Family day e Omphalos in dialogo con la Chiesa umbra

Le lettere dei rappresentanti del Family day e di Omphalos in risposta alle polemiche suscitate dall'editoriale pubblicato su La Voce

Riportiamo di seguito le due lettere di cui sono stati riportati ampi stralci nell’articolo pubblicato su La Voce n. 25 dell’8 luglio 2022. Due diverse risposte all’editoriale a firma del direttore Daniele Morini pubblicato nel n. 24 del 1 luglio 2022.

La lettera di Stefano Bucaioni

Caro Direttore,

Le famiglie sono vivissime e, a dimostrarlo, sono le piazze. Prendendo spunto dall’apertura del suo editoriale, mi sono permesso di declinarla al plurale, provando ad offrire il contributo della nostra comunità all’interessante riflessione che ho letto sulle pagine de La Voce. Parlare di “famiglie” anziché di “famiglia”, infatti, non è un espediente retorico per piantare una bandierina progressista nella discussione pubblica, ma il tentativo che la nostra comunità porta avanti da anni per tirar fuori il tema dal piano dell’ideologia e riportarlo dove dovrebbe stare: nelle piazze, nelle strade, sul piano della vita concreta delle persone. Un tentativo che, evidentemente, sta a cuore ad entrambi.

Ho seguito da vicino, per il ruolo che ricopro, l’evolversi delle polemiche attorno a questa edizione dell’Umbria Pride. Ho visto, per l’ennesima volta, i soliti personaggi politici rivendicare la rappresentanza politica della Chiesa umbra e utilizzare “la famiglia” come una clava con cui provare a schiacciare noi persone LGBT+, i nostri diritti, le nostre famiglie e le nostre rivendicazioni. Ho assistito ai balletti, alle invettive e alle guerre di potere nel centro-destra umbro, che con le polemiche sul patrocinio alla manifestazione davano inizio alla guerra per un posto in lista alle prossime elezioni politiche.

Infine ieri ho letto il suo editoriale e sono rimasto colpito perché, tra le righe, ho scorto la sfida del dialogo e il coraggio di provare a sminare un terreno che per troppi decenni è stato un campo di battaglia sulla pelle di tante, troppe, persone. Ammirando quel coraggio ho deciso di accettare la sua sfida e di provare a offrire il contributo della mia comunità alla sua preziosa riflessione.

Le piazze dell’Umbria Pride di sabato e dell’Incontro delle famiglie di domenica portano certamente visioni e interpretazioni diverse rispetto a temi importanti come quello delle famiglie, della sessualità, dell’autodeterminazione. Ma sono visioni che, come ci dimostrano la maggior parte dei paesi europei, possono convivere, arricchendosi reciprocamente, in uno stato laico come l’Italia.

Uscendo dallo schema che ci impongono i nuovi “crociati” della destra, credo sia possibile immaginare una società in cui ogni persona possa contribuire al benessere collettivo con le proprie identità, con le proprie convinzioni e con la propria fede, senza rinunciare a se stessa e senza pretendere che gli altri rinuncino a loro stessi.

L’Umbria Pride, così come i tantissimi pride che si svolgono in Italia e nel resto del mondo, non ha mai avuto e mai avrà come bersaglio la “famiglia tradizionale”, tanto più che di “famiglie tradizionali” al Pride ce ne erano veramente tante, variamente composte e estremamente orgogliose. Piuttosto, il vero antagonista del Pride è chi utilizza la “famiglia” come un’ideologia dell’odio e dell’esclusione. Nessuna rivendicazione della comunità LGBTI+ contiene la censura o l’abrogazione dei diritti delle “famiglie tradizionali”.

L’obiettivo delle nostre rivendicazioni, al contrario, è ed è sempre stato l’estensione di tali diritti alle tante e nuove formazioni familiari, per dar loro dignità e dare finalmente l’opportunità a tutte e tutti di vivere pienamente, felicemente e in armonia la propria identità, il proprio orientamento sessuale e le proprie relazioni. Quegli attacchi che provengono dai Pride, e che spesso prendono come bersaglio proprio la Chiesa cattolica, non sono altro che il diretto risultato di chi, rivendicando la rappresentanza politica della Chiesa, brandendo rosari e immagini sacre, perpetra un sistema di oppressione del quale, non possiamo nascondercelo, in passato la Chiesa cattolica è stata direttamente responsabile.

