di Daris Giancarlini
L’Umbria è “contendibile”, elettoralmente parlando, alle prossime politiche: lo attestano in maniera quasi concorde i sondaggi più recenti pubblicati sui giornali o in Rete. Il centrosinistra viene dato al 32 per cento, il centrodestra al 31, i cinquestelle al 27 e “Liberi e uguali” all’8 per cento. Il voto del 4 marzo si profila dunque come un passaggio decisivo e forse dirimente, con la possibilità che anche in una regione tradizionalmente appannaggio del centrosinistra si possano concretizzare scenari politici diversi dal passato. Anche perché al voto politico seguirà in primavera quello per alcuni Comuni importanti (come Umbertide e Spoleto), nel 2019 si voterà a Perugia, Terni e altri 50 Comuni e infine, nel 2020, ci saranno le regionali.
Un percorso, questo, che il Pd, ‘socio di maggioranza’ del centrosinistra umbro, sembra aver presente in tutte le sue sfaccettature, con la Dirigenza regionale orientata più alla preoccupazione che all’ottimismo. Specialmente per il ‘danno di consenso’ che potrebbe derivare, alle politiche, da un risultato consistente di Liberi e uguali (che in Umbria candidano diversi ex Pd).
In realtà, il risultato delle prossime politiche in Umbria preconizzato dai sondaggi non pare discostarsi di molto dal testa a testa che il centrosinistra della poi rieletta presidente Marini si trovò a dover sostenere alle regionali del 31 maggio 2015 con il centrodestra capeggiato dall’attuale consigliere di opposizione Claudio Ricci: percentuali diverse, in termini numerici, ma scarto più o meno simile a quello che si profila – sondaggi alla mano – per il voto umbro alle prossime politiche. Allora il problema, per il Pd e per tutto il centrosinistra dell’Umbria, non è tanto o soltanto come acquisire consensi da qui al 4 marzo, quanto piuttosto riflettere a fondo su quanto è stato fatto – o non fatto – dal maggio 2015 a oggi. Sia sul versante più strettamente politico (con le cronache a narrare di lotte interne,personalismi, veti e controveti), sia a livello di governo dell’Umbria.
Paradossalmente, lo stesso ragionamento potrebbe valere anche per il centrodestra regionale. Due anni e mezzo fa, in molti riconobbero all’allora candidato presidente di Regione un forte effetto personale di traino del consenso.
Oggi Claudio Ricci si è ritagliato un ruolo politico decisamente fuori dal centrodestra ma molto legato ai movimenti civici dal basso. C’è dunque da chiedersi se da allora i vertici umbri di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia abbiano riflettuto a sufficienza sull’importanza di individuare, per le prossime politiche, nomi di candidati che, specialmente negli scontri diretti dei collegi maggioritari, sappiano rappresentare un valore aggiunto per la coalizione.
Stando sempre ai sondaggi, i cinquestelle in Umbria potrebbero raddoppiare alle politiche i consensi ottenuti alle regionali 2015. Certo, il voto politico nazionale conserva, anche nei tempi attuali, una base motivazionale differente da quello amministrativo. Ma non è azzardato ipotizzare che un ruolo di opposizione interpretato pervicacemente e costantemente ‘all’attacco’ da parte del gruppo M5s in Consiglio regionale abbia portato a intercettare quei sentimenti di malcontento che, nell’Umbria della crisi economica irrisolta, cercano modalità diverse dal passato per esprimersi politicamente.