pensando che questo basti a bloccarlo, ma questo in realtà alimenta la rabbia che prima o poi esplode in violenza. Basti vedere cosa sta accadendo nella Striscia di Gaza. Ma una pace indotta dalla paura non è pace”.

7 ottobre: la paura dietro il falso mito della sicurezza

È forse la paura il sentimento che oggi prevale nei due popoli? “Si percepisce la paura da una parte e dall’altra, tra gli ebrei, i musulmani, i cristiani. Questi ultimi si sentono frustrati e ormai schiacciati e inermi davanti ai tanti problemi provocati dalla guerra, come la disoccupazione, e a una crescente criminalità sociale di tipo mafioso interna alla comunità araba e scarsamente combattuta dalla polizia e dalla sicurezza israeliana. Si vive nella paura a Gaza, in Cisgiordania, nel Nord di Israele, in Libano. Nel Paese dei Cedri i frati della Custodia hanno paura di diventare degli obiettivi di Israele perché stanno accogliendo nei nostri conventi sfollati libanesi che hanno perso case e averi. Si vive incatenati dalla paura. C’è poi un’altra cosa…

” Quale? “
Da quando è cresciuto di intensità il conflitto al confine con il Libano, non si parla più di Gaza. Gaza è sparita dalla cronaca con tutto il suo carico di morte, di distruzione, di odio. E lo stesso sta accadendo per la Cisgiordania dove continuano i raid di Israele.

A Gaza e in Cisgiordania si continua a morire anche se i media ora parlano solo del Libano

È un fenomeno tipico della comunicazione del nostro tempo: oggi si parla solo di Libano, domani si vedrà. La stessa informazione è ormai sottomessa alla logica della spettacolarizzazione e l’opinione pubblica guarda alle notizie non per informarsi ma come gli spettatori guardavano i gladiatori ammazzarsi nel Colosseo. Così stiamo perdendo umanità“. Cosa pensa dell’impegno messo in campo dalla comunità internazionale in questo anno per trovare una soluzione al conflitto in corso a Gaza? ”La comunità internazionale si sta dimostrando impotente nel fare pressione sui belligeranti affinché cessi l’azione militare e si arrivi ad un accordo negoziato. Si stanno dimostrando impotenti i paesi occidentali e quelli del mondo arabo, entrambi di fatto stanno continuando ad alimentare e finanziare il conflitto. Se non si taglia il flusso di denaro e se non si blocca il rifornimento di armi – come sottolinea, spesso irriso, Papa Francesco – è molto difficile che si possa arrivare a una conclusione del conflitto. Dal mio punto di vista la comunità internazionale si è dimostrata impotente e priva di una volontà reale ed efficace“. 
Come giudica, invece, quello delle religioni? La Terra Santa, ricordiamolo, è il centro delle tre grandi fedi abramitiche, ebraismo, cristianesimo e islam. “Direi che è stata un’azione dall’efficacia molto limitata soprattutto in merito alla capacità di trasformare la cultura della società. I leader religiosi devono smetterla di giustificare, in termini religiosi, l’uso della violenza.

Occorre reintepretare i testi violenti dei libri sacri alla luce della misericordia

Occorre reinterpretare seriamente i testi violenti presenti nelle scritture sacre di ebrei, cristiani e musulmani alla luce della misericordia che è il nucleo centrale e comune del messaggio religioso dell’Antico e del Nuovo Testamento, così come del Corano. Se non riusciamo a fare questo, continueremo a trovare nei testi sacri giustificazioni per la violenza, come sta accadendo oggi”. 

Come evitare questa deriva pericolosa? “
La strada da percorrere potrebbe essere quella di un nuovo documento di Abu Dhabi, multilaterale, non più firmato da un Papa cattolico e da un imam sunnita, ma sottoscritto anche dai principali capi cristiani, ebrei e musulmani. Ma poi un testo del genere avrebbe bisogno di diventare oggetto di formazione e di catechesi per raggiungere tutti gli strati sociali dei credenti. Attualmente l’unico leader capace di mettere in moto questo processo è Papa Francesco. Come cristiani dobbiamo e dovremo lavorare molto per promuovere la fiducia, la convivenza, il dialogo e l’accoglienza reciproca. Piccoli segni profetici ma dal grande valore. In Medio Oriente c’è un proverbio che dice che chi pianta fragole pensa alla prossima stagione, chi pianta datteri pensa alla prossima generazione: noi dobbiamo pensare alla prossima generazione e accettare di fare un lungo percorso di semina e di coltivazione di una cultura della fiducia reciproca, della riconciliazione e della convivenza se vogliamo che la prossima generazione possa raccogliere i frutti della pace”. 
Daniele Rocchi]]>

Un anno fa, il 7 ottobre 2023, l’attacco di Hamas contro Israele: migliaia di appartenenti a varie fazioni terroristiche palestinesi, provenienti dalla Striscia di Gaza, si sono infiltrati, via terra, via mare e dal cielo, in territorio israeliano uccidendo 1200 ebrei, tra civili e soldati, facendo scempio di uomini, donne, bambini, anziani che abitavano nei kibbutz e nelle città vicine al confine, come Sderot.

Dal 7 ottobre di un anno fa decine di migliaia di vittime

In quello stesso giorno furono prese in ostaggio 250 persone; 101 di queste (al 26 settembre 2024, ndr.), di ben 21 nazionalità, sono ancora nelle mani di Hamas. Un brusco risveglio per lo Stato di Israele che in poche ore ha visto frantumarsi quel mito della sicurezza che lo aveva sempre accompagnato sin dall’inizio della sua storia. La risposta israeliana non si è fatta attendere con l’avvio di una campagna militare dentro Gaza che ad oggi ha provocato, tra i palestinesi, oltre 41.500 morti, più di 96mila feriti e la distruzione di interi quartieri, comprese strade, scuole, ospedali e infrastrutture varie. Una vera e propria emergenza umanitaria e sanitaria che coinvolge tutta la popolazione gazawa praticamente sfollata all’interno della stessa Striscia. Senza esito, finora, i negoziati, mediati da Usa, Qatar ed Egitto, per pervenire ad un cessate il fuoco e al rilascio degli ostaggi. Un anno dopo il 7 ottobre il Sir ha intervistato il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. La Custodia di Terra Santa il 7 ottobre pregherà per la pace, rispondendo all'invito del Patriarca il cardinale Pierbattista Pizzaballa Che cosa è cambiato in Israele da quel 7 ottobre? “È cambiato completamente il modo di vivere e di convivere. Prima del 7 ottobre c’era, seppur fragile, un equilibrio di convivenza e, in alcuni settori della società civile israeliana, anche di disponibilità e di apertura verso il mondo palestinese e viceversa. Quanto accaduto il 7 ottobre ha riportato le lancette della storia a prima del 1948, anno della nascita di Israele, ma con una diffusione nella cultura e nella comunicazione attuali, di odio, di rabbia, di paura, di polarizzazione e anche di rifiuto di ragionare. È evidente il rifiuto di vedere le conseguenze di quello che si sta facendo in prospettiva futura”. Ma rimettere insieme ‘i pezzi’ di una società come quella israeliana, traumatizzata dai fatti del 7 ottobre, è possibile?  
“Va detto che nella società israeliana vivono differenti anime, religiose e no. Ci sono partiti religiosi che sostengono politicamente il governo. Altri un po’ meno. Ci sono religiosi coi quali è possibile dialogare fruttuosamente e altri no. Ci sono, poi, i coloni fondamentalisti sia dal punto di vista religioso che del nazionalismo politico, questi hanno fatto un cortocircuito che ha prodotto una specie di messianismo nazionalista e fondamentalista. Va detto anche che gli ultraortodossi, noti anche come haredim, sono cosa diversa dai coloni: entrambi hanno posizioni differenti all’interno del Governo. E come dicevo poc’anzi, nella società israeliana esistono anche ambienti più laici e aperti al dialogo con i palestinesi e con gli israeliani di etnia araba. Ora per provare a rimettere insieme i frammenti di questa società servirebbe, a mio parere, un cambio culturale profondo che abbia come presupposto un’apertura di credito verso la controparte e cominciare a pensare che fidarsi, dialogare, convivere e accettarsi reciprocamente sia possibile”.

