Alcolisti anonimi: gruppi di auto-aiuto per risalire dal tunnel dell’alcool

I gruppi di A.A. in Umbria: incontri settimanali per passare dal bere incontrollato alla sobrietà

Un vizio, una debolezza moralmente riprovevole. Pregiudizi duri a morire, tanto che ancora oggi coloro che entrano nel “tunnel” dell’alcolismo tendono ad isolarsi, sentendo il peso della colpa per non riuscire a liberarsi da una dipendenza che, anche secondo il loro giudizio, va al di là di ogni logica. Oggi l’alcolismo, a livello medico-sanitario, è considerato una malattia a tutti gli effetti, progressiva e mortale, che necessita di cure specifiche e non solo. Un’importante risorsa è data dal gruppo di auto-mutuo-aiuto come quello di “Alcolisti Anonimi” (A.A.), un’associazione, nata negli Usa nel ’35, poi diffusa in 130 Paesi. In Italia è operante dal ’72. L’anello di questa “catena”, i gruppi locali, è composto da uomini e donne che, dopo innumerevoli sacrifici, sono riusciti ad affrancarsi “dalla bottiglia” e ora mettono a disposizione di coloro che si trovano nelle stesse condizioni, la loro preziosa esperienza. Anche dopo il recupero si deve combattere costantemente contro l’impulso del bere insegnando ad altri come si esce dal “tunnel”, come si può “rinascere” una seconda volta, conducendo una vita più consapevole. A.A. è aperta a quanti riconoscono di avere un problema di dipendenza dall’alcool e è fondamentale l’anonimato dei suoi membri. L’ammissione della “dipendenza” è il passo più difficoltoso, nessuno vuole essere considerato debole. L’associazione si finanzia con i contributi volontari degli aderenti.La partecipazione è totalmente gratuita e il programma di lavoro per uscire dall’alcool è un “cammino” di graduale e progressiva disintossicazione, da un bere incontrollato alla sobrietà. All’inizio c’è il programma delle “24 ore” in cui si cerca di resistere giorno per giorno, a volte ora per ora, poi l’intervallo tra un’assunzione di alcool e l’altra diventa più consistente, fino ad arrivare a un mese, un anno senza bere. Si organizzano delle riunioni settimanali e anche le famiglie degli alcolisti sono coinvolte. A fine percorso, coloro che ce la fanno si sentono più maturi, finalmente liberi e iniziano a volersi più bene, a riconoscere le proprie paure, i “coni d’ombra” della propria personalità. Una maggiore consapevolezza è il primo gradino per una “nuova vita”, ma la lotta non deve mai conoscere tregua perchè, soprattutto nei momenti di dolore o debolezza, la minaccia dell’alcool è sempre “dietro l’angolo”. Tecla BologniniMaria, alcolista a 25 anni, racconta come è riuscita a liberarsi dall’alcolSono sposata e ho due figli: ho bevuto dai 25 ai 35 anni. Mi alzavo la mattina con la testa terribilmente appesantita, lo stomaco sottosopra, le mani tremanti e le gambe che mi reggevano appena. Leggevo disperazione e disprezzo negli occhi dei miei familiari e ancor più nei miei, quando mi guardavo allo specchio. Ricordavo solo vagamente ciò che avevo fatto il giorno prima; andavo al lavoro per forza d’inerzia, solo perché dovevo e senza convinzione perché poco mi preoccupavo della famiglia in quanto il mio solo interesse era il bere, come procurarmelo e dove e come poterlo nascondere perché gli altri non sapessero e non vedessero. In qualsiasi ora del giorno dovevo bere per stare bene sul momento anche se sapevo che poi mi sarei sentita male. La mia vita era nelle mani dell’alcol e mi stavo lasciando morire; avevo ormai perduto amicizie, amore, rispetto, dignità e tutto ciò che è più caro nella vita. Avevo la sensazione di dover correre ai ripari prima che fosse troppo tardi e provai con i mezzi di cui potevo disporre, e cioè medicine e disintossicazione, ma nulla giovò per farmi uscire da quell’inferno: non capivo più chi amavo e chi odiavo, ma l’unica certezza era che odiavo me stessa con tutta l’anima. Il desiderio di smettere di bere prendeva possesso di me e cresceva di giorno in giorno, ma la spinta a bere era più forte del desiderio di smettere. Finalmente un giorno trovai un indirizzo e un numero telefonico che mi permisero di cambiare la mia vita e di riportarla alla sobrietà e alla serenità: si trattava dell’Associazione alcolisti anonimi (A.A.). Il primo giorno che andai al Gruppo AA ero piuttosto scettica e il mio scetticismo crebbe quando mi trovai di fronte a persone serene e tranquille che mi accolsero sorridenti e a braccia aperte, dicendomi che erano come me malate di alcolismo. Così, all’inizio, pensai che era tutta una farsa e una perdita di tempo: come potevano delle persone così serene essere come me che mi sentivo schiava del demonio? Cominciarono a parlare amichevolmente, come se mi conoscessero da sempre, esponendo fatti della loro vita con semplicità e senza alcun turbamento, mentre io, per i miei comportamenti, provavo vergogna e amarezza. Ben presto mi sentii sollevata perché mi resi conto che veramente quelle persone avevano conosciuto lo stesso inferno in cui io ero ancora dentro fino al collo: dunque non ero più sola e potevo farcela come ce l’avevano fatta loro e, soprattutto, perché potevo contare sul loro aiuto sincero e disinteressato. Sono ormai quattro anni che frequento il gruppo e seguo il programma di A.A.: è tornata in me la voglia di sorridere e di ridere e soprattutto la gioia di vivere. Messa da parte l’atroce dipendenza dall’alcol, sto affrontando i problemi quotidiani con sereno distacco: ho imparato a riconoscere i miei limiti e ad accettare le cose negative, che fanno comunque parte della vita e che, pur volendo, spesso non si possono cambiare.In A.A. ho trovato quello di cui avevo bisogno: amicizia, comprensione, lealtà, onestà, solidarietà e anche tanti preziosi suggerimenti per superare le difficoltà e tutto ciò senza che mi venisse chiesto nulla in cambio.

AUTORE: Maria