Battesimo: l’acqua che dà la vita

Perché il sacramento del battesimo si fa con acqua? Meglio versarla sulla testa, o per immersione? E prima di procedere al rito vero e proprio, che significato hanno quelle lunghe preghiere?

A poco a poco, il rito ci accompagna al momento centrale della celebrazione del sacramento del battesimo, il momento in cui il sacerdote (o il diacono) si dirige con i genitori, il padrino e la madrina, verso il fonte battesimale per compiere il lavacro nell’acqua. Elemento semplice ed umile l’acqua, nella sua natura, richiama sin da subito la purificazione, ma nel battesimo è molto di più.

Raggiunto il fonte il sacerdote (qualora l’acqua non sia già stata benedetta precedentemente) recita una lunga preghiera di benedizione affinché in essa discenda lo Spirito, datore di vita. Questa preghiera, talvolta poco ascoltata o recitata di fretta, nella sua prima parte ricorda le gesta che Dio ha compiuto attraverso l’acqua lungo la storia della salvezza prefigurando in quegli eventi il sacramento del battesimo.

Si ricorda, infatti, l’acqua della creazione, l’acqua del diluvio universale, il passaggio nel Mar Rosso, l’acqua del Giordano, l’acqua del costato di Gesù ed infine la missione data dal Risorto agli apostoli. In tutti questi eventi l’acqua sembra avere a che fare con il passaggio dalla morte alla vita, ed è per questo che, verso il finale, la preghiera afferma che con il sacramento del battesimo l’uomo rinasce attraverso l’acqua e lo Spirito santo a nuova vita.

Sempre nel finale della preghiera troviamo il simbolismo della sepoltura e della risurrezione, cioè la partecipazione del battezzato al mistero pasquale di Cristo. Dunque, non avendo ancora utilizzato l’acqua per battezzare, già con la preghiera viene mostrata tutta la portata salvifica del battesimo. Premesso questo, dopo che i genitori, il padrino e la madrina hanno professato pubblicamente la propria fede, seguita dall’adesione del celebrante e della comunità, si compie il lavacro, per immersione o infusione, con l’invocazione della Trinità.

Ci si potrebbe chiedere ora quale è la modalità più giusta tra infusione e immersione. Il rituale non esclude nessuna delle due, sono entrambe corrette, anche se con la prima, soprattutto per come si vede spesso fare, si rischia di sminuire la portata del segno sacramentale.

Come si può infatti con qualche goccia d’acqua versata sul capo del bambino o dell’adulto, significare l’“immersione” nella morte e risurrezione di Cristo, la nascita a nuova vita dal grembo della Chiesa, la purificazione dai peccati? La celebrazione infatti attraverso i segni rituali esprimere il Mistero che si sta celebrando, ma ciò è reso possibile se evitiamo un minimalismo liturgico spesso diffuso, che costringe a proporre lunghe spiegazioni durante la celebrazione del sacramento per far capire ai fedeli cosa stiamo facendo.

Invece un’azione rituale ben compiuta, come in questo caso, esprime senza tante spiegazioni il Mistero che si sta celebrando. “Per mezzo del battesimo scrive san Paolo ai Romani (6,4) – siamo stati sepolti insieme a lui nella morte… così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”.

Don Francesco Verzini