Rachel: il cambiamento passa per il riconoscimento del dolore dell'altro

Come dare forza a questo cambiamento culturale? “
Lo ha detto Rachel Goldberg-Polin, madre di Hersh, uno degli ostaggi uccisi da Hamas mentre era tenuto a Gaza: il cambiamento passa attraverso il riconoscimento del valore della sofferenza dell’altro. Israeliani e palestinesi devono comprendere la sofferenza gli uni degli altri reciprocamente. Questo significa riconoscere il diritto all’esistenza dell’altro, la sua dignità. È un ostacolo culturale, psicologico, in parte anche religioso, che, se non si supera, renderà difficile, se non impossibile la convivenza. Chi dovrebbe favorire la rimozione di questo ostacolo è la leadership politica e religiosa dei due popoli. Purtroppo, in questo momento sembra prevalere, nei due contendenti, solo il desiderio di eliminazione dell'altro”. I fatti del 7 ottobre 2023 hanno sfatato il mito della sicurezza di Israele… “La paura e l’incertezza c’erano anche prima. Basterebbe vedere quei grandi tabelloni rossi, situati nei pressi dei check point militari, che avvertono gli israeliani di non entrare nei Territori palestinesi per motivi di sicurezza. Questo fa capire che i rapporti con i palestinesi sono stati sempre improntati alla mancanza di fiducia e segnati dalla paura. Parlerei, dunque, di una falsa sicurezza alimentata dal muro che separa Israele dalla Cisgiordania e da Gaza, e dalla convinzione che, al confine con il Libano, Hezbollah possa essere controllato militarmente. Io credo che l’idea di paura appartenga all’inconscio collettivo del popolo ebraico ed ha una giustificazione storica. Anche in questo caso c’è bisogno di quel cambiamento di cui parlavo poco fa e ben delineato dalle parole di Rachel Goldberg-Polin e di altri familiari di ostaggi nelle mani di Hamas. Purtroppo, ho l’impressione che buona parte degli israeliani, in questo momento, appoggi l’azione militare del Governo, forse anche per un desiderio di vendetta e di deterrenza basata sul terrorizzare l’altro, pensando che questo basti a bloccarlo, ma questo in realtà alimenta la rabbia che prima o poi esplode in violenza. Basti vedere cosa sta accadendo nella Striscia di Gaza. Ma una pace indotta dalla paura non è pace”.

7 ottobre: la paura dietro il falso mito della sicurezza

È forse la paura il sentimento che oggi prevale nei due popoli? “Si percepisce la paura da una parte e dall’altra, tra gli ebrei, i musulmani, i cristiani. Questi ultimi si sentono frustrati e ormai schiacciati e inermi davanti ai tanti problemi provocati dalla guerra, come la disoccupazione, e a una crescente criminalità sociale di tipo mafioso interna alla comunità araba e scarsamente combattuta dalla polizia e dalla sicurezza israeliana. Si vive nella paura a Gaza, in Cisgiordania, nel Nord di Israele, in Libano. Nel Paese dei Cedri i frati della Custodia hanno paura di diventare degli obiettivi di Israele perché stanno accogliendo nei nostri conventi sfollati libanesi che hanno perso case e averi. Si vive incatenati dalla paura. C’è poi un’altra cosa…

” Quale? “
Da quando è cresciuto di intensità il conflitto al confine con il Libano, non si parla più di Gaza. Gaza è sparita dalla cronaca con tutto il suo carico di morte, di distruzione, di odio. E lo stesso sta accadendo per la Cisgiordania dove continuano i raid di Israele.

A Gaza e in Cisgiordania si continua a morire anche se i media ora parlano solo del Libano

È un fenomeno tipico della comunicazione del nostro tempo: oggi si parla solo di Libano, domani si vedrà. La stessa informazione è ormai sottomessa alla logica della spettacolarizzazione e l’opinione pubblica guarda alle notizie non per informarsi ma come gli spettatori guardavano i gladiatori ammazzarsi nel Colosseo. Così stiamo perdendo umanità“. Cosa pensa dell’impegno messo in campo dalla comunità internazionale in questo anno per trovare una soluzione al conflitto in corso a Gaza? ”La comunità internazionale si sta dimostrando impotente nel fare pressione sui belligeranti affinché cessi l’azione militare e si arrivi ad un accordo negoziato. Si stanno dimostrando impotenti i paesi occidentali e quelli del mondo arabo, entrambi di fatto stanno continuando ad alimentare e finanziare il conflitto. Se non si taglia il flusso di denaro e se non si blocca il rifornimento di armi – come sottolinea, spesso irriso, Papa Francesco – è molto difficile che si possa arrivare a una conclusione del conflitto. Dal mio punto di vista la comunità internazionale si è dimostrata impotente e priva di una volontà reale ed efficace“. 
Come giudica, invece, quello delle religioni? La Terra Santa, ricordiamolo, è il centro delle tre grandi fedi abramitiche, ebraismo, cristianesimo e islam. “Direi che è stata un’azione dall’efficacia molto limitata soprattutto in merito alla capacità di trasformare la cultura della società. I leader religiosi devono smetterla di giustificare, in termini religiosi, l’uso della violenza.

Occorre reintepretare i testi violenti dei libri sacri alla luce della misericordia

Occorre reinterpretare seriamente i testi violenti presenti nelle scritture sacre di ebrei, cristiani e musulmani alla luce della misericordia che è il nucleo centrale e comune del messaggio religioso dell’Antico e del Nuovo Testamento, così come del Corano. Se non riusciamo a fare questo, continueremo a trovare nei testi sacri giustificazioni per la violenza, come sta accadendo oggi”. 

