Cinquanta

Ho chiesto una settimana per confezionare la risposta giusta alla domanda su come si possa risanare quella palude puteolente che è il Parlamento della Repubblica italiana. Ci ho provato. Ho trovato la risposta. Una risposta. Non so se sia quella giusta. Ma nel frattempo mi sono accorto che questo numero de La Voce arriva in mano al lettore (uno dei miei 17, se non sono calati di numero nel frattempo) il 12 ottobre. E il 12 ottobre 2012 sono esattamente 520 anni da quando Colombo attraccò sulla costa del Nuovo Mondo. E sono esattamente 50 anni dall’apertura del Concilio. Capite nos: la rete fognante passa in seconda linea. Avevo vent’anni, quel 28 ottobre 1958, vent’anni compiuti da due mesi e sette giorni. Deciso a diventare un bravo prete, come erano stati bravi quei preti che si erano presi cura della mia formazione, prima a Gubbio, poi ad Assisi, infine a Roma. A Roma eravamo in quindici a frequentare dal Seminario romano la I Teologia alla Lateranense. Quel 28 ottobre 1958, quella sera del 28 ottobre 1958 eravamo tutt’e quindici scoraggiati: dal Conclave era uscito Papa il card. Roncalli. Noi non lo sapevamo, ma fin dal primo scrutinio il suo nome e quello del card. Agagianian si erano alternati ai primi due posti (“Su e giù, giù e su, come i ceci nell’acqua bollente”, dirà un giorno Papa Giovanni). Ma quando il card. protodiacono Canali, governatore della Città del Vaticano, cecuziente e anche un po’ rimbambito (“E chi è tutta quella gente?!” soffiò sul microfono acceso, appena salito alla finestra dell’aula delle benedizioni per il grande annuncio), fece il nome di Roncalli, ci colse un moto di sconforto. Nel “totopapa” che portavamo avanti dalla sera del 25 ottobre nessuno di noi aveva mai fatto il suo nome. Un moto di scoramento. Non so chi pronunciò la frase: “Lo Spirito santo ha preso le ferie”, ma certo fummo in molti a pensarlo. Ma come si fa a prendere abbagli così clamorosi? Roncalli, tre giorni prima, nella meditazione che ci aveva tenuto nella cappella della Madonna della Fiducia, avrebbe voluto parlarci della scissione dell’atomo, se fosse riuscito a pronunciare la parola “atomo”: ma lui più volte aveva detto “attimo” invece di “atomo” . Immaginate i nostri risolini saputelli. E poi, da nunzio apostolico in Francia, aveva fatto ridere di cuore tutti i diplomatici che per tradizione lo riconoscevano come leader, quando, raccontando la sofferenza dei suoi genitori, nei primi tempi di matrimonio, per il fatto che di figli non se ne vedevano, disse: “Fecero un voto, e nacqui io”. Ma invece di “voto” (voeu) aveva detto “vitello” (veau). Ih ih ih! Ah ah ah! E poi era anche brutto, pesante, rugoso, con le orecchie da elefante. Papa lui?! Ma vogliamo scherzare? E invece. Invece.

AUTORE: Angelo M. Fanucci