Gubbio è pronta a vivere l’ennesima edizione della “Festa dei Ceri”, che il 15 maggio di ogni anno si propone con il fascino e la freschezza di sempre per rinnovare un atto di omaggio e devozione al proprio Patrono, sant’Ubaldo. Da qualche tempo a questa parte, come emerso nell’incontro promosso dall’assessorato alla Cultura del Comune di Gubbio sul tema “La Festa dei Ceri, le forme del rito”, si tende a mettere in discussione proprio questo rapporto, con un tentativo subdolo, pur con tutto il rispetto che la ricerca storico – culturale merita, di ‘paganizzarla’, di tagliare le sue radici più autentiche. Poco importa che fossero riconosciute dalla “bolla di canonizzazione” di Celestino III (5 marzo 1192) e richiamate dallo Statuto comunale del 1338, in epoche cioè che ne avevano “visto” il graduale affermarsi. Con questo retroterra si giustifica il forte richiamo operato da don Giuliano Salciarini, cappellano dell’Università dei Muratori Scalpellini, nell’omelia pronunciata durante la messa celebrata nella basilica di Sant’Ubaldo prima del “ritorno” dei “Ceri” in città.
Il sacerdote ha condannato il tentativo di “scalzare dalle fondamenta il rapporto che esiste tra i Ceri e Sant’Ubaldo. E molti di noi ci credono, perché vengono chiamati in causa professori universitari che avendo visto i Ceri qualche volta in questi ultimi anni, vengono ad insegnare a noi eugubini che cosa sono i Ceri e da dove provengono. Ecco i mercenari (con riferimenti alle letture del giorno, ispirate a Gesù Buon Pastore n.d.c.) che non conoscono le loro pecore (forse nemmeno la ‘festa’ se definiscono i ‘ceraioli’ ‘corridori’ ed assegnano la vittoria a chi dei tre chiude la porta! n.d.c.). Fanno sfoggio della loro cultura dimenticando completamente la storia”.
Robusta anche la presa di posizione di Lucio Lupini, presidente dell’associazione Maggio eugubino, anche a nome dell’Università dei Muratori e delle famiglie. Si è affidato a quanto scritto da mons. Origene Rogari nel 1977: “se un giorno fortunato, un qualunque archivio ci fornisse un piccolo documento, anche di due righe sbiadite, che alludessero ad una festa silvana celebrata nel territorio eugubino anche una sola volta nel plurisecolare e muto periodo, come eugubino e come sacerdote io ne piangerei di commozione e di orgoglio, perché vedrei nei Ceri della mia città la continuità della storia fin dai suoi primordi e, i Ceri stessi, immersi nel fascino misterioso dell’antichità più remota; e potrei inoltre vedere in essi un simbolo del superamento del paganesimo antico alla nuova luce del Vangelo”. Polemiche destinate ad essere superate dalla vitalità di una ‘Festa’ che merita sempre di essere vissuta, ammirata, partecipata.