Come evitare questa deriva pericolosa? “
La strada da percorrere potrebbe essere quella di un nuovo documento di Abu Dhabi, multilaterale, non più firmato da un Papa cattolico e da un imam sunnita, ma sottoscritto anche dai principali capi cristiani, ebrei e musulmani. Ma poi un testo del genere avrebbe bisogno di diventare oggetto di formazione e di catechesi per raggiungere tutti gli strati sociali dei credenti. Attualmente l’unico leader capace di mettere in moto questo processo è Papa Francesco. Come cristiani dobbiamo e dovremo lavorare molto per promuovere la fiducia, la convivenza, il dialogo e l’accoglienza reciproca. Piccoli segni profetici ma dal grande valore. In Medio Oriente c’è un proverbio che dice che chi pianta fragole pensa alla prossima stagione, chi pianta datteri pensa alla prossima generazione: noi dobbiamo pensare alla prossima generazione e accettare di fare un lungo percorso di semina e di coltivazione di una cultura della fiducia reciproca, della riconciliazione e della convivenza se vogliamo che la prossima generazione possa raccogliere i frutti della pace”. 
Daniele Rocchi]]>
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Assisi. È morto don Cesare Provenzi https://www.lavoce.it/assisi-e-morto-don-cesare-provenzi/ https://www.lavoce.it/assisi-e-morto-don-cesare-provenzi/#respond Fri, 27 Sep 2024 14:23:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77792

È tornato alla Casa del Padre don Cesare Roberto Provenzi, priore della cattedrale di San Rufino di Assisi.

Gli incarichi di don Cesare Provenzi

Era nato a Martinengo, in provincia di Bergamo il 25 luglio del 1962. È stato ordinato sacerdote il 23 settembre del 1995. Nel 2004 è stato parroco della parrocchia Madonna delle Grazie e Santa Tecla in Palazzo, nel ‘98 segretario personale del vescovo mons. Sergio Goretti e cerimoniere. È stato vicario foraneo del vicariato di Bastia Umbra dal 2002 al 2004, parroco della parrocchia di Torchiagina e San Gregorio e dall’ottobre del 2004 era parroco della parrocchia di San Rufino. In cattedrale aveva preso anche in mano la vita del Museo diocesano e Cripta di San Rufino ridandogli grande slancio e valorizzazione. Sempre nel 2004 e fino ad oggi è stato vicario foraneo del vicariato di Assisi. Era Canonico della cattedrale di San Rufino e presidente della Fondazione San Rufino e Rinaldo dal 2003 al 2009. Dal 2018 è stato nominato dal vescovo Sorrentino vicario episcopale per l’Economia. Dal 2021, con l’unità pastorale era parroco di San Rufino, Vitale, Santa Maria di Lignano, Porziano e Costa di Trex. Era presidente della Fondazione diocesana di religione Assisi-Caritas e della Fondazione Assisi-Santuario della Spogliazione dal 2021 che si occupa della gestione del Santuario della Spogliazione. Molto amato in Assisi per la sua vicinanza ai giovani, alle iniziative cittadine in particolare al Calendimaggio.

Le esequie

Sarà possibile dare l’ultimo saluto a don Cesare già dal primo pomeriggio di venerdì 27 settembre nella Cappella del Santissimo Sacramento all’interno della cattedrale di San Rufino fino a lunedì mattina 30 settembre quando alle ore 10 il vescovo monsignor Domenico Sorrentino celebrerà le esequie funebri. Venerdì 27, sabato 28 e domenica 29 settembre alle ore 21 recita del rosario in Cattedrale in suffragio del caro don Cesare. Il vescovo Sorrentino, unitamente al Consiglio episcopale, quello presbiterale, i diaconi, i religiosi, i parrocchiani e i collaboratori di Curia si stringono al dolore dei familiari.]]>

È tornato alla Casa del Padre don Cesare Roberto Provenzi, priore della cattedrale di San Rufino di Assisi.

Gli incarichi di don Cesare Provenzi

Era nato a Martinengo, in provincia di Bergamo il 25 luglio del 1962. È stato ordinato sacerdote il 23 settembre del 1995. Nel 2004 è stato parroco della parrocchia Madonna delle Grazie e Santa Tecla in Palazzo, nel ‘98 segretario personale del vescovo mons. Sergio Goretti e cerimoniere. È stato vicario foraneo del vicariato di Bastia Umbra dal 2002 al 2004, parroco della parrocchia di Torchiagina e San Gregorio e dall’ottobre del 2004 era parroco della parrocchia di San Rufino. In cattedrale aveva preso anche in mano la vita del Museo diocesano e Cripta di San Rufino ridandogli grande slancio e valorizzazione. Sempre nel 2004 e fino ad oggi è stato vicario foraneo del vicariato di Assisi. Era Canonico della cattedrale di San Rufino e presidente della Fondazione San Rufino e Rinaldo dal 2003 al 2009. Dal 2018 è stato nominato dal vescovo Sorrentino vicario episcopale per l’Economia. Dal 2021, con l’unità pastorale era parroco di San Rufino, Vitale, Santa Maria di Lignano, Porziano e Costa di Trex. Era presidente della Fondazione diocesana di religione Assisi-Caritas e della Fondazione Assisi-Santuario della Spogliazione dal 2021 che si occupa della gestione del Santuario della Spogliazione. Molto amato in Assisi per la sua vicinanza ai giovani, alle iniziative cittadine in particolare al Calendimaggio.

Le esequie

Sarà possibile dare l’ultimo saluto a don Cesare già dal primo pomeriggio di venerdì 27 settembre nella Cappella del Santissimo Sacramento all’interno della cattedrale di San Rufino fino a lunedì mattina 30 settembre quando alle ore 10 il vescovo monsignor Domenico Sorrentino celebrerà le esequie funebri. Venerdì 27, sabato 28 e domenica 29 settembre alle ore 21 recita del rosario in Cattedrale in suffragio del caro don Cesare. Il vescovo Sorrentino, unitamente al Consiglio episcopale, quello presbiterale, i diaconi, i religiosi, i parrocchiani e i collaboratori di Curia si stringono al dolore dei familiari.]]>
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Israele ha cacciato da Gaza gli osservatori inviati dall’Onu https://www.lavoce.it/israele-ha-cacciato-da-gaza-gli-osservatori-inviati-dallonu/ https://www.lavoce.it/israele-ha-cacciato-da-gaza-gli-osservatori-inviati-dallonu/#respond Fri, 27 Sep 2024 09:33:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77752 Il tavolo dei relatori e dietro dei giovani seduti

“A Gerusalemme – racconta a margine della giornata della Pace che si è svolta ad Assisi il 21 settembre Andrea De Domenico, ex direttore dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari nei Territori palestinesi occupati (Ocha) – mi occupavo del coordinamento dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti al popolo palestinese: si parla di aiuti umanitari. Sono stato cinque anni in Palestina. Quando entrai dovetti chiedere il visto agli israeliani, e già qui ti rendi conto che è in corso un’occupazione. Non avermi rinnovato il visto non significa tanto prendersela con me direttamente, quanto con le Nazioni Unite”.

Di cosa si occupava e si occupa ancora l’Ocha?

“Come prima cosa, sul campo, facciamo una ‘fotografia’ dei bisogni del Paese, cercando poi di mettere insieme tutti gli attori – governativi e non governativi – che si occupano di fornire delle risposte ai bisogni delle persone. Poi c’è una seconda parte, di tipo istituzionale e internazionale, che consiste nell’intervenire con il nostro portavoce al Consiglio di sicurezza dell’Onu, cercando di scuotere le coscienze degli Stati membri”.

