Avrò esagerato?

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Avrò esagerato? La domanda mi tozza nella testa da venerdì, da quando, nel primo pomeriggio, è arrivato il postino con il n. 4 de La Voce. Avrò esagerato nello scrivere che la Chiesa, senza la cura dei poveri, è solo una congrega di buontemponi? Io vivo in campagna, in una residenza della Comunità di Capodarco dell’Umbria; le Poste fanno il possibile per servire adeguatamente anche noi topi campagnoli, e a volte ci riescono, addirittura. Ma a volte in una botta sola arrivano quattro copie di Avvenire, tutte insieme. E la mia vista, indebolita dall’abuso dello schermo del pc, fatica a individuare quella che tra le quattro merita di essere letta, ed è forte la tentazione di affidarle tutte e quattro, ex ante, al buzzo di plastica della raccolta differenziata, quello “Carte e cartoni”. In ogni caso, quando La Voce arriva a me, vuol dire che è già arrivata a tutti gli abbonati. Inde pavor. Per questo da venerdì comincio a mordermi le unghia, faccio boccacce, piatisco sottovoce: avrò esagerato nello scrivere che la Chiesa, senza la cura dei poveri, è solo una congrega di buontemponi? Sarò stato eccessivo? Sarò andato fuori del seminato? Inde pavor. Ma bastano poche ore, e il pavor evapora. Il sabato mattina non c’è più. Bene, ancora una domenica senza patemi d’animo. Adesso mi sembra certo che no, non ho affatto esagerato nello scrivere che la Chiesa, senza la cura dei poveri, è solo una congrega di buontemponi. I pilastri dell’antropologia biblica, gradualmente giunta a pienezza in Cristo, sono due. Primo: la vita, nel suo nucleo autentico, è un bene che si realizza solo nella misura in cui viene messa a disposizione, ed evapora quando uno tenta di spremerla come un limone solo per sé. Secondo: nel dinamismo tipico della vita, ad ognuno che abbia occhi per vedere e orecchi per intendere viene quotidianamente chiesto di mettere a disposizione il proprio tempo, la propria intelligenza, gli averi, la fantasia, la sensibilità. Il tutto solo come… anticipo del momento in cui la richiesta sarà quella di mettere a disposizione la vita stessa, e di partire per un luogo che nessuno conosce, lasciando tutto, e portando con sé solo tutto quello che si è donato. Nella fiducia più cieca. Per questo, e non per qualcosa di secondario, da quando Isaia indicò nella valorizzazione della vita debole il segno caratteristico della presenza del Messia fra noi (“Non spegnerà i lucignoli fumiganti, non finirà di spezzare le canne incrinate”) a quando Pietro istituì, in funzione del servizio ai poveri, il collegio dei Diaconi, perché il servizio ai poveri era irrinunciabile per la Chiesa nascente… no, la frase che a tratti suscita i miei flebili patemi d’animo (“la Chiesa, senza la cura dei poveri, è solo una congrega di buontemponi”) sarà forse troppo… giornalistica, ma è vera.

AUTORE: Angelo M. Fanucci