Azione Cattolica Orvieto. Ciclo V6+2: “La vità non è bella, è grande”

È capitato anche a me di vedere la vita in bianco o in nero… ma poi ti rilassi, e da quella posizione rigida scendi e scopri che non è così, che non dipende da te la salvezza del mondo, che non sei Dio e che una visione rigida non ti fa vedere la realtà della vita con tutti i suoi colori.

Sì, perché la realtà è complessa e ha bisogno di umiltà e pazienza per essere compresa, vissuta e amata. Anzi guardata, perché noi siamo quello che guardiamo, e guardiamo più a lungo. Spesso i muri mentali sono più spessi di quelli reali e ci impediscono di uscire da noi e dalle nostre false sicurezze.

Le persone rigide, anche per motivi indotti dalla vita, sono destinate a vivere una vita solitaria, parziale, una morte a gocce verrebbe da dire.

Discorsi complicati, che però abbiamo sentiti nostri, nello scorso weekend al convento di Montesanto di Todi, specialmente quando Chiara Scardicchio, con un grande gruppo di adulti provenienti da diverse parti della diocesi, ha affrontato temi come la sofferenza, in termini totalmente insoliti.

Come reagire alla “perturbazione”

Quando la perturbazione ci investe nella vita e ci ‘incasina’, ciò che ci salva è come reagiamo al cambiamento. Infatti, se dall’ordine iniziale passiamo nella perturbazione e poi tendiamo a rientrare nell’ordine di prima, questa reazione non dura, non regge.

Se invece accettiamo che quell’esperienza di dolore, mancanza, sofferenza – che ha modificato la posizione iniziale – ci cambi e ci trasformi, allora compartecipiamo alla creazione. Se accettiamo di affrontare l’ignoto, è lì che diventiamo grandi, migliori, e che sveliamo la nostra identità. Dio opera.

Accettare di uscire dalla persona che ero prima per diventare forse migliore, o comunque diverso, non è semplice. In questo ci aiuta lo Spirito, che suggerisce, e scalda il cuore e la mente, e ci aiuta nel tempo ad assumere una personalità arricchita, complessa, con altri colori oltre a quelli che avevi.

I giovani e gli adulti

Un argomento limite, poi, come la morte è stato affrontato di petto, perché fa parte dell’essere adulti. Infatti il giovane vive come se fosse sempre il primo giorno, mentre entrare nella fase adulta è pensare e vivere come se fosse l’ultimo.

Ciò libera energia, voglia di vivere, e induce a non perdere il tempo. Il dolore e la morte sono compagni di vita con cui fare i conti. Scoprire che abbiamo dato il meglio di noi in occasioni di sofferenza e di limite ci fa pensare che c’è del meglio in noi, e che emerge se accettiamo di vivere, nella complessità, l’abito nuovo.

Resilienza…cioè?

Infine abbiamo capito che la tanto decantata “resilienza”, oggi tanto di moda, non è sentirsi invincibili di fronte agli urti della vita. Non è questo il significato, come molti vorrebbero suggerire con la loro falsa scienza; ma essere resilienti vuol dire capacità di cadere e reagire.

Torna in mente l’immagine della nuvola e della pietra, che Chiara ha proiettato tra le mille slide e video che hanno accompagnato le sue lezioni-testimonianza, per rappresentare che solo la vulnerabilità porta la vita. Accettare la nostra fragilità significa essere disponibili a vivere la vita, a cambiare, a trasformare il presente. Una metamorfosi.

Passare due giorni con una persona capace di parlare di sé, della fede e della scienza del comportamento cognitivo, fusi in un’unica narrazione, è stato illuminante. La scelta sta a noi, se essere rigidi portatori di disperazione e di un giudizio negativo sugli altri e sul mondo, o fragili portatori di speranza che non giudicano ma applicano la misericordia perché sanno quanto è difficile essere disposti a trasformare la vita in un paradiso. Solo guardando la parte migliore diventiamo quello che guardiamo.

Non è stato il solito esercizio, non passerà inosservato alle nostre coscienze, alle nostre menti e, anche se le ali non sono ancora spuntate, basterà quello che abbiamo iniziato a provare su di noi. Grazie, Chiara, per essere un po’ “morti” insieme. La vita non è bella, è grande.

Lamberto Manni