Cittadini degni del Vangelo

58a Settimana liturgica

L’Umbria e la 58a Settimana liturgica nazionale sono un’occasione per riflettere ancora sui temi della prossimità tra le Chiese d’Italia e la generazione che cresce loro attorno. Celebrare nella città dell’uomo significa riaffermare l’intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana. Non vi è occasione in cui la comunità cristiana possa dimenticarsi della società in cui vive. La preghiera, per noi, è il più efficace modo per aiutare la gente che ci sta attorno. È l’avvio del nostro servizio al mondo e ne è anche il complemento soprannaturale. Dà efficacia alla carità quotidiana con cui i cristiani, nella famiglia e nella scuola, nel lavoro e nella vita politica, partecipano, con il loro contributo, al bene comune. Le giornate di Spoleto, a 42 anni dal grande documento del Vaticano II, vogliono essere un’occasione per ridire le ragioni della nostra speranza. Anche così daremo seguito a quanto le 226 Chiese diocesane d’Italia si promisero lo scorso anno a Verona. Di fronte alle difficoltà in cui si dibatte la nostra gente, al calo della partecipazione ad ogni ambito della vita associativa ‘ siamo tutti sicuri che è negativo il riflusso nel privato – e al disinteresse per ogni manifestazione condivisa, i fedeli di Cristo vogliono fare la propria parte, a partire dalla preghiera liturgica, che ci fa presenti dentro la vita della città. La Bibbia ci chiede di essere ‘cittadini degni del Vangelo’ (Fil 1,27), perché la celebrazione nella città dell’uomo continui, nel tempo, la logica dell’Incarnazione, inaugurata con l’Annunciazione e la nascita di Gesù a Betlemme. Anche nel difficile inizio di questo terzo millennio è chiesto ai cristiani di farsi vicini all’uomo del nostro tempo, come Cristo, per farsi prossimo ad ogni persona della terra, si è fatto uomo nel seno della Vergine Maria e così ci ha rivelato l’amore del Padre. Con la sua morte in croce ha recuperato la nostra salvezza. Lo Spirito del Risorto anima la Chiesa e ci chiede di non far mancare anche ai nostri contemporanei il dono di Dio, che umanizza e salva. ‘Liturgia’ è antica parola greca ‘di gergo’, per dire azione comune di popolo, del popolo di Dio. Ogni volta che la Chiesa avvia la preghiera comune, sono coinvolti non solo gli abituali frequentatori delle nostre istituzioni, ma anche quanti in ogni modo e a ogni titolo si riconoscono cristiani. La liturgia è come il banchetto di festa imbandito per tutti, come promette la Scittura: ‘un banchetto di cibi succulenti e di vini raffinati’ (Is 25,6), offerto a chi ha fame e sete di Dio. Abbiamo scelto come logo della 58a Settimana liturgica nazionale la chiesa cattedrale di Spoleto, per i messaggi che gli antichi nostri padri vollero fissare su pietra nella chiesa madre. La piazza del Duomo è allo stesso tempo il luogo dell”arringo’, cioè della riunione della città. Lo fu per secoli nel libero comune: SPQS – Senatus Populusque Spoletanus; lo è ancor oggi come punto d’incontro delle maggiori manifestazioni della nostra cultura. Per 50 anni l’indimenticato maestro Giancarlo Menotti vi concluse, con alta musica, il Festival. La compresenza nella stessa piazza delle due funzioni della vita associata ricorda a tutti che si è ad un tempo cittadini e fedeli di Cristo. La mirabile facciata del 1198 a tutti ricorda che la luce di Cristo entra nella Chiesa attraverso i quattro Evangeli. L’antico lapicida non dimentica di ammettere che la fede è una grande fatica per l’uomo, come testimoniano i due possenti talamoni del rosone centrale: quello di blu, a dire la fatica dell’uomo; quello di rosso a ricordare la fatica di Dio, che è la sua pazienza. Gli antichi maestri della nostra liturgia annotarono, sul registro inferiore della facciata del maggior tempio nostro, che il cammino della Chiesa nel tempo non avviene se non con immane sforzo: a trainare la Chiesa è il giogo da 16 buoi, che fu il maggior ‘motore’ conosciuto dai medievali. In alto, la formazione di aquile ci avverte che la Chiesa è capace di volare, e sotto le sue ali trova spazio ogni vivente, come recita il cantico di Deuteronomio 32. La chiesa di pietra è immagine della Chiesa viva che cammina nel tempo, esprimendosi in relazioni, cioè nella sua dimensione del comunicare. Così ancora suggerisce la combinazione dei tre numeri primi: i tre volte diciassette archi che scandiscono i tre registri del duomo. Guai a noi se mancano i ponti: quelli tra l’uomo e Dio, per farci cristiani; quelli dell’uomo con se stesso, per non essere alienati; quelli tra uomo e uomo, per essere comunità, sia nella Ecclesia, che in Foro. La Chiesa non è un’aggregazione qualunque, ma quella del ‘leone di Giuda’ (Apoc 5,5), che, presso la porta maggiore, attende da secoli ogni bambino perché lo cavalchi. Accanto vi sono i racemi di melograno, che raccontano la storia della salvezza dall’annunciazione di Maria alla crux foliata: l’Albero della vita è sempre pieno di foglie e di frutti insperati e numerosi, come quelli della ‘melagranata’ dell’Oriente armeno, da cui i nostri antichi attinsero i motivi della riflessione sulla pietra. Sette rosoni minori, come i sacramenti (quello dell’eucaristia è il più bello e fiorito), si alternano con le ogive cieche, testimoni del mistero da comprendere. Con la Spoleto umile e povera dei secoli, anche i nostri occhi si alzano al Cristo Pantocratore, che ha al suo fianco Maria, icona della Chiesa, e Giovanni evangelista, a rammentare la testimonianza delle Scritture. La liturgia, incantata sintesi di fede ed escatologia, da secoli si anima tra la musica dei plutei rinascimentali dei cantori, dove a cori alterni si cantò Palestrina e i colori squillanti del capolavoro di fra’ Filippo Lippi. I giochi di pietra delle tarsie marmoree del pavimento cosmatesco, sotto cui attendono la resurrezione i morti medievali della città, rammentano il paradisium, nostra destinazione finale. La poesia e la luce modulata del Pinturicchio raccontano ancor oggi il mistero della salvezza e ci passano il testimone di una speranza che non delude.

AUTORE: ' Riccardo Fontana