La comunità LGBTI+ ha sofferto ed è stata per secoli emarginata anche per mano della Chiesa, e un movimento di liberazione come quello dei Pride non può che passare anche da una denuncia, talvolta aspra, dell’oppressore.
Allo stesso modo, però, è responsabilità di tutte e tutti provare ad uscire dalle paludi della contrapposizione cieca, cercando con fatica un dialogo fondato sul reciproco riconoscimento e sul comune desiderio di costruire, ciascuno a modo proprio, una società migliore per tutte e tutti.

Le rispettive differenze certamente rimangono e probabilmente le ferite del passato non si rimargineranno fintanto che la Chiesa cattolica non avrà il coraggio di chiedere perdono per il male che nei secoli ha compiuto, avallato o tollerato contro le persone omosessuali e transessuali. Per i roghi, per le condanne e per le “terapie riparative” che, purtroppo, ancora oggi vengono praticate in Italia e nel mondo. Il dialogo, tuttavia, potrebbe restituirci, oltre a ciò che ci divide, anche ciò che ci unisce. La cura del prossimo, l’accoglienza dei migranti, il sostegno di chi ha meno, il perdono di chi sbaglia, e anche la difesa delle famiglie, tutte, sottraendo finalmente questo tema dagli artigli della destra oltranzista e ipocrita per costruire una società migliore, più aperta, più inclusiva e, quindi, più felice.

Stefano Bucaioni
Presidente di Omphalos LGBTI

La lettera di Massimo Gandolfini

Egregio Direttore, ho avuto occasione di leggere sia il Suo editoriale, sia la lettera che Le ha inviato il Sig. Stefano Bucaioni, presidente di Omphalos. Premesso che non amo le polemiche, che ritengo inutili, dannose e foriere solo di confusione, mi corre l’obbligo di chiarire alcuni aspetti al fine di non lasciare ai Suoi lettori – se Lei vorrà essere così cortese da pubblicare questa mia – la sensazione che quanto è espresso in tali scritti sia espressione non di personali convincimenti, quanto piuttosto di una verità oggettiva e, come tale, indiscutibile.

Le categorie di “cattolici oltranzisti” e di “cattolici progressisti”- tanto spesso utilizzate – mi ricordano molto da vicino la prima Lettera ai Corinti: “Io sono di Paolo … io di Apollo … io di Cefa …”, che l’Apostolo stigmatizza e condanna senza appello, invocando il precetto dell’unità voluto da Cristo stesso. Il popolo dei credenti in Cristo, come Lei sa bene, ha riferimenti ben precisi e ineludibili per trovare questa unità: la Rivelazione, la Sacra Scrittura, la Tradizione ed il Magistero della Chiesa. Ogni questione, anche storico-sociopolitica, soprattutto se di valore morale, in ogni tempo, va affrontata e risolta alla luce di quell’insegnamento, che indica con chiarezza la via della verità.

Il compito del cristiano è stato, è e sarà sempre di vivere e testimoniare quella verità, nella vita privata come in quella pubblica. Senza dimenticare che “la nostra lotta non è contro le creature di sangue e di carne, ma contro lo spirito del male che domina in questo mondo di tenebra”. La linea di pensiero promossa dalle varie associazioni LGBTQ+ è inconciliabile con la dottrina cattolica, in cui noi fermamente crediamo e che abbiamo il dovere di annunciare sempre “opportune et importune”.

