I fichi poltroni

Chiude per qualche settimana questo nostro settimanale. La provvidenziale interruzione permette ai nostri impagabili (e a volte impagati) collaboratori di sbocconcellarsi qualche giorno di ferie, e a tutti noi offre l’opportunità di una pausa di riflessione. Ne abbiamo bisogno.

“Timidi segnali di ripresa”: sì, Matteo (che potrebbe tranquillamente essere il dodicesimo dei figli che avrei messo al mondo se mi fossi sposato) al governo del nostro Paese ha fatto quanto nessuno aveva mai fatto, e i sindacati con i loro numerosi e insulsi “sì, ma” hanno – ahimè! – collezionato una serie di figuracce indegne del loro fondamentale ruolo sociale.

Ma… da quanto tempo ormai si parla di “timidi segnali di ripresa”? E intanto l’84% dei giovani cervelli del Sud Italia dichiara di volersene andare, e si parla di un’imminente replica di quella migrazione biblica che nei primi del ’900 si verificò dal Sud Italia verso l’oltreoceano; stavolta però ad andarsene non sarebbero i braccianti sfruttati, ma i loro pronipoti con la laurea in tasca.

Qualche giorno fa ho avuto modo di percorrere a bordo della mia preziosa Pandina a metano certi luoghi della mia prima infanzia che non avevo più attraversato da quasi settant’anni! Belvedere di Scheggia, Rancana, Rubbiano.

Nel 1944 avevo sei anni quando la Wehrmacht che risaliva verso il nord lungo la Flaminia consigliò alla mia famiglia di “sfollare” momentaneamente, da Scheggia a Rancana, una frazione fuori mano, nella parte ovest del nostro Comune, che la Flaminia l’ignorava. Ma mentre noi eravamo da poco a Rancana, ospiti di Tommaso Lupini, l’uccisione di uno di noi da parte di militi tedeschi che scorrazzavano fuori mano in cerca di vettovaglie, e il ferimento del tedesco che l’aveva ucciso, consigliò di trasferire i più deboli tra noi (le ragazze, noi bambini: Luciano Braccini e io) a Campitello, altra frazione di Scheggia: fuori mano anch’essa, ma a est della Flaminia. Per raggiungere Campitello dovemmo attraversare Scheggia.

Come l’avevano ridotto, il nostro ridente paesino! La Wehrmacht non solo aveva razziato tutto quanto poteva servirle, ma era andata molto oltre, con un’evidente, paurosa voglia di profanazione delle case di noi italiani, che l’8 settembre dell’anno prima eravamo passati da loro “fedeli” alleati a loro vergognosissimi nemici.

Tra i ricordi più dolorosi della mia vita c’è l’immagine confusa di quel giorno: vetrine in frantumi, porte sfondate, oggetti di ogni genere buttati in strada, escrementi dappertutto. Infilzata con uno spiedo sullo stipite della porta di casa nostra, la carcassa del gatto con il quale noi bambini avevamo tanto giocato.

Erano quelle le condizioni di un po’ tutta l’Italia centro-settentrionale. Se ci siamo ripresi da quella enorme distanza, perché non dovremmo riprenderci dall’odierna distanza, di gran lunga inferiore?

Batte forte il sole. E sollecita i fichi poltroni a venire finalmente alla luce.

 

AUTORE: Angelo Maria Fanucci