Giornata delle comunicazioni sociali. Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”, a Perugia

Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, ha passato una giornata a Perugia, e nel pomeriggio ha parlato con gli operatori della comunicazione impegnati nelle parrocchie e unità pastorali, con i collaboratori di La Voce e Umbria Radio, e con suor Daniela Tripodi Figlia di San Paolo, la congregazione che ha come missione propria e campo di azione pastorale e evangelizzatrice il grande e sempre nuovo mondo della comunicazione. Nel suo discorso Tarquinio oltre a sottolineare più volte il piacere di essere in Umbria, la sua terra di origine (è nato ad Assisi e in questa regione ha mosso i primi passi da giornalista, anche a La Voce), ha toccato diversi punti attuali della comunicazione e del modo di stare in questo mondo come cristiani. Proponiamo qui alcuni passaggi ripresi dal suo intervento.

Andare in tv è … “prova di esistenza in vita”

Il nostro è un tempo estremamente stimolante nel quale abbiamo la sensazione di avere a disposizione tutto per poter comunicare pienamente. Abbiamo i mezzi tradizionali, sia pure affievoliti nella loro importanza, siamo ancora potentemente dentro la civiltà dell’immagine che è legata soprattutto alla televisione, che ‘formatta’ ancora gran parte delle nostre opinioni, del nostro modo di sentire. Chiamo “prova di esistenza in vita” entrare in quel rettangolo, perché uno può fare tante cose belle e importanti nella vita, ma andare lì è la consacrazione di un successo. Magari fosse così, a volte ci si finisce per motivi completamente storti, sbagliati. Comunque al di là di questo è evidente che oggi abbiamo anche altri rettangoli che ci riguardano, quelli dei nostri smartphone, quelli dei computer, quelli dei tablet e sono parte della nostra vita. Questi strumenti ci danno informazioni con facilità e immediatezza, anche se spesso non sappiamo quanto attendibili poiché dipende dalle fonti dalle quali le prendiamo. On line tutto sta “in prima pagina” e non c’è una gerarchia delle notizie.

Nel giornale c’è “un giorno della vita del mondo”

Fare un giornale è prendere un giorno della vita del mondo e cercare di metterlo in mano di chi si fida di te, dicendogli: questo è il senso della giornata che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, queste sono le cose importanti. Ti sto dando una chiave di lettura oltre a una serie di informazioni che costruiscono quel quadro. E se tu ti fidi di me accetti anche di confrontarti con l’opinione che ti propongo su questa giornata, magari collimerà con quello che pensi tu o magari non collima perfettamente, però ti fa pensare, magari ti mette in crisi, ti fa arrabbiare, però tu ti fidi abbastanza da accettare di essere provocato da tutto questo. E questo è una ricchezza che nell’informazione sul web non c’è.

Più che piazza digitale trivio da umanizzare

Il messaggio che ti arriva sullo smartphone attraverso le chat e i social è fatto di un linguaggio molto forte, sincopato, spesso ridotto all’essenziale, frasi molto brevi. Si parla molto della piazza digitale. Io dico che invece siamo nel tempo del trivio, che è l’incrocio che non è diventato piazza, perché abbiamo un linguaggio “triviale”, perché pretendono tutti di avere la precedenza e quando arrivano a quest’incrocio tutti menano le mani. Guardate i dibattiti che usano sempre la stessa tonalità spesso eccessiva ed esacerbata.

È un tempo che va affrontato e capito per quello che è, e va umanizzato e ingentilito, facendo del trivio la piazza in cui la comunità si incontra. Se ci facciamo trascinare in non luoghi dove la regola è lo scontro, stiamo perdendo non solo la modalità della comunicazione e dell’informazione, ma stiamo perdendo tanto della nostra cultura e della nostra civiltà.

Siamo nel tempo dell’informazione selfie

Il giornale, e nel mio caso Avvenire, continua ad essere utile anche nel suo essere di carta. Pensate anche solo, e questo lo spiegano gli psicologi, all’incontro con le notizie. Se voi cercate e leggete notizie con uno strumento digitale, sapete cosa finite per incontrare? Quella che io chiamo un’informazione selfie, quella che ti somiglia, dove ci sei sempre tu in mezzo, quella che incrocia i tuoi interessi e ti congela in quelli. Nel giornale di carta tu inciampi anche nella notizia che non vorresti vedere.

La cura dei cuori, delle teste e dei pensieri

I nostri giornali e i nostri mezzi tutti, sono anche veicoli per trasmettere il senso delle iniziative, che la Chiesa fa nella sua azione pastorale. Quella Chiesa che il nostro Papa Francesco racconta come l’“ospedale da campo del nostro tempo”. Sembra che la cura delle anime come dei corpi, quindi dei cuori, delle teste e dei pensieri delle persone debba esser fatta solo quando è sicuro che sarà di successo e utile. Noi sappiamo che va fatta comunque, che è un qualcosa di gratuito che va consegnato, perché questo ci è stato detto e non possiamo fare altrimenti, tutt’al più dovremmo scuotere la polvere dai calzari se proprio non ci vogliono ascoltare, ma non possiamo smettere di camminare e tanto meno andare incontro.

I nostri strumenti sono la modalità con la quale ci presentiamo ai nostri contemporanei

Dobbiamo essere consapevoli che in questo tempo i nostri strumenti sono la modalità con la quale qualunque cosa facciamo, che facciamo un giornale, che facciamo azione pastorale, che la comunichiamo, noi ci presentiamo ai nostri contemporanei, questa è la modalità che noi abbiamo oggi. C’è l’incontro personale che resta una dimensione fondamentale, ma l’incontro che è legato ai media di ogni tempo, dalla tavoletta di cera dei romani, ai primi esempi di stampa, fino ad oggi. La Chiesa c’è sempre stata e i cristiani ci sono sempre stati, usando i mezzi di ogni tempo per comunicare con gli altri e usandoli con tutto l’entusiasmo e l’intelligenza possibile, qualche volta pensando di regimentarli e di controllarli per impedire che diventassero strumenti del male. Se è stato inventato l’Indice era per questo. Però oggi sappiamo che siamo davanti a qualcosa di difficilmente controllabile se non da parte di Regimi autoritari.

La nostra forza è quella di avere delle idee da dire che sono aderenti alla realtà

Anche nel tempo dell’informazione diffusa non tutti hanno le stesse possibilità, mettiamocelo bene in testa. Non tutti sono in grado di arrivare alle stesse notizie affidabili che danno l’esatta dimensione della realtà. Credo che ai media cattolici, in questo tempo, con lo sguardo che i cattolici sanno esercitare sulla realtà, spetti il compito fondamentale della comprensione della realtà che stiamo vivendo. Se non lo facciamo noi con l’entusiasmo e la verità dell’adesione ai fatti, di quella realtà che è più forte dell’idea, come ci dice Papa Francesco nell’ Evangeli Gaudium… Potrei farvi un esempio col fatto del giorno sull’immigrazione. So bene che è una realtà spigolosa e difficile, ma non ho paura di affrontarla sulle pagine del giornale, anche se c’è una retorica dell’invasione che ha trasformato un problema vero in un allarme gigantesco fino a distorcere i termini di realtà. Se non ci fossero stati i media cattolici a riequilibrare l’informazione alterata di questo tipo staremmo in una condizione ancor più allarmante. Noi facciamo quello che possiamo, Avvenire è il quarto quotidiano cartaceo italiano, non è che siamo così piccoli. La nostra forza è quella di avere delle idee da dire che sono aderenti alla realtà, per questo alla fine pesano.

 

AUTORE: Maria Rita Valli