Non si tratta di condannare nessuno, in quanto siamo assolutamente convinti che il giudizio spetta sempre e solo a Dio nostro Padre, ma non possiamo neppure lasciar passare l’idea che tutto va bene, che tutto è relativo, perché l’unica cosa che conta è che le persone siano contente e felici permettendo loro di fare ciò che vogliono. Che cosa voleva Erode Antipa? Tenere per sé la moglie del fratello e vivere felice così. Un Giovanni Battista in chiave “cultura dell’inclusione” doveva starsene zitto, farsi i fatti suoi, vivere in casa sua i suoi valori ed il suo credo, ma senza denunciare pubblicamente il grave torto perpetrato dal re. Certamente così facendo si sarebbe salvato la vita, ma non era quella la sua missione … così come non lo è per noi, in forza di quel Battesimo che ci fa “sacerdoti, re e profeti”.

Stimato Direttore, essere profeti oggi significa avere tutti contro, significa rimetterci la testa non materialmente (almeno per ora!) ma socialmente e essere grottescamente associati a quella categoria che tanto va di moda dei “seminatori d’odio”. Oggi, essere pietra d’inciampo e “non conformarsi alla mentalità del mondo” – è sempre San Paolo ad esortarci – significa avere il coraggio di dire che la famiglia è una sola, mamma, papà, figli, nonni e nipoti, e ogni altra unione civile, pur riconosciuta dalla legge, non è famiglia. Significa dire a chiare lettere che aborto e eutanasia sono crimini contro la vita, inconciliabili con la rivelazione cristiana.

L’apertura al dialogo è certamente un grande e utile strumento di confronto all’interno del vivere civile, ma non può significare la rinuncia o il sottacere i valori in cui crediamo, che – non dimentichiamocelo mai – sono la via della vera felicità per ogni uomo. L’uomo non è felice perché fa ciò che vuole, perché vive il delirio del libero arbitrio (mascherato da autodeterminazione senza limiti, come si vuole oggi): speriamo che almeno noi –con tutti i nostri limiti e le nostre personali miserie – abbiamo chiaro che la felicità è fare la volontà di Dio, che ci viene indicata dalla Chiesa.

A questo proposito, il nostro Santo Padre Papa Francesco ha parole inequivocabili sui temi eticamente sensibili. L’aborto è un omicidio per mano di “sicari” in guanti bianchi, “è un’atrocità” (16 giugno 2018), l’eutanasia è un crimine che non trova giustificazione alcuna e offende la sacralità della vita (22 maggio 2022), “Il dono più grande che Dio ha fatto all’umanità è la famiglia … padre e madre sono immagine e somiglianza di Dio … la famiglia è icona di Dio .. Oggi, fa male dirlo, si parla di famiglie “diversificate”: diversi tipi di famiglia. Si, è vero che la parola “famiglia” è una parola analogica: “famiglia” delle stelle, “famiglia” degli alberi, degli animali … Ma la famiglia umana, immagine di Dio, è una sola. E’ una sola” (Vaticano, sabato 16 giugno 2018).

E in Amoris Laetitia, 251: “Circa il progetto di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. “L’accoglienza e il rispetto è per tutte le persone, ma la famiglia è una sola”. Queste non sono clave da utilizzare contro chi non la pensa come noi, ma sono luci da tenere accese perché tutti sappiano che esiste la via di verità della “vera felicità”, direbbe S. Agostino.

Molto probabilmente – considerato ciò che ha scritto – il Signor Stefano Bucaioni non è a conoscenza di queste e di molte altre dichiarazioni che nei secoli la Chiesa ha fatto su questi temi, ma sarebbe davvero ingiustificabile se coloro che si ritengono o definiscono cristiani le avessero dimenticate o – peggio – le contrastassero pubblicamente.

Egregio Direttore, La ringrazio per il tempo che mi ha dedicato, e mi permetto di formulare l’auspicio, per tutti noi, di continuare ad essere “il sale” della terra … “perché se il sale perdesse il sapore a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt. 5,13). Il Signore perdoni le nostre mancanze e i nostri errori (io, come il senatore che non viene mai nominato, ne abbiamo certamente tanti), ma ci aiuti ad essere sempre Suoi servi fedeli, ricordandoci che chi vuol piacere al mondo riceverà sicuramente elogi e approvazione dal mondo, ma non può piacere a Dio
Buon lavoro, Direttore.

Massimo Gandolfini
Associazione Family Day – Difendiamo i Nostri Figli
Neurochirurgo e Psichiatra