I temi della nuova enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”

paesaggio-creato-cmykLaudato si’, mi’ Signore, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia”. Si apre con queste parole l’enciclica di Papa Francesco dedicata all’ecologia, appena uscita (Clicca qui per il testo integrale).

“Questa sorella – prosegue Bergoglio – protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi”.

Il rimedio che il Papa offre a questa “malattia” viene anticipato fin dall’inizio: “Non voglio procedere in questa enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità” (n. 10).

In questa luce, rivolge “un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale” (n. 14).

Francesco elenca quindi i problemi ecologici più urgenti: inquinamento e cambiamenti climatici, la questione dell’acqua, la perdita di “biodiversità”, ma anche il deterioramento della qualità della vita umana e la degradazione sociale, la “inequità” planetaria. A fronte di tutto questo, “degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull’ambiente” (n. 54).

Il secondo capitolo, Il Vangelo della creazione, si apre con una precisazione piuttosto insolita per un Papa: “Perché inserire in questo documento, rivolto a tutti le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede?” (n. 62). “Sono consapevole – prosegue – che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante (…). Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe”.

L’enciclica approfondisce quindi “la radice umana della crisi ecologica”. “La tecnoscienza, ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano (…). È anche capace di produrre il Bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo materiale, il ‘salto’ nell’ambito della bellezza” (n. 103). “Tuttavia non possiamo ignorare che l’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso Dna e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere” (n. 104).

Ma “il problema fondamentale è un altro, ancora più profondo: il modo in cui di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme a un paradigma omogeneo e unidimensionale” (n. 106). Si tratta del “metodo scientifico con la sua sperimentazione, che è già esplicitamente una tecnica di possesso, dominio e trasformazione”. In sostanza, “nella Modernità si è verificato un notevole eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggi continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali. Per questo è giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo” (n. 116). E perfino “una presentazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo”.

Si rende perciò necessaria – riprendendo un concetto caro a Benedetto XVI – una “ecologia integrale (…) che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali (…). Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato” (inizio del cap. 4).

È un rimando al concetto di bene comune, che “presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili, ordinati al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà. Tra questi, risalta specialmente la famiglia, come cellula primaria della società” (n. 157).

Che fare, in concreto? “Non si può pensare a ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione (…). Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e locale c’è sempre molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio energetico” (n. 180). E ancora: “È indispensabile la continuità, giacché non si possono modificare le politiche relative ai cambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente ogni volta che cambia un Governo” (n. 181).

“Questo non significa opporsi a qualsiasi innovazione tecnologica che consenta di migliorare la qualità della vita di una popolazione. Ma, in ogni caso, deve rimanere fermo che la redditività non può essere l’unico criterio da tenere presente” (n. 187).

Il cristianesimo, non solo il Poverello di Assisi, qui ha molto da offrire: “La grande ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie, costituisce un magnifico contributo da offrire allo sforzo di rinnovare l’umanità” (n. 216). “La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo (…). Si tratta della convinzione che ‘meno è di più’” (n. 222).

AUTORE: Dario Rivarossa