Per una felice e del tutto fortuita circostanza, nel 1983, a trent’anni di distanza dalla fondazione, il settimanale La Voce sale all’attenzione di mons. Cesare Pagani divenuto arcivescovo di Perugia (1981-1988), personaggio aperto alla dimensione sociale e in particolare alla problematica delle comunicazioni sociali. Egli si propose di rimettere in mano ai Vescovi la proprietà e la gestione del settimanale, che dalla morte di don Antonio Berardi (1972) aveva preso una direzione diversa, divenendo un giornale cattolico generalista che non rappresentava più l’originaria dimensione regionale umbra.
In quel periodo era in atto nel Paese un’aspra lotta tra i due “blocchi” della destra e della sinistra, nel mondo e in Italia, e quindi anche il giornale era divenuto un organo di forte polemica anticomunista, che per alcuni, anche vescovi, era eccessivamente aspra. Mons. Giuliano Agresti, arcivescovo di Spoleto (1969-1973), giunse a consigliare ai preti di non diffondere il giornale in diocesi. Pagani, com’era suo stile, decise di “voltare pagina” e ridare a La Voce il carattere regionale e la finalità pastorale che erano state all’origine della sua fondazione. Per questo mise in piedi una struttura amministrativa e una redazionale che potessero garantire al settimanale una diffusione capillare e un continuità nel futuro per il bene religioso e sociale dell’Umbria. Fu una scelta coraggiosa, perfino rischiosa, perché si dovette rinunciare alla diffusione fuori regione, che garantiva una tiratura molto maggiore. Pagani sapeva che l’Umbria è piccola e povera di mezzi, ma era convinto che il criterio economico non fosse quello decisivo per fare le scelte pastorali.
È sciocco infatti dire che il gioco non vale la candela quando si ha a che fare con la predicazione del Vangelo o con la formazione di una opinione pubblica favorevole alla Chiesa e alla sua predicazione. Sulla base di queste premesse, il 1° gennaio 1984 uscì il primo numero firmato a nome dei Vescovi dal vescovo di Città di Castello mons. Carlo Urru, segretario della Conferenza episcopale umbra, e dal novello diettore don Elio Bromuri per la redazione. Non essendo quest’ultimo ancora nell’Albo dei giornalisti – proveniendo dal mondo della scuola, in quanto insegnante di Storia e filosofia al liceo Galilei, poi comandato presso il Provveditorato agli studi -, la firma ufficiale era quella di don Remo Bistoni, il quale non solo era giornalista iscritto all’Albo, ma uno dei primi fondatori del settimanale insieme a don Pietro Fiordelli e altri.
La prima redazione era formata da rappresentanti delle diocesi, personaggi che poi hanno fatto la loro vita altrove in posti di responsabilità. Queste storie sono note e ormai narrate più volte. Quello che forse è da sottolineare consiste nella stabilità in cui si è assestato questo strumento di comunicazione sociale, che a trent’anni da questa rinascita rappresenta un elemento costitutivo dell’identità della nostra regione. Vi sono infatti realtà che scorrono come un ruscello nelle pagine del settimanale, che senza clamori racconta le gioie e le tristezze, soprattutto le promesse e le speranze, e anche le sofferenze che serpeggiano o si manifestano in modo eclatante nel tessuto sociale del nostro popolo umbro.
Un docente di Storia, esperto anche di storia locale, Stramaccioni, mi diceva pochi giorni fa che nessuno potrà fare a meno de La Voce se vuole scrivere o conoscere la storia dell’Umbria di questi decenni trascorsi. Ciò vale soprattutto per la storia religiosa, la pietà popolare, la successione e l’opera pastorale dei vescovi e di molti parroci, le visite dei Papi in terra umbra. Ciò vale anche per il modo di accostarsi al Testo sacro, con i commenti che hanno visto succedersi molte firme, tutte di alta competenza. Voglio ricordare la teologa Lilia Sebastiani, i vescovi Benedetti, Chiaretti, Paglia, i biblisti Oscar Battaglia, Giulio Michelini, Bruno Pennacchini, fino alle famiglie che ci accompagnano in questi mesi. Ma quello che soprattutto conta è la stima di credibilità e affidabilità – e lo stile di dialogo e di rispetto nell’affermazione delle verità e delle convinzioni di un popolo credente – che La Voce si è conquistata nel tempo. Il futuro che si presenta offre novità di carattere tecnico (il digitale e il Web), con una mentalità in rapido cambiamento con la quale si devono fare i conti per non essere una “voce che grida nel deserto”, ma poter incrociare le sfide che stanno di fronte agli uomini e alle donne del nostro tempo.