Benedetta accoglienza

A chi vive la propria vita come storia non solo personale, ma anche nella dimensione collettiva, guardando anche al “vicino di casa”, quello che crea problemi e fa più rumore e che in Europa oggi è soprattutto la Grecia, crea un forte disagio riflettervi sopra in modo attento, alla vigilia della festa di san Benedetto patrono d’Europa (11 luglio).

Ne abbiamo accennato nel numero precedente – Europa “benedettina” – ma non è sufficiente. In questi anni la crisi economica ha fatto salire a livelli sempre più alti, nei singoli Stati, la difesa dei propri interessi immediati. Una difesa a tutti i costi contro tutti. In Europa, mentre da Sarajevo Papa Francesco ammoniva a “costruire ponti”, in realtà si stanno ergendo muri.

Chi ne rimane maggiormente danneggiato sono profughi ed esiliati, i quali, costretti a fuggire da casa propria, cercano altrove un rifugio e una possibilità di vita nuova. Oggi questi esodi, diversamente caratterizzati, hanno una carica di pressione politica ed economica che porta divisione e forti contrasti all’interno degli schieramenti politici, tra chi è aperto all’accoglienza e chi – come si diceva – rafforza le difese con muri sempre più alti, respinge, e non sente ragioni. Non è da credere che questo sia un fatto nuovo. Con alterne vicende e con numeri di migranti diversi a seconda dei periodi, il fenomeno si può dire strutturale nella vita delle popolazioni umane.

In Europa questo fenomeno ha avuto il suo posto nella meditazione dei Benedettini e nella prassi dei loro monasteri a partire dalle norme scritte nella Regola di san Benedetto al cap. 53. In verità, lì non si tratta di migranti o profughi, ma di semplici ospiti, i quali devono essere accolti come Cristo ha insegnato: “Ero forestiero e mi avete ospitato”.

Questo capitolo della Regola è da considerare, in un certo senso, rivoluzionario. Rappresenta un rovesciamento della concezione dell’altro: non più come nemico e pericolo, ma come un amico, soprattutto se condivide la stessa fede. Per verificare questo, l’abate e i monaci che accolgono il forestiero lo invitano a pregare insieme per evitare ogni inganno e ogni equivoco. A parte il modo dell’accoglienza che ha il carattere di un vero e proprio rito, il significato di questa norma benedettina è da considerare una “rivoluzione” – parola ripetuta più volte dal Papa, e che ha in America Latina una risonanza particolare. Una rivoluzione sempre in atto, e che deve fare molti passi in avanti per determinare una concreta trasformazione della società.

Tra le mille parole, tutte proposte con intensità e convinzione alle folle dell’Ecuador da Papa Francesco, in queste giornate storiche che si ripeteranno nei giorni prossimi in Bolivia e Paraguay, i Paesi più poveri dell’America Latina, l’idea di fondo non è solo l’accoglienza del forestiero o del migrante, ma una regola generale di accoglienza gli uni degli altri, soprattutto dei poveri.

Nel discorso sull’unità, che rappresenta un manifesto ecumenico e cristologico di grande portata, afferma la necessità di lottare per “l’inclusione a tutti i livelli, evitando egoismi, promuovendo la comunicazione, il dialogo, incentivando la collaborazione. Bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze. Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale” (omelia della messa a Quito, 7 luglio).

Il discorso sull’unità non dimentica la dimensione più specifica dell’unità del popolo di Dio, nella sua accezione ecclesiologica e in quella socio-politica, la dimensione nazionale e mondiale, nella sua interezza, senza dimenticare le questioni care al movimento ecumenico che riguardano le diversità riconciliate e la condanna del proselitismo come “caricatura” dell’evangelizzazione.

Da san Benedetto da Norcia a Papa Bergoglio, il messaggio cristiano e l’azione della Chiesa sono sempre rivolti alla riconciliazione, all’accoglienza, alla fraternità tra le persone, le famiglie e i popoli.

 

AUTORE: Elio Bromuri