“Chiesa italiana, sei la nostra voce!”

ASSEMBLEA CEI / ASSISI. L’intervento del vescovo cattolico caldeo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda
Mons. Bashar Matti Warda, arcivescovo caldeo di Ebril, nel Kurdistan itacheno insieme a dei bambini cristiani durante una visita nella sua diocesi
Mons. Bashar Matti Warda, arcivescovo caldeo di Ebril, nel Kurdistan itacheno insieme a dei bambini cristiani durante una visita nella sua diocesi

“Grazie per le preghiere, per la carità, per farci sentire che la Chiesa italiana è per noi come la nostra Chiesa madre, che ci è stata molto vicina in questi momenti di persecuzioni”. Con queste parole il vescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Matti Warda, ha concluso il suo intervento – un quarto d’ora, molto applaudito – martedì, seconda giornata dell’Assemblea della Cei ad Assisi. Eccezionalmente, oltre ai 233 vescovi (di cui 13 emeriti e 33 invitati), sono stati ammessi a questa parte dei lavori anche i giornalisti presenti ad Assisi. La Chiesa italiana, ha affermato il Vescovo, “ci è stata molto vicina in questi momenti di persecuzione. È la prima volta che una Chiesa grida per difendere i nostri diritti. Vi prego, per favore, continuate questo grido, perché i nostri cristiani perseguitati non si sentano anche dimenticati”.

Mons. Warda ha parlato in arabo; il suo intervento, tradotto in simultanea, è stato preceduto da un video della Caritas con le immagini di uno dei 27 campi profughi del Kurdistan iracheno, dove una delegazione della Cei, guidata da mons. Galantino, si è recata di recente. “Ci sono ragioni fondate – commenta lo speaker – di temere che da qui a qualche anno non ci sia più nemmeno traccia della presenza cristiana”.

“Cari fratelli nell’episcopato – ha affermato mons. Warda – ringrazio il Signore per tutte le Sue grazie: ci ha insegnato quanto sia prezioso e impegnativo essere cristiani, e ci ha mostrato come incontrarlo attraverso il servizio verso i profughi. L’esperienza in questi mesi ci ha insegnato a mettere da parte tutti i nostri programmi e progetti pastorali per essere accanto ai nostri profughi”, che “continuano a bussare alla nostra porta”.

“Il 7 agosto – ha ricordato – abbiamo aperto le nostre chiese, oratori, scuole, parrocchie, giardini: abbiamo accolto 120 mila profughi in 24 ore. Hanno attraversato il mare della violenza per arrivare nelle nostre più sicure città. Fin dal primo giorno, noi vescovi cattolici e ortodossi, inclusi quelli del territorio di Mosul – ha proseguito mons. Warda – abbiamo istituito una Commissione per riunire gli sforzi e coordinare gli aiuti”, insieme ai sacerdoti, ai religiose e alle religiose, ai laici “che collaborano con noi per aiutare i perseguitati”.

“Ogni 100 profughi, ci sono un sacerdote e una suora per pregare, ascoltare i ragazzi e i loro bisogni, e diminuire le tensioni per lo stress e le pressioni psicologiche”, ha riferito. La domanda più ripetuta: “Quando finisce questa tragedia e torniamo alle nostre case e chiese?”.

Alla Commissione che coordina gli aiuti, ha detto ancora mons. Warda, “sono arrivate donazioni per circa tre milioni di dollari, con cui abbiamo dato da mangiare a chi non ha da mangiare, da bere a chi non ha da bere, vestiti e medicine a chi ne ha bisogno, alloggio a chi non ha un’abitazione. Anche alle famiglie jazide, che bussano alla nostra porta a causa dell’assenza del Governo di Baghdad”. Oltre 400 famiglie di profughi sono state trasferite “dalle tende a case provvisorie per proteggersi dal freddo e dalla pioggia”, e sono stati affittati 1.200 appartamenti per famiglie ricoverate nelle scuole: su 11 scuole, 5 sono state restituite alla loro funzione. “Stiamo cercando di costruire scuole perché i giovani possano riprendere gli studi”.

Le donazioni di cibo, però, arrivate nei primi due mesi, nelle ultime settimane scarseggiano, e l’inverno mette tutti a dura prova: “Così abbiamo deciso di lanciare un programma di solidarietà perché il cibo sia garantito a tutti i profughi. Siamo consapevoli dei nostri limiti e stiamo cercando di migliorare perché non si sentano allo stesso tempo perseguitati e dimenticati”, ha concluso il Vescovo: “Non ci sono indizi incoraggianti per soluzioni immediate di questa tragedia, anzi ci vorranno anni. Stiamo pensando di costruire case come alternativa all’esilio nella propria patria, aiutando le persone a trovare lavoro per vivere una vita dignitosa”.

L’Isis: una ferocia disumana come non si vedeva da decenni

“Sono arrivata a Erbil il 21 ottobre. Faccio questo lavoro da 17 anni, ma i miei occhi non avevano mai visto tanta disumana violenza”. A parlare è Carlotta Sami dell’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), appena rientrata dall’Iraq. “Centinaia di migliaia di esseri umani trucidati, un esodo biblico di donne, bambini e uomini – racconta -. A Erbil, ad agosto, dalla notte alla mattina, sono arrivati centinaia di migliaia di sfollati in fuga dai ‘tagliagole’. Sì, a Erbil i miliziani dell’Isis, con tragica semplicità, vengono chiamati così. La loro crudeltà è sistematica: trucidano chiunque non accetti di sottostare alle loro regole del terrore”. A Erbil ha ascoltato le storie di chi è sopravvissuto: “Case distrutte, bambini uccisi davanti alle madri, famiglie spezzate, padri rapiti, madri scomparse, violentate e torturate”. Per l’Unhcr, “questa è un’operazione di proporzioni mai viste da decenni. Centinaia di migliaia di sfollati sono stati accolti nei nostri campi e sono ora al sicuro”. Ora si continuano a costruire campi perché tanta gente è ancora in strada; a portare prefabbricati per dare un alloggio sicuro, e distribuire stufe, cibo, coperte, materassi.