Anziani, vittime del Covid e della discriminazione anagrafica

Tenere gli anziani chiusi in casa ancora per mesi potrebbe avere effetti devastanti sulla salute fisica e psichica di queste persone, che
a parole si dice di “proteggere”

l nostro Paese si è trovato improvvisamente a dover affrontare una epidemia, quella del Covid-19, per la quale era abbastanza impreparato.

Si è trattato di un virus nuovo, altamente contagioso, in grado di provocare in alcuni casi gravi patologie polmonari, spesso ad esito fatale.

Si è trattato di un’infezione virale che i nostri medici hanno dovuto affrontare in molti – specie nella prima fase – senza adeguate strutture di sostegno e senza adeguati presìdi di protezione individuale.

Improvvisamente, nella situazione emergenziale, si è scoperto che i nostri ospedali non avevano un numero sufficiente di letti nei reparti di Terapia intensiva e di Rianimazione.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Il prezzo pagato dalla popolazione, soprattutto quella anziana, e dalla classe medica e paramedica, è elevatissimo.

Una cosa è risultata subito evidente: qui e altrove nel mondo, le persone più esposte a forme gravi della malattia sono gli anziani, specie se affetti da altre patologie. E proprio nelle residenze per anziani il virus ha mietuto il più alto numero di vittime. Questo essenzialmente per due motivi: gli ospiti di tali strutture sono non di rado non autosufficienti, o comunque affetti da vari tipi di disabilità, fisiche o psichiche; in tali strutture è molto difficile, se non impossibile, praticare misure di distanziamento sociale.

L’arrivo di un contagiato, ovviamente inconsapevole, sia esso personale sanitario, parente o visitatore, innesca facilmente il contagio, con effetto domino. È quanto si è verificato in alcune Regioni italiane, e in misura maggiore dove più intensa è la presenza del virus. In alcuni casi si è trattato di una vera strage di anziani.

Dunque, gli anziani. E di anziani, in quanto categoria potenzialmente esposta a più alto rischio di contagio, si parla molto in questi giorni. Sono infatti allo studio programmi e percorsi particolari che consentano di proteggerli quando i più giovani ricominceranno a circolare. Ma proteggerli in che modo? Di fatto, prolungando solo per loro le misure di confinamento attualmente in vigore.

Ebbene, una misura di questo tipo si configurerebbe come una vera discriminazione anagrafica, ottenuta sulla base di ragionamento assai semplificato: ‘Visto che fin qui a morire sono stati soprattutto gli anziani (ma, come si è detto, in presenza di altre patologie), tutti gli anziani vanno mantenuti in un regime di segregazione coatta’.

Ma che dire allora dei giovani con patologie anche gravi?

E che dire dei giovani liberi di circolare, che presumibilmente andranno a trovare i loro anziani, nonni, zii, prozii?

Non solo. Una misura di questo tipo contrasta da un lato con il dettato costituzionale, e dall’altro con tutta la cultura geriatrica degli ultimi anni, che si è preoccupata di ridurre il distanziamento sociale degli anziani e di neutralizzare la perdita di senso o il senso di inutilità, ai confini della depressione, che a volte caratterizza la fine della fase attiva della vita. Tenere gli anziani chiusi in casa ancora per mesi potrebbe dunque avere effetti devastanti sulla salute fisica e psichica di questa categoria di persone, che a parole si dice di voler proteggere, e che sarebbe invece condannata a un inesorabile declino.

L’Italia, lo sappiamo, è un Paese con un numero elevato di anziani e di longevi. Ma anziani e longevi in molti casi vitalissimi, pieni di curiosità, in buona salute, e certo dotati dello stesso senso di responsabilità dimostrato da tutta la collettività nazionale in queste settimane di isolamento. Nessuno di loro vuole contagiare, né essere contagiato. D’altronde, come ci insegna la saggia follia di Erasmo da Rotterdam, “che differenza c’è tra vecchi e giovani, se non che quelli sono rugosi e annoverano un maggior numero di anni?”.

Elmo Mannarino, geriatra
Gioia Zaganelli, filologa