Come vi coordinavate con l’Onu quando eravate sul posto?

“Io rispondo sempre che di fatto le Nazioni Unite… non esistono, nel senso che sono l’espressione e la volontà dei 193 Stati membri che la compongono. Non è che il funzionario decide cosa fare, sono gli Stati membri che dicono cosa possiamo fare, e solo dentro quei limiti possiamo muoverci. Prima del 7 ottobre 2023, data in cui è scoppiato il conflitto israelopalestinese, nessuno ci ascoltava, era un problema parlarne. Dopo quella data, c’è stata molta più attenzione”.

Qual è la situazione attuale?

“Si parla molto di Gaza, e quello che ancora sta accadendo è atroce, ma c’è anche la Cisgiordania: parliamo di 770 morti e 180 bambini solo in quel territorio. Israele dovrebbe mantenere l’ordine pubblico; in verità sono operazioni militari, ma in teoria dovrebbero essere operazioni di polizia, perché non c’è la guerra in Cisgiordania. A Gaza la situazione è ancora peggiore: gli Stati membri ci hanno dato il mandato per esercitare il nostro lavoro, tuttavia ci hanno supportato solo a parole. Prima che io fossi mandato via, dovevamo spostarci in continuazione, senza mai poterci stabilire in una sede fissa per portare avanti il nostro lavoro. L’Onu ha perso potere, ma gli Stati membri dovrebbero esercitare più potere per lasciarci fare il nostro lavoro. Non possiamo lasciare che tutti facciano ciò che vogliono, non solo contro le persone, ma anche per quanto riguarda le loro azioni e decisioni politiche”.

Emanuela Marotta

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Il tavolo dei relatori e dietro dei giovani seduti

“A Gerusalemme – racconta a margine della giornata della Pace che si è svolta ad Assisi il 21 settembre Andrea De Domenico, ex direttore dell’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari nei Territori palestinesi occupati (Ocha) – mi occupavo del coordinamento dell’ufficio delle Nazioni Unite per gli aiuti al popolo palestinese: si parla di aiuti umanitari. Sono stato cinque anni in Palestina. Quando entrai dovetti chiedere il visto agli israeliani, e già qui ti rendi conto che è in corso un’occupazione. Non avermi rinnovato il visto non significa tanto prendersela con me direttamente, quanto con le Nazioni Unite”.

Di cosa si occupava e si occupa ancora l’Ocha?

“Come prima cosa, sul campo, facciamo una ‘fotografia’ dei bisogni del Paese, cercando poi di mettere insieme tutti gli attori – governativi e non governativi – che si occupano di fornire delle risposte ai bisogni delle persone. Poi c’è una seconda parte, di tipo istituzionale e internazionale, che consiste nell’intervenire con il nostro portavoce al Consiglio di sicurezza dell’Onu, cercando di scuotere le coscienze degli Stati membri”.

Come vi coordinavate con l’Onu quando eravate sul posto?

“Io rispondo sempre che di fatto le Nazioni Unite… non esistono, nel senso che sono l’espressione e la volontà dei 193 Stati membri che la compongono. Non è che il funzionario decide cosa fare, sono gli Stati membri che dicono cosa possiamo fare, e solo dentro quei limiti possiamo muoverci. Prima del 7 ottobre 2023, data in cui è scoppiato il conflitto israelopalestinese, nessuno ci ascoltava, era un problema parlarne. Dopo quella data, c’è stata molta più attenzione”.

Qual è la situazione attuale?

“Si parla molto di Gaza, e quello che ancora sta accadendo è atroce, ma c’è anche la Cisgiordania: parliamo di 770 morti e 180 bambini solo in quel territorio. Israele dovrebbe mantenere l’ordine pubblico; in verità sono operazioni militari, ma in teoria dovrebbero essere operazioni di polizia, perché non c’è la guerra in Cisgiordania. A Gaza la situazione è ancora peggiore: gli Stati membri ci hanno dato il mandato per esercitare il nostro lavoro, tuttavia ci hanno supportato solo a parole. Prima che io fossi mandato via, dovevamo spostarci in continuazione, senza mai poterci stabilire in una sede fissa per portare avanti il nostro lavoro. L’Onu ha perso potere, ma gli Stati membri dovrebbero esercitare più potere per lasciarci fare il nostro lavoro. Non possiamo lasciare che tutti facciano ciò che vogliono, non solo contro le persone, ma anche per quanto riguarda le loro azioni e decisioni politiche”.

Emanuela Marotta

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Mare (di dolore) in cui vanno a fondo anche le radici cristiane dell’Europa https://www.lavoce.it/mare-di-dolore-in-cui-vanno-a-fondo-anche-le-radici-cristiane-delleuropa/ https://www.lavoce.it/mare-di-dolore-in-cui-vanno-a-fondo-anche-le-radici-cristiane-delleuropa/#respond Fri, 27 Sep 2024 08:00:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77758

Il giornale britannico The Guardian ha pubblicato un reportage dettagliato e fitto fitto di testimonianze dal vivo sulle vessazioni cui vengono sottoposte le persone migranti subsahariane che arrivano in Tunisia. Il governo autocratico del presidente Kaid Saied ha ricevuto molti fondi dall’Unione Europea sotto la regia italiana e usa di fatto la disperazione delle folle disperate che arrivano dal resto dell’Africa come una minaccia. Di fatto è il modello-Turchia che si ripete.

A rendere ancora più grave e dolorosa la situazione vi è l’intreccio tra criminalità organizzata tunisina e forze di polizia favorito dallo stesso governo. Il reportage è una vera e propria galleria degli orrori descritta con abbondanza di particolari e riguarda soprattutto la sorte delle donne che vengono tutte sistematicamente abusate e violentate.

I rappresentanti delle poche organizzazioni di difesa dei diritti umani presenti e operanti nel Paese e gli stessi migranti hanno raccontato delle torture e di morti violente rimaste tutte impunite. E dire che l’accordo stipulato dal nostro governo prevedeva anche il rispetto dei diritti umani! Peccato che contemporaneamente non prevedeva né meccanismi di controllo e né sanzioni. Europol afferma di non avere alcun accordo di collaborazione con la Tunisia. Un mare di dolore in cui “le radici cristiane dell’Europa” si sono smarrite.

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Il giornale britannico The Guardian ha pubblicato un reportage dettagliato e fitto fitto di testimonianze dal vivo sulle vessazioni cui vengono sottoposte le persone migranti subsahariane che arrivano in Tunisia. Il governo autocratico del presidente Kaid Saied ha ricevuto molti fondi dall’Unione Europea sotto la regia italiana e usa di fatto la disperazione delle folle disperate che arrivano dal resto dell’Africa come una minaccia. Di fatto è il modello-Turchia che si ripete.

A rendere ancora più grave e dolorosa la situazione vi è l’intreccio tra criminalità organizzata tunisina e forze di polizia favorito dallo stesso governo. Il reportage è una vera e propria galleria degli orrori descritta con abbondanza di particolari e riguarda soprattutto la sorte delle donne che vengono tutte sistematicamente abusate e violentate.

