Con il “progetto uomo” per ritrovare la fiducia

Il Centro di solidarietà "Don Guerrino Rota" di Spoleto compie trent'anni. Un'attività di volontariato per aiutare i giovani tossicodipendenti ad uscire dal tunnel della droga

Il Ceis, come è nato e cosa è oggi. Ne abbiamo parlato con don Eugenio Bartoli, attuale presidente del Centro italiano di solidarietà Ceis e la vicepresidente, Francesca Martani. Don Eugenio, com’era il Centro all’inizio? “Sono al Ceis sin dall’inizio e ho vissuto insieme al fondatore questa realtà, don Guerrino che nella canonica di Maiano fondò questo centro. All’inizio era una casa d’accoglienza, ospitavamo stranieri, detenuti, ragazzi scappati di casa, alcolisti. Poi, a fine anni ’70, avvenne il passaggio al problema della tossicodipendenza, in quanto era più opportuno orientarsi ad una realtà specifica”. Signora Martani, ci può dire come è cambiato il Ceis dalla morte di don Rota? “Don Eugenio è stato il naturale successore di don Guerrino: era il primo tra i suoi operatori e anche vicepresidente. Comunque la crescita del Ceis è avvenuta nel tempo. Inizialmente si era allo stato ‘artigianale’ in quanto non esistevano delle normative specifiche per le strutture ed il personale. Ora, anche se abbiamo acquisito professionalità, il nostro rimane pur sempre un cammino fatto insieme tra operatori e ragazzi”. Per avviare l’attività terapeutica del Centro vi siete ispirati al modello di don Mario Picchi, perché? “Don Guerrino andava alla ricerca di una realtà specifica per i tossicodipendenti; così prese spunto per la metodologia da don Picchi, il quale si era ispirato ad un metodo americano, italianizzato come ‘Progetto uomo’. Fu una scelta di qualità. Il progetto era già sperimentato ma noi lo abbiamo dovuto incarnare nella nostra realtà. Il percorso è stato faticoso ma l’entusiasmo ne ha facilitato l’applicazione”. In che rapporti siete con il centro di Roma? “Siamo rimasti sempre in ottimi rapporti con don Mario Picchi, pur se la nostra appartenenza è alla Federazione italiana delle comunità terapeutiche ‘Progetto uomo’ (Fict). Siamo circa cinquanta centri, ognuno autonomo ma con la stessa filosofia e metodologia”. Spesso i genitori trovano difficoltà nell’ammettere quello che sta accadendo ai propri figli. Come vi comportate con loro? “Con i genitori facciamo un lavoro parallelo a quello dei figli: le famiglie hanno i loro gruppi di auto aiuto, sono gruppi di messa in discussione, condivisione, ascolto. Ultimamente le famiglie si sono costituite in Associazione di volontariato ‘Il Gabbiano'”. Chi sono i collaboratori del Centro? “Molti operatori, insieme ai professionisti, sono persone che hanno fatto a loro volta la comunità. Essi sono testimoni diretti, modelli per chi deve uscire dal problema. I giovani si trovano così davanti due esempi: chi ha svolto il programma terapeutico con ottimi risultati e chi non ha avuto nella vita alcun rapporto con le sostanze”.Quali sono le difficoltà che lei, don Eugenio, trova a livello di pastorale, essendo anche parroco di Maiano? “La difficoltà maggiore è quella di aiutare i ragazzi a ritrovare la fiducia prima di tutto in se stessi. Li aiutiamo a sviluppare i valori della vita: l’onestà, il senso di responsabilità, l’affettività, la famiglia, la spiritualità; valori umani e cristiani nello stesso tempo. Chi vuole può usufruire del servizio religioso nella parrocchia, per esempio catechesi, sacramenti…”.Cosa ha ricevuto da queste persone? “Questa esperienza negli anni ti arricchisce. È sempre forte la consapevolezza del dare e del ricevere, aiuta ad acquisire la capacità di ascolto, di comprensione, di perdono e, nello stesso tempo, si dà, attraverso l’applicazione dell’amore responsabile, l’avvio ad un processo educativo e di crescita della persona. Nel Centro ognuno ha un ruolo da svolgere e le cose vanno bene nella misura in cui ognuno fa bene il suo compito. Ciò che anima la nostra attività è lo spirito di servizio, di volontariato. Ci sforziamo tutti di dare il massimo perché la nostra finalità è il raggiungimento della meta da parte dei ragazzi e delle loro famiglie”. Cosa c’è nel futuro del Centro di solidarietà? “Non ci sono programmi specifici per il futuro. Puntiamo sulla continuità e il miglioramento dell’esistente. Nella quotidianità, possono nascere piccoli progetti alternativi in quanto, lavorando con gli esseri umani, niente è fisso e immutabile. Le periodiche riunioni degli operatori servono a monitorare il raggiungimento degli obiettivi”.Avete svolto incontri presso le scuole Superiori di Spoleto. Il progetto continua? “Stiamo portando a conclusione un progetto di ‘Peer education’, insieme con la Provincia, il Comune e la Asl: si tratta di una formazione fatta su alcuni studenti di classi delle Scuole superiori che, a loro volta, diventano formatori dei loro pari. Il progetto è stato sviluppato in tre scuole: Liceo scientifico, Istituto alberghiero e Istituto tecnico Commerciale e per Geometri. Dovunque veniamo chiamati, mettiamo a disposizione la nostra esperienza di ‘recupero’ che, a sua volta, diventa ‘prevenzione.”

AUTORE: Sara Fratepietro