Attraverso l’inferno del deserto

PROFUGHI. Esce il rapporto “Fuggire o morire” a cura di Medici per i diritti umani

medici-soccorso-immigratiSu 500 “richiedenti asilo” intervistati a Roma e in Sicilia, tutti hanno riferito di avere subìto trattamenti crudeli inumani e degradanti.

La maggior parte porta sul corpo i segni di violenze e torture, come cicatrici, bruciature, ematomi.

Impossibili da mostrare sono invece le ferite invisibili che causano disagio psichico, incubi notturni, disturbi da stress post-traumatico, ansie e depressioni.

I loro racconti sono stati raccolti sul campo da operatori dell’organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani (Medu), comprovando le dichiarazioni con visite mediche e psicologiche. Il resoconto è confluito nel rapporto Fuggire o morire. Rotte migratorie dai Paesi sub-sahariani verso l’Europa, reso noto il 29 luglio.

Medici e psicologi hanno ascoltato i profughi nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) per richiedenti asilo in provincia di Ragusa e al Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo, in provincia di Catania, e in alcuni insediamenti informali a Roma: edifici occupati, baraccopoli, stazioni ferroviarie.

Eppure, nonostante prove su prove, c’è chi – vedi Il Giornale del 31 luglio – si ostina ad affermare, citando semplicemente la testimonianza di un interprete e spacciandola per “inchiesta”, che le storie dei richiedenti asilo “sono studiate a tavolino” e quelle raccontate davanti alla Commissione territoriale sono solo “bugie dei clandestini”.

Il Calvario dei profughi

Il minimo che può succedere a un migrante durante il viaggio attraverso il deserto, nei centri di detenzione libici e in mare, è di essere picchiato o di vedersi negare per giorni l’acqua, il cibo, le cure mediche, e ricevere minacce di morte per sé o per i propri familiari. Per le donne, ma anche per i ragazzi, lo standard è la violenza o gli oltraggi sessuali.

Gli orrori peggiori, durante i quali molti perdono la vita, parlano di torture atroci come la cosiddetta falaka, effettuata colpendo le piante dei piedi con fruste o oggetti simili, che provocano ferite talmente profonde da impedire di camminare. “E. I.”, 28 anni, dalla Nigeria, ha ancora i segni di indurimento della pelle perché è stato costretto a continuare il viaggio trascinandosi sulle ginocchia.

Le principali rotte

Sono due le principali rotte migratorie, note agli addetti ai lavori e confermate dall’organizzazione: la rotta dell’Africa occidentale, che passa attraverso il deserto del Niger (indicato a volte come “la strada per l’inferno” perché tantissimi lì muoiono di stenti o violenze, tanto nessuno verrà a reclamare i corpi) e la Libia; e la rotta dell’Africa orientale, dall’Eritrea e dall’Etiopia attraverso il Sudan e la Libia.

Il viaggio dura in media 16 mesi, con una permanenza di circa 5 mesi in Libia e un costo medio che varia dai 1.000 ai 3.600 euro. L’ultimo tratto del viaggio è lo stesso, e prevede l’attraversamento del Mediterraneo in condizioni drammatiche, a bordo di imbarcazioni gestite dai trafficanti.

In fuga da cosa

Nel rapporto Medu si ricorda che la distinzione tra rifugiati e migranti economici “è un concetto astratto” perché tutti “fuggono da drammatiche circostanze che rappresentano spesso una minaccia per la stessa vita”, sono quindi “migranti forzati”. Cade dunque – a loro avviso – la distinzione che spesso si fa.

“Indipendentemente dal Paese di origine – sottolinea l’organizzazione -, molti di loro devono essere senza dubbio considerati migranti forzati. In ogni caso è altamente probabile che ogni persona giunta nell’Italia del Sud affrontando il Mediterraneo a bordo dei barconi, abbia attraversato l’inferno del deserto del Sahara e abbia sperimentato o sia stata testimone in prima persona di torture e trattamenti inumani in Libia”.

 

AUTORE: Patrizia Caiffa