I rappresentanti delle poche organizzazioni di difesa dei diritti umani presenti e operanti nel Paese e gli stessi migranti hanno raccontato delle torture e di morti violente rimaste tutte impunite. E dire che l’accordo stipulato dal nostro governo prevedeva anche il rispetto dei diritti umani! Peccato che contemporaneamente non prevedeva né meccanismi di controllo e né sanzioni. Europol afferma di non avere alcun accordo di collaborazione con la Tunisia. Un mare di dolore in cui “le radici cristiane dell’Europa” si sono smarrite.

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Salvini. Alla fine c’è il giudizio https://www.lavoce.it/salvini-alla-fine-ce-il-giudizio/ https://www.lavoce.it/salvini-alla-fine-ce-il-giudizio/#respond Thu, 26 Sep 2024 20:02:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77765

Mentre scrivo, non si sa ancora come finirà il processo penale davanti ad un tribunale siciliano, che vede come imputato Matteo Salvini, per gli ordini dati, come ministro dell’Interno, nell’agosto 2019, riguardo allo sbarco di alcune decine di profughi nel porto di Lampedusa. Non saprei azzardare pronostici, e non servirebbe a nulla: decideranno i giudici e poi ci saranno altri gradi di giudizio.

Le questioni sono diverse, e complesse. Il giudizio potrebbe cambiare a seconda di come si interpretano le norme che regolano la materia della immigrazione e quelle sul soccorso in mare; le prime sono nella legislazione nazionale, le seconde sono in convenzioni internazionali che l’Italia ha firmato. Si può discutere se, in caso di apparente contrasto, prevalgano le une o le altre. Ma, supposto che le questioni alle quali ho adesso fatto cenno si risolvano nel senso che Salvini aveva torto e che i naufraghi dovevano essere accolti senza ritardo, resterebbe ancora da giudicare se le decisioni di Salvini, oltre che invalide e annullabili in sede amministrativa, siano altresì punibili in sede penale. Sono due piani di giudizio distinti, ed è giusto che sia così.

Ci sono poi altri piani di giudizio a loro volta distinti: quello dell’eventuale risarcimento dei danni – e si dovrebbe ancora vedere se pagarlo tocchi allo Stato o personalmente al Salvini - e infine il piano del giudizio politico, che è di competenza del Parlamento (e questo si è già pronunciato contro Salvini, ma prima che le Camere venissero rinnovate nel 2022, oggi sarebbe diverso). Ma se, in ipotesi estrema, tutte le questioni elencate si risolvessero nel senso migliore per Salvini, c’è ancora un punto sul quale mi sento di dargli torto, sul piano morale. E’ quando lui si vanta di essere accusato di “avere difeso i sacri confini della Patria”.

Difeso da chi? Da un esercito con carri armati e missili – come quello che il suo amico Putin ha scatenato contro Kiev? Da una multinazionale del terrorismo? No: da un pugno di poveracci privi di tutto, sul punto di morire di fame o annegati, fuggiti da condizioni di vita insopportabili. Erano quelli i “nemici” che Salvini si vanta di avere cercato di ributtare indietro. Capisco che sono solo parole, capisco la retorica politica. Ma un minimo di pudore, di senso del limite, di rispetto della verità, ci vuole anche se si fa un comizio.

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Mentre scrivo, non si sa ancora come finirà il processo penale davanti ad un tribunale siciliano, che vede come imputato Matteo Salvini, per gli ordini dati, come ministro dell’Interno, nell’agosto 2019, riguardo allo sbarco di alcune decine di profughi nel porto di Lampedusa. Non saprei azzardare pronostici, e non servirebbe a nulla: decideranno i giudici e poi ci saranno altri gradi di giudizio.

Le questioni sono diverse, e complesse. Il giudizio potrebbe cambiare a seconda di come si interpretano le norme che regolano la materia della immigrazione e quelle sul soccorso in mare; le prime sono nella legislazione nazionale, le seconde sono in convenzioni internazionali che l’Italia ha firmato. Si può discutere se, in caso di apparente contrasto, prevalgano le une o le altre. Ma, supposto che le questioni alle quali ho adesso fatto cenno si risolvano nel senso che Salvini aveva torto e che i naufraghi dovevano essere accolti senza ritardo, resterebbe ancora da giudicare se le decisioni di Salvini, oltre che invalide e annullabili in sede amministrativa, siano altresì punibili in sede penale. Sono due piani di giudizio distinti, ed è giusto che sia così.

Ci sono poi altri piani di giudizio a loro volta distinti: quello dell’eventuale risarcimento dei danni – e si dovrebbe ancora vedere se pagarlo tocchi allo Stato o personalmente al Salvini - e infine il piano del giudizio politico, che è di competenza del Parlamento (e questo si è già pronunciato contro Salvini, ma prima che le Camere venissero rinnovate nel 2022, oggi sarebbe diverso). Ma se, in ipotesi estrema, tutte le questioni elencate si risolvessero nel senso migliore per Salvini, c’è ancora un punto sul quale mi sento di dargli torto, sul piano morale. E’ quando lui si vanta di essere accusato di “avere difeso i sacri confini della Patria”.

Difeso da chi? Da un esercito con carri armati e missili – come quello che il suo amico Putin ha scatenato contro Kiev? Da una multinazionale del terrorismo? No: da un pugno di poveracci privi di tutto, sul punto di morire di fame o annegati, fuggiti da condizioni di vita insopportabili. Erano quelli i “nemici” che Salvini si vanta di avere cercato di ributtare indietro. Capisco che sono solo parole, capisco la retorica politica. Ma un minimo di pudore, di senso del limite, di rispetto della verità, ci vuole anche se si fa un comizio.

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Gli “stati generali” della pastorale regionale: intervista a don Giovanni Zampa https://www.lavoce.it/gli-stati-generali-della-pastorale-regionale-intervista-a-don-giovanni-zampa/ https://www.lavoce.it/gli-stati-generali-della-pastorale-regionale-intervista-a-don-giovanni-zampa/#respond Thu, 26 Sep 2024 19:04:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77740 Persone sedute su sedie a cerchio all'interno di una sala

“Dalla splendida Assemblea ecclesiale regionale del 2019 è ripartito un percorso che ha visto come mappa il documento che i vescovi umbri ci hanno consegnato nella primavera del 2020: Cristiani in Umbria con la gioia del Vangelo. Da quel frutto di una bella esperienza di sinodalità reale e concreta è emersa l’esigenza di attivare un Consiglio pastorale regionale, una Segreteria pastorale, una programmazione regolare delle assemblee e l’opportunità di intraprendere una riflessione sul rilancio delle Commissioni e i servizi pastorale regionali”. Don Giovanni Zampa è il coordinatore della Segreteria pastorale istituita dalla Conferenza episcopale umbra (Ceu) e ci spiega l’itinerario che le Chiese umbre hanno avviato ormai cinque anni fa.

Il 9 novembre, i vescovi della Ceu hanno convocato gli stati generali delle Commissioni pastorali regionali. Cosa si intende con questa espressione?

