La esortazione apostolica Evangelii gaudium tratta un problema che fu già affrontato da Paolo VI, il quale puntò sulla catechesi; da Giovanni Paolo II, il quale richiamò l’attenzione su nuovo fervore degli evangelizzatori, nuovi metodi e nuovi linguaggi della evangelizzazione; quindi da Benedetto XVI, che illustrò le dinamiche della fede, della speranza e della carità; poi del Sinodo dei vescovi il quale ha sottolineato nuovamente l’urgenza dell’evangelizzazione e ha elogiato i missionari itineranti, comprese le famiglie. Ora è la volta di Papa Francesco, che è andato al cuore del problema. Ha parlato innanzitutto del luogo della evangelizzazione (n. 27), cioè la parrocchia, “che può assumere forme molto diverse, che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità”. E queste “forme molto diverse”, comparse soprattutto dopo i Concili, alludono a molteplici forme aggregative di piccoli gruppi: dalle antiche fraternite con la loro operatività caritativa, alle associazioni di vario genere, come la gloriosa Azione cattolica per il quale il Concilio propose un intero documento (Apostolicam actuositatem), fino agli attuali molteplici movimenti ecclesiali, non inventati da nessun Capo di Chiesa ma generati dallo stesso popolo di Dio. Attraverso queste e altre simili aggregazioni, dice Papa Francesco, la Chiesa locale “è capace di riformarsi e di adattarsi costantemente”, continuando a essere quella “fontanella del villaggio” così cara a Papa Giovanni.
Dire che queste realtà, le quali non sono state inventate da nessun vescovo e da nessun ufficio di pastorale ma sono nate autonomamente per la forza – ovviamente – dello Spirito, in mezzo al popolo di Dio, dividono la Chiesa, è una vera forzatura, anche perché l’unità della Chiesa locale la costituiscono sia il vescovo che il parroco, verificando e aggregando, e non escludendo. La ricca esortazione di Papa Bergoglio offre ai responsabili anche criteri operativi circa la nuova evangelizzazione. Entrando nel merito e nel metodo, egli parla di una catechesi kerigmatica e mistagogica (nn. 163-168), e insiste sulla necessità di un accompagnamento personale, da parte di vescovi e preti, dei processi di crescita (nn. 169-173). Non si tratta più, quindi, di iniziative occasionali o marginali, slegate tra loro, ma di una vera scuola di fede con verifiche puntuali, che esige pazienza, tempo, dedizione, amore. Le Conferenze episcopali del dopoguerra intuirono la necessità di questi percorsi, e li resero operativi con i nuovi Catechismi e l’adozione del “Rica” (Rito dell’iniziazione degli adulti), ma rimasero percorsi prevalentemente formali. Oggi la gravità del momento ci obbliga a rivedere il tutto. La spinta di Papa Francesco ci dice che non c’è più tempo da perdere, e ci incoraggia molto concretamente.