Giuseppe maestro d’amore

Nella solennità di san Giuseppe, patrono principale della diocesi di Orvieto-Todi si sono intrecciati motivi religiosi, tradizionali e festeggiamenti civili

Venerdì 19 marzo si è svolta ad Orvieto la festa del patrono san Giuseppe, sposo della Vergine Maria e nobile capo della Sacra Famiglia. Nobile sì, nonostante il tradizionale aspetto dimesso di lavoratore, fabbro o falegname che fosse, mestieri allora non ben distinti in quel paese, per il lungo discendere nel suo sangue di una stirpe regale risalente a David, e per il fiorire tra le sue mani callose d’onesto operaio della tradizionale mazza che lo fece prescelto tra i tanti aspiranti ad impalmare quella magnifica sposa che fu sua moglie. Non ce ne abbia quindi l’amico pittore se ci dichiariamo non d’accordo con quella sua figurazione assai disinvolta, nel bel mezzo della copertina del foglio divulgativo zelantemente apprestato dal Comitato, in cui il Santo appare in atteggiamento di spaesato pellegrino con tanto di bordone in mano, in cerca di attrattive cittadine, la Venere di Cannicella compresa. Concediamo pure all’artista le attenuanti dell’arte, ma san Giuseppe non c’insegna tanto a guardare, quanto a vivere. Per ritornare alla festa, due programmi ne hanno evidenziato i momenti: quelli sacri, ben sistemati nella cornice della Quaresima eucaristica, e quelli profani, nel giro esterno dell’antica chiesa cittadina; sapientemente contenuti i primi e maggiormente profusi gli altri, con attrazioni varie, non escluse quelle della gola legate alla tradizione e alla produzione locale. Il vescovo, mons. Scanavino, con parche e sapienti parole ne ha redatto un invito che ne delineava già lo spirito: “Al Patrono della nostra città, san Giuseppe, chiediamo quest’anno di benedire il nostro cammino ecclesiale, insegnandoci, da vero maestro qual è stato, la gratuità dell’amore che ci salva”. Un pensiero che Egli ha avuto modo di sviluppare nella “Conversazione” di giovedì 18, vera e propria novità di questa ricorrenza, e più ampiamente alla messa solenne del 19, in Duomo. Il Vescovo ha affermato che la festa di san Giuseppe è una di quelle a carattere familiare, in cui si è soliti trattare i problemi di casa. Egli, nonostante l’alto grado della sua particolare chiamata, non ne fu affatto immune e dovette affrontarli non senza dramma. Ma come? Nel silenzio e nella preghiera; perché quando si tratta di accogliere e far proprio il progetto di Dio, quale fu il suo e qual è il matrimonio di tutti, non v’è altro modo e disposizione. Un avvenimento che oggi, purtroppo, è vissuto per lo più in assenza di spirito e di sostegno divino e quindi destinato a venir meno. Questo è il problema di cui chiediamo al nostro Patrono la giusta soluzione; ci sia in questo da maestro: se non si risana l’amore, non si salva la vita della famiglia. Parole sante, che non sono cadute nel vuoto, perché il Duomo era pieno e l’ascolto ideale: un’assemblea orante e raccolta. Poi i canti, la musica, la banda e la processione, che si è mossa come una fiumana sul far della sera, per la strada angusta ed imbandierata e la piccola statua ondeggiante sulle spalle dei falegnami, come un trofeo di devozione e di gloria. Il resto è servito, anche se tra l’olio delle classiche frittelle e l’allettamento del cioccolato, a rinforzare, a cementare, a creare intesa; ed anche a far rumore e ciò senza offesa per la rispettabile “Cinc South Band” della Regione Sud della Nato, vera novità di questa edizione.

AUTORE: Marcello Pettinelli