“Dal 2019 abbiamo iniziato a lavorare con i nuovi strumenti pastorali, lentamente e non senza difficoltà. Il Consiglio pastorale regionale si è ritrovato più volte, la Segreteria ha una sua regolarità, è stata celebrata un’assemblea nel maggio del 2022, sono in corso le collaborazioni per il Cammino sinodale della Chiesa italiana, per quello universale e per il Giubileo 2025. Gli stati generali sono una tappa intermedia voluta dai vescovi per verificare la strada fatta e impostare quella futura, che culminerà con una nuova Assemblea regionale, verosimilmente subito dopo il Giubileo, e la consegna del documento finale del Sinodo in corso”.

Concretamente in cosa consistono gli stati generali?

“Con il Consiglio pastorale regionale si è impostato il lavoro di questo anno passato intorno a tre poli essenziali su cui coinvolgere le Commissioni e indirettamente le diocesi: riconsolidare le Commissioni, sintonizzarsi con il Sinodo, preparare il Giubileo. La mattinata del 9 novembre, in pratica, sarà la verifica, la condivisione e il rilancio di questo lavoro. Non mancherà poi modo di fare fraternità e cominciare a confrontarci per l’assemblea futura”.

Chi parteciperà a queste sessione di lavori?

“Oltre ai responsabili, sono convocati tutti i membri delle singole Commissioni e dei servizi regionali. Ovviamente non possono mancare i delegati diocesani per il Sinodo e per il Giubileo”.

Dal suo punto di vista quale clima pastorale si respira nella nostra regione ecclesiastica?

“Per rispondere a questa domanda impegnativa prendo in prestito la parabola dei talenti. La nostra terra umbra ha in consegna tanti talenti. Sia il passato sia il presente sono caratterizzati da una ricchezza pastorale, ecclesiale e di santità immensa. Credo, però, che spesso la sotterriamo. Attanagliati dalla paura di perdere , non abbiamo il coraggio di investire e di osare, scommettendo sul sostegno della Provvidenza. Forse facciamo troppi calcoli e tiriamo troppo poco le somme, per timore di scoprire un risultato negativo. Da sempre, Dio non ci chiede di raccogliere, ma di seminare”.

Cosa le ha suscitato la recente lettera inviata dai vescovi umbri al clero?

“Stima, fiducia e comunione. Mi vengono in mente queste tre parole: per me è un segno di stima e di apprezzamento per le persone con cui collaborano. Fiducia e incoraggiamento per l’importante e difficile missione che ci affidano. Comunione e obbedienza, soprattutto al Santo Padre, Papa Francesco che nella recente visita ad limina apostolorum ha raccomandato ai nostri Pastori di ‘essere vicini ai preti con paternità e fraternità’”.

Il programma degli Stati generali

Gli stati generali delle Commissioni e dei servizi della Conferenza episcopale umbra si riuniranno nel Seminario regionale di Assisi il 9 novembre. Dopo l’accoglienza e la preghiera, sarà il presidente della Ceu mons. Renato Boccardo a introdurre i lavori. Seguiranno i gruppi di lavoro, in stile sinodale sapienziale, con suddivisione per aree pastorali e sottogruppi per la condivisione delle sintesi sinodali e dei nuovi lineamenti Cei per la fase profetica. Infine, ci sarà la presentazione degli eventi in preparazione del Giubileo 2025 nelle singole diocesi e per Commissioni.

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Persone sedute su sedie a cerchio all'interno di una sala

“Dalla splendida Assemblea ecclesiale regionale del 2019 è ripartito un percorso che ha visto come mappa il documento che i vescovi umbri ci hanno consegnato nella primavera del 2020: Cristiani in Umbria con la gioia del Vangelo. Da quel frutto di una bella esperienza di sinodalità reale e concreta è emersa l’esigenza di attivare un Consiglio pastorale regionale, una Segreteria pastorale, una programmazione regolare delle assemblee e l’opportunità di intraprendere una riflessione sul rilancio delle Commissioni e i servizi pastorale regionali”. Don Giovanni Zampa è il coordinatore della Segreteria pastorale istituita dalla Conferenza episcopale umbra (Ceu) e ci spiega l’itinerario che le Chiese umbre hanno avviato ormai cinque anni fa.

Il 9 novembre, i vescovi della Ceu hanno convocato gli stati generali delle Commissioni pastorali regionali. Cosa si intende con questa espressione?

“Dal 2019 abbiamo iniziato a lavorare con i nuovi strumenti pastorali, lentamente e non senza difficoltà. Il Consiglio pastorale regionale si è ritrovato più volte, la Segreteria ha una sua regolarità, è stata celebrata un’assemblea nel maggio del 2022, sono in corso le collaborazioni per il Cammino sinodale della Chiesa italiana, per quello universale e per il Giubileo 2025. Gli stati generali sono una tappa intermedia voluta dai vescovi per verificare la strada fatta e impostare quella futura, che culminerà con una nuova Assemblea regionale, verosimilmente subito dopo il Giubileo, e la consegna del documento finale del Sinodo in corso”.

Concretamente in cosa consistono gli stati generali?

“Con il Consiglio pastorale regionale si è impostato il lavoro di questo anno passato intorno a tre poli essenziali su cui coinvolgere le Commissioni e indirettamente le diocesi: riconsolidare le Commissioni, sintonizzarsi con il Sinodo, preparare il Giubileo. La mattinata del 9 novembre, in pratica, sarà la verifica, la condivisione e il rilancio di questo lavoro. Non mancherà poi modo di fare fraternità e cominciare a confrontarci per l’assemblea futura”.

Chi parteciperà a queste sessione di lavori?

“Oltre ai responsabili, sono convocati tutti i membri delle singole Commissioni e dei servizi regionali. Ovviamente non possono mancare i delegati diocesani per il Sinodo e per il Giubileo”.

Dal suo punto di vista quale clima pastorale si respira nella nostra regione ecclesiastica?

“Per rispondere a questa domanda impegnativa prendo in prestito la parabola dei talenti. La nostra terra umbra ha in consegna tanti talenti. Sia il passato sia il presente sono caratterizzati da una ricchezza pastorale, ecclesiale e di santità immensa. Credo, però, che spesso la sotterriamo. Attanagliati dalla paura di perdere , non abbiamo il coraggio di investire e di osare, scommettendo sul sostegno della Provvidenza. Forse facciamo troppi calcoli e tiriamo troppo poco le somme, per timore di scoprire un risultato negativo. Da sempre, Dio non ci chiede di raccogliere, ma di seminare”.

Cosa le ha suscitato la recente lettera inviata dai vescovi umbri al clero?

“Stima, fiducia e comunione. Mi vengono in mente queste tre parole: per me è un segno di stima e di apprezzamento per le persone con cui collaborano. Fiducia e incoraggiamento per l’importante e difficile missione che ci affidano. Comunione e obbedienza, soprattutto al Santo Padre, Papa Francesco che nella recente visita ad limina apostolorum ha raccomandato ai nostri Pastori di ‘essere vicini ai preti con paternità e fraternità’”.

