I cinquestelle perdono voti e “diversità”. Ma anche Salvini adesso dovrà stare attento

di Daris Giancarlini

La realtà e la finzione: la settimana che stiamo vivendo, dal 24 febbraio al 4 marzo, sembra evidenziarsi – per la politica italiana tutta – come decisiva per tutti i suoi principali attori. La ‘Via crucis’ elettorale cominciata per i cinquestelle con la pesante sconfitta dell’Abruzzo è divenuta, nel voto in Sardegna per le regionali, una vera e propria catastrofe.

Hai voglia a dire – come ha fatto Di Maio – che prima del voto i cinquestelle in regione Sardegna non avevano consiglieri: il movimento un anno fa alle politiche aveva preso il 40 per cento. Ora è al 9. Tanto che il fondatore e capostipite, Beppe Grillo, dopo l’ennesima batosta, si chiede: “Ma sarà che non siamo capaci?”. Altri richiami alla realtà attendono i grillini, a partire dalle regionali in Basilicata, poi ci saranno Piemonte ed Emilia-Romagna.

Il Movimento, a livello di vertici (Casaleggio-Di Maio) reagisce varando una riorganizzazione interna (si parla di un Direttorio e strutture sul territorio), ipotizzando alleanze elettorali con altre liste, e la fine del limite del doppio mandato per l’elettorato attivo. Cioè, in parole semplici, la fine del Movimento 5 stelle così come l’abbiamo conosciuto sinora. E la sua graduale trasformazione in partito vero e proprio, almeno dal punto di vista della struttura.

Una perdita di quella ‘diversità’ rispetto al resto delle formazioni politiche che ne ha determinato la forte avanzata nei consensi alle politiche del 4 marzo 2018. Sotto il profilo programmatico e dei valori sbandierati soprattutto dagli iscritti cinquestelle (che in certi passaggi sembrano contare di più degli elettori), un colpo decisivo lo aveva inferto qualche settimana fa il voto online che aveva determinato il “no” grillino al giudizio per Salvini sul caso della nave Diciotti.

Con conseguenti, profonde spaccature interne ai pentastellati. Sul contrasto tra realtà e finzione ha puntato anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, il quale con inusitata schiettezza – lui, da ministro del dicastero chiave dell’esecutivo, aveva dovuto subire il deficit sopra il 2 per cento e un balcone di palazzo Chigi con ministri che proclamavano la fine della povertà – ha richiamato il Governo al rispetto dei patti firmati a livello internazionale, pena la perdita di credibilità e di sostanziosi finanziamenti.

Un richiamo, quello di Tria (subito bacchettato da Di Maio), che non vale soltanto per i grillini. Perché anche la Lega nelle elezioni sarde non è che abbia brillato, mentre il centrodestra, nella sua formula di unità, si è dimostrato vincente e in salute.

Tanto che il suo storico nume tutelare, Silvio Berlusconi, ha lanciato a Salvini un avvertimento chiaro: “Stai attento, Matteo, ora potrebbe toccare a te andare incontro a sconfitte”. Magari a causa di un’economia che, nonostante l’inossidabile ottimismo di facciata del premier Conte, non riuscirà a cavare fuori i piedi dalle sabbie mobili di una recessione che né “quota 100” né il Reddito di cittadinanza sembrano poter contrastare in modo efficace.

Insomma, anche Salvini dovrà fare i conti con quei “numerini” dell’economia che l’esecutivo gialloverde ha sempre considerato con un certo distacco, se non disprezzo.

Intanto il centrosinistra, nella sua formula più ampia e più orientata a sinistra, tra Abruzzo e Sardegna ha almeno dimostrato di esistere e di non essere stato spazzato via completamente dal vento grillo-leghista. Il Pd, che nel centrosinistra resta il partito a doppia cifra ma che vince sui territori se i suoi dirigenti nazionali non si fanno vedere, domenica 3 marzo vota con le primarie il nuovo segretario.

Vedremo il 4 marzo se da quella consultazione interna uscirà un partito meno ‘renziano’, mentre l’ex premier toscano continua a battere i capoluoghi italiani per presentare il suo ultimo libro. Che s’intitola Un’altra strada: è quella che prenderà Renzi rispetto al Pd?