Amiamo i Patroni… e imitiamoli, però!

Mentre stendo queste note, si sta svolgendo la “luminaria” per la festa del patrono della città e diocesi di Perugia, san Costanzo. Una processione con autorità religiose e civili, popolo e figuranti con abbigliamenti medievali, simile – anche se più modesto – al Corteo storico di Orvieto. Una festa voluta e celebrata congiuntamente dalla Chiesa e dal Comune fin dal Trecento. Qualcosa di simile, e anche più ricco e sontuoso, avviene annualmente in varie città e perfino paesi grandi e piccoli. Il popolo si ritrova e si riconosce nel suo Patrono, che diviene il santo Protettore cui si affidano le ansie, i dolori e le angosce.

Per limitarci alle diocesi umbre possiamo ricordare, oltre a san Costanzo per Perugia (29 gennaio), la prossima festa del celebre patrono di Terni san Valentino (14 febbraio), i già celebrati san Ponziano a Spoleto e Feliciano a Foligno, i santi Florido e Amanzio a Città di Castello, san Rufino ad Assisi, san Giuseppe a Orvieto, senza dimenticare san Fortunato a Todi e sant’Ubaldo a Gubbio. Andrebbero aggiunti i patroni di città un tempo sedi vescovili, e poi la abbondantissima serie di patroni delle parrocchie, e i titolari dei santuari cari alle popolazioni di un determinato territorio.

Le manifestazioni esteriori, anche in un tempo considerato laico e secolarizzato, “tengono” e anzi si arricchiscono fino a diventare esagerate, finalizzate all’incremento del turismo locale, allo spettacolo folkloristico e al lancio dei prodotti tipici enogastronomici. Niente di male in tutto questo. Tutto si tiene e tutto si lega. Con un richiamo, però: i santi Patroni sono da ricordare, esaltare, invocare, ma soprattutto da considerare modelli di vita da imitare. Sono persone eroiche, legate a un ben determinato tempo e spazio, spesso lontani da noi per condizioni sociali e culturali, ma portatori di messaggi universali sempre attuali, quali la fedeltà a Cristo fino al martirio, l’amore alla Chiesa-comunità cui si sono dedicati, la determinazione e il coraggio nell’annuncio del Vangelo ai non credenti, la difesa di valori umani e cristiani. Varrebbe la pena proporre un esame di coscienza collettivo per mettere in luce la distanza tra la nostra vita morale e i modelli che celebriamo.

Tra questi Patroni rifulgono in modo speciale i fondatori delle comunità cristiane, o considerati tali, o comunque scelti quali patroni delle diocesi, cioè di comunità cristiane guidate da un vescovo come pastore e padre. Una storia delle diocesi ci porta a considerare non solo quelle attualmente esistenti (222 in Italia), ma moltissime altre che nel tempo si sono ridotte per numero di fedeli e sono state accorpate ad altre.

Del numero delle diocesi si è tornati a parlare a seguito della dichiarazione di Papa Francesco secondo cui in Italia le diocesi sarebbero troppe. I giornali locali, non solo in Umbria, hanno dato spazio a calcoli e ipotesi. Il taglio dei discorsi fa leva su criteri di tipo funzionale, economico e anche burocratico che, pur essendo utili per la vita di una comunità organizzata, non sono sufficienti per comunità che hanno storia, tradizione, ricchezze spirituali e un legame fraterno che trascende qualsiasi spending review.

Alcuni Vescovi, interpellati, si sono espressi affermando che si fidano del Papa. “Sa quello che fa” ha detto mons. Sorrentino. Il card. Bassetti ha detto che la questione non è attualmente all’ordine del giorno; quando ciò avverrà, sarà la Cei ad affrontarla, indicando criteri, regole e assetti. Le comunità ecclesiali, d’altra parte, esistono e resistono nel tempo in forme diverse, come è avvenuto nella storia, a patto che conservino la comunione nella fede e l’appartenenza a un popolo guidato da un Pastore, che può avere sede in un luogo o in un altro entro un territorio omogeneo.

AUTORE: Elio Bromuri