Il programma degli Stati generali

Gli stati generali delle Commissioni e dei servizi della Conferenza episcopale umbra si riuniranno nel Seminario regionale di Assisi il 9 novembre. Dopo l’accoglienza e la preghiera, sarà il presidente della Ceu mons. Renato Boccardo a introdurre i lavori. Seguiranno i gruppi di lavoro, in stile sinodale sapienziale, con suddivisione per aree pastorali e sottogruppi per la condivisione delle sintesi sinodali e dei nuovi lineamenti Cei per la fase profetica. Infine, ci sarà la presentazione degli eventi in preparazione del Giubileo 2025 nelle singole diocesi e per Commissioni.

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La neonata fondazione “The Economy of Francesco” dal Papa https://www.lavoce.it/la-neonata-fondazione-the-economy-of-francesco-dal-papa/ https://www.lavoce.it/la-neonata-fondazione-the-economy-of-francesco-dal-papa/#respond Thu, 26 Sep 2024 07:24:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77771 In primo piano seduti il Papa al centro con il veescovo Domenico Sorrentino e suor Alessandra Smerilli. Dietro seduti i componenti della numerosa delegazione

“Sono contento di sapere che avete dato vita, con il Vescovo di Assisi e gli altri promotori da me incaricati, alla 'Fondazione The economy of Francesco'. Dai vostri ideali è nata un’istituzione. Essa è importante perché servirà a sostenere gli ideali; e voi ne sarete non solo beneficiari, ma protagonisti, assumendo i compiti a voi assegnati con entusiasmo e senso di disponibilità”. Lo ha detto Papa Francesco durante l’udienza con una nutrita delegazione della fondazione di Eof, istituita formalmente lunedì 23 settembre.

Chi ha partecipato all'udienza con il Papa

All’incontro hanno partecipato i soci fondatori - il vescovo delle diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, anche presidente della neonata fondazione, la presidente del Serafico Francesca Di Maolo e l’economista Luigino Bruni - e un gruppo di sostenitori, esperti e giovani di oltre trenta nazionalità, coinvolti nei diversi organi della Fondazione e che costituiscono l’assemblea di partecipazione, organo centrale dell’associazione, già al lavoro per determinare il piano di attività e gli obiettivi.

Alcuni passaggi del discorso del Papa

“Ora - uno dei passaggi del discorso del Papa - comincia per voi una nuova fase. Bisogna che questa vostra bella realtà cresca, si rafforzi, arrivi a sempre più giovani, e porti i frutti tipici del Vangelo e del bene. Grazie a voi di tutto, di tutto quello che fate e che avete fatto, che è andato oltre le aspettative. Ho voluto puntare su di voi, perché i giovani hanno tutta la vita davanti, sono un ‘cammino’ vivente, e da un cammino possono nascere cose buone, stando attenti a prevenire quelle brutte. Il mondo dell’economia ha bisogno di un cambiamento. Non lo cambierete soltanto diventando ministri, o premi Nobel o grandi economisti – tutte cose belle –; lo cambierete soprattutto amandolo, alla luce di Dio, immettendo in esso i valori e la forza del bene, con lo spirito evangelico di Francesco d’Assisi: lui era figlio di un mercante, conosceva i pregi e i difetti di quel mondo! Amate l’economia, amate concretamente i lavoratori, i poveri, privilegiando le situazioni di maggiore sofferenza. Non è il grande e il potente che cambia in meglio il mondo: è l’amore il primo e più grande fattore di cambiamento. Un economista di vita santa, il beato Giuseppe Toniolo, ha scritto a tale proposito che chi salverà davvero la società, ‘non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi, una società di santi’. Per questo ho voluto incardinare tutto il movimento Economy of Francesco su San Francesco d’Assisi che, semplicemente spogliandosi di tutto per amore di Gesù e dei poveri, ha dato anche un impulso nuovo allo sviluppo dell’economia. Oggi vorrei lasciarvi tre parole: essere testimoni (per avvicinare altri giovani con i vostri ideali all’economia), non avere paura (portate avanti il sogno e osate nuove parole) e sperare senza stancarsi (non è facile proporre una nuova economia in uno scenario di nuove e antiche guerre, mentre prospera l’industria delle armi togliendo risorse ai poveri, ma ricordiamo quello che Gesù diceva ai discepoli: ‘Non abbiate paura’)”.

Scopo della Fondazione "Economy of Francesco"

Nell’atto costitutivo c’è scritto che la nuova Fondazione ha lo scopo di “Promuovere e organizzare iniziative e attività nell’ambito culturale e spirituale, della ricerca scientifica, della formazione interdisciplinare, della impresa e innovazione; favorire la coscienza e la responsabilità di una vita economica e imprenditoriale all’insegna dello sviluppo umano integrale; incoraggiare esperienze e percorsi culturali, accademici, editoriali, imprenditoriali”.   [gallery ids="77787,77785,77786"]]]>
In primo piano seduti il Papa al centro con il veescovo Domenico Sorrentino e suor Alessandra Smerilli. Dietro seduti i componenti della numerosa delegazione

“Sono contento di sapere che avete dato vita, con il Vescovo di Assisi e gli altri promotori da me incaricati, alla 'Fondazione The economy of Francesco'. Dai vostri ideali è nata un’istituzione. Essa è importante perché servirà a sostenere gli ideali; e voi ne sarete non solo beneficiari, ma protagonisti, assumendo i compiti a voi assegnati con entusiasmo e senso di disponibilità”. Lo ha detto Papa Francesco durante l’udienza con una nutrita delegazione della fondazione di Eof, istituita formalmente lunedì 23 settembre.

Chi ha partecipato all'udienza con il Papa

All’incontro hanno partecipato i soci fondatori - il vescovo delle diocesi di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, anche presidente della neonata fondazione, la presidente del Serafico Francesca Di Maolo e l’economista Luigino Bruni - e un gruppo di sostenitori, esperti e giovani di oltre trenta nazionalità, coinvolti nei diversi organi della Fondazione e che costituiscono l’assemblea di partecipazione, organo centrale dell’associazione, già al lavoro per determinare il piano di attività e gli obiettivi.

