di don Saulo Scarabattoli
Dei Verbum, capitolo II, la trasmissione della divina rivelazione. Numero 7/a: gli apostoli e i loro successori, missionari del Vangelo.
“Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni.
Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la rivelazione del sommo Dio, ordinò agli apostoli che il Vangelo, prima trasmesso per mezzo dei profeti e da Lui adempiuto e promulgato di persona, come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, lo predicassero a tutti, comunicando i doni divini.
Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalle labbra, dalla frequentazione e dalle opere di Cristo, sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito santo, quanto da quegli apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito santo, misero in scritto l’annunzio della salvezza”.
“Chi vede me vede il Padre” ha attestato Gesù stesso. Dio dunque parla il linguaggio dell’uomo, dialoga con noi, e ci dice, in Gesù, che è Padre, Abbà. E che noi, in Gesù, siamo chiamati a essere suoi figli e fratelli tra noi. Sta tutto qui il Vangelo di Gesù.
Il Concilio, in fin dei conti, altro non intende dire. Perché questa è la bella e buona notizia di cui la Chiesa vive e che è chiamata a testimoniare all’uomo che, oggi come sempre, “è in cerca di Dio perché Dio lo ha cercato per primo” (Pietro Coda).
“Siamo proprio come gli assetati che bevono a una fonte. La parola del Signore offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di coloro che la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla.
La sua parola è un albero di vita che, da ogni parte, ti porge dei frutti benedetti. Essa è come quella roccia aperta nel deserto, che divenne per ogni uomo, da ogni parte, una bevanda spirituale. Essi mangiarono, dice l’apostolo, un cibo spirituale e bevvero una bevanda spirituale” (Efrem Siro, diacono a Edessa in Turchia; 306-373).
Ma come questa antica sorgente può dissetare la nostra sete di oggi; come ha potuto dissetare la sete di tutti quelli che hanno cercato Dio nei secoli; e come potrà dissetare le future generazioni, fino alla fine dei tempi?
“Invierò il mio Spirito – promette Gesù – che vi insegnerà ogni cosa”. Proprio la presenza di questo Spirito custodirà la purezza di questa “acqua viva” dal rischio di inquinamento – come un corso d’acqua che, lungo il cammino potrebbe raccogliere detriti di ogni genere: le eresie antiche, per esempio, ma anche le eresie moderne (il Papa le richiama, gnosticismo e pelagianesimo, anche nella vita dei cristiani di oggi).
E la tristezza di Dio Padre, quando vede noi, suoi figli, scavarci cisterne di acqua inquinata, e non accorgerci della sorgente di acqua pura. “Se tu conoscessi il dono di Dio – dice Gesù alla donna samaritana incontrata nei pressi del pozzo di Giacobbe – , chiederesti a me, e io ti darei acqua viva”. Per favore, Signore, dacci quest’acqua!