di Daris Giancarlini
“Una foto vale più di mille parole” è la frase classica che fissa le pietre miliari della comunicazione moderna. Così viene in mente l’immagine del corpo di Ailan, piccolo profugo siriano trasportato dal mare in cui era affogato su un spiaggia greca.
E colpisce la foto, recentissima, del ragazzino che, in mezzo al marasma dello sgombero dello stabile di Primavalle, quartiere periferico di Roma in cui abitava abusivamente con la famiglia, si preoccupa di portare con sé un bel pacco di libri.
Lo fa con una faccia seria e corrucciata, forse consapevole del fatto che quei libri possono rappresentare la base più solida per costruirsi un futuro migliore di quello di minorenne sgomberato e rimasto da un giorno all’altro, senza un tavolo e una sedia dove fare i compiti.
Due bambini, due storie diverse, dall’epilogo differente, ma simili per la condivisione della parola ‘futuro’. Ailan non ce l’ha fatta a crescere e a cambiare vita: lo hanno risucchiato il mare e l’indifferenza degli uomini, anche di quelli che, guardando la foto del suo cadaverino, si sono indignati e commossi per ‘cinque minuti cinque’ sui social per poi farsi risucchiare dall’indifferenza.
Potrebbe avere un epilogo più felice la vicenda del piccolo sgomberato di Primavalle, se non venisse lasciato solo a sostenere il peso dei suoi libri e del suo avvenire. Si fanno collette e raccolte fondi per tanti nobili scopi: questo non sarebbe da meno.