Alcuni passaggi del discorso del Papa

“Ora - uno dei passaggi del discorso del Papa - comincia per voi una nuova fase. Bisogna che questa vostra bella realtà cresca, si rafforzi, arrivi a sempre più giovani, e porti i frutti tipici del Vangelo e del bene. Grazie a voi di tutto, di tutto quello che fate e che avete fatto, che è andato oltre le aspettative. Ho voluto puntare su di voi, perché i giovani hanno tutta la vita davanti, sono un ‘cammino’ vivente, e da un cammino possono nascere cose buone, stando attenti a prevenire quelle brutte. Il mondo dell’economia ha bisogno di un cambiamento. Non lo cambierete soltanto diventando ministri, o premi Nobel o grandi economisti – tutte cose belle –; lo cambierete soprattutto amandolo, alla luce di Dio, immettendo in esso i valori e la forza del bene, con lo spirito evangelico di Francesco d’Assisi: lui era figlio di un mercante, conosceva i pregi e i difetti di quel mondo! Amate l’economia, amate concretamente i lavoratori, i poveri, privilegiando le situazioni di maggiore sofferenza. Non è il grande e il potente che cambia in meglio il mondo: è l’amore il primo e più grande fattore di cambiamento. Un economista di vita santa, il beato Giuseppe Toniolo, ha scritto a tale proposito che chi salverà davvero la società, ‘non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi, una società di santi’. Per questo ho voluto incardinare tutto il movimento Economy of Francesco su San Francesco d’Assisi che, semplicemente spogliandosi di tutto per amore di Gesù e dei poveri, ha dato anche un impulso nuovo allo sviluppo dell’economia. Oggi vorrei lasciarvi tre parole: essere testimoni (per avvicinare altri giovani con i vostri ideali all’economia), non avere paura (portate avanti il sogno e osate nuove parole) e sperare senza stancarsi (non è facile proporre una nuova economia in uno scenario di nuove e antiche guerre, mentre prospera l’industria delle armi togliendo risorse ai poveri, ma ricordiamo quello che Gesù diceva ai discepoli: ‘Non abbiate paura’)”.

Scopo della Fondazione "Economy of Francesco"

Nell’atto costitutivo c’è scritto che la nuova Fondazione ha lo scopo di “Promuovere e organizzare iniziative e attività nell’ambito culturale e spirituale, della ricerca scientifica, della formazione interdisciplinare, della impresa e innovazione; favorire la coscienza e la responsabilità di una vita economica e imprenditoriale all’insegna dello sviluppo umano integrale; incoraggiare esperienze e percorsi culturali, accademici, editoriali, imprenditoriali”.   [gallery ids="77787,77785,77786"]]]>
https://www.lavoce.it/la-neonata-fondazione-the-economy-of-francesco-dal-papa/feed/ 0
Ogni news ha un limite https://www.lavoce.it/ogni-news-ha-un-limite/ https://www.lavoce.it/ogni-news-ha-un-limite/#respond Wed, 25 Sep 2024 14:03:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77733 giornali piegati

Sfogliando i quotidiani di giornata, facendo zapping tra i Tg di questo o quel canale, ascoltando la radio in auto o navigando in Rete, ho spesso una sensazione quasi di soffocamento. Da un conflitto all’altro, fra l’escalation di giornata e l’ennesima trattativa di pace, territori e città martoriati prima dagli incendi e poco dopo dalle alluvioni, e poi i barconi dei migranti inghiottiti dai mari coi sogni dei loro passeggeri, bimbi appena nati e sepolti in giardino, omicidi, femminicidi e altre violenze neppure immaginabili, dentro e fuori le famiglie, per strada, a volte senza neppure un ‘perché’.

A voi non capita di dover aprire la finestra per prendere una boccata di ossigeno di fronte a tutto ciò? Per carità, niente di nuovo. Nulla che non abbiamo già sentito fin da quando l’uomo e la donna hanno iniziato a popolare la Terra. Ma spesso si ha la sensazione che il limite – quello che ogni operatore dell’informazione dovrebbe darsi – si sposta sempre più in là, sempre di più verso confini inesplorati e pericolosi.

Un limite che non riguarda solo i giornalisti, che pure sarebbero tenuti a osservare un’etica e una deontologia professionali, ma che interpella anche autori, fotografi, videomaker, registi, grafici e gli stessi vertici di ogni impresa chiamata a fare informazione e comunicazione. E non voglio nemmeno aprire il “vaso di Pandora” dei social media, perché i mali che ne uscirebbero fuori potrebbero affondare del tutto le nostre riflessioni.

Allora, meglio tornare alla speranza. Come quella che sta nel tema che Papa Francesco ha scelto per la 59a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra nel 2025, e che è stato reso noto proprio in questi giorni. “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori” è il passaggio della Prima lettera di Pietro al quale il Santo Padre si è ispirato. Ci fa riflettere sul fatto che “oggi troppo spesso la comunicazione è violenta, mirata a colpire e non a stabilire i presupposti per il dialogo; è quindi necessario disarmare la comunicazione, purificarla dall’aggressività; dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social il paradigma che rischia di prevalere è quello della competizione, contrapposizione e volontà di dominio”.

Per chiudere, attingiamo ancora alle cronache degli ultimi giorni: al cinquantenne modenese che ha appena strangolato la madre ottantenne e confessa tutto al microfono dell’ infotainment televisivo pomeridiano di turno, prima ancora che ai carabinieri. Ecco, è quello il confine tra tenere accesi microfono e telecamera, oppure decidere di spegnerli per non superare il limite.

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giornali piegati

Sfogliando i quotidiani di giornata, facendo zapping tra i Tg di questo o quel canale, ascoltando la radio in auto o navigando in Rete, ho spesso una sensazione quasi di soffocamento. Da un conflitto all’altro, fra l’escalation di giornata e l’ennesima trattativa di pace, territori e città martoriati prima dagli incendi e poco dopo dalle alluvioni, e poi i barconi dei migranti inghiottiti dai mari coi sogni dei loro passeggeri, bimbi appena nati e sepolti in giardino, omicidi, femminicidi e altre violenze neppure immaginabili, dentro e fuori le famiglie, per strada, a volte senza neppure un ‘perché’.

A voi non capita di dover aprire la finestra per prendere una boccata di ossigeno di fronte a tutto ciò? Per carità, niente di nuovo. Nulla che non abbiamo già sentito fin da quando l’uomo e la donna hanno iniziato a popolare la Terra. Ma spesso si ha la sensazione che il limite – quello che ogni operatore dell’informazione dovrebbe darsi – si sposta sempre più in là, sempre di più verso confini inesplorati e pericolosi.

Un limite che non riguarda solo i giornalisti, che pure sarebbero tenuti a osservare un’etica e una deontologia professionali, ma che interpella anche autori, fotografi, videomaker, registi, grafici e gli stessi vertici di ogni impresa chiamata a fare informazione e comunicazione. E non voglio nemmeno aprire il “vaso di Pandora” dei social media, perché i mali che ne uscirebbero fuori potrebbero affondare del tutto le nostre riflessioni.

Allora, meglio tornare alla speranza. Come quella che sta nel tema che Papa Francesco ha scelto per la 59a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra nel 2025, e che è stato reso noto proprio in questi giorni. “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori” è il passaggio della Prima lettera di Pietro al quale il Santo Padre si è ispirato. Ci fa riflettere sul fatto che “oggi troppo spesso la comunicazione è violenta, mirata a colpire e non a stabilire i presupposti per il dialogo; è quindi necessario disarmare la comunicazione, purificarla dall’aggressività; dai talk show televisivi alle guerre verbali sui social il paradigma che rischia di prevalere è quello della competizione, contrapposizione e volontà di dominio”.

Per chiudere, attingiamo ancora alle cronache degli ultimi giorni: al cinquantenne modenese che ha appena strangolato la madre ottantenne e confessa tutto al microfono dell’ infotainment televisivo pomeridiano di turno, prima ancora che ai carabinieri. Ecco, è quello il confine tra tenere accesi microfono e telecamera, oppure decidere di spegnerli per non superare il limite.

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