I tremendi effetti del coronavirus sul panorama geopolitico mondiale

Mappamondo con in primo piano la Cina. Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo – ormai è assodato – informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio.

La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi e vittime in rapido aumento, continua a ripetere che “la situazione è sotto controllo”. Ma il virus è entrato anche al Cremlino, infettando il portavoce di Putin. Così come non ha risparmiato alla Casa Bianca alcuni collaboratori del Presidente americano e lo stesso primo ministro inglese al numero 10 di Downing Street. Per non parlare del Brasile, dove si scavano ampie fosse comuni all’aperto per seppellire le vittime. Mentre il presidente Bolsonaro continua a minimizzare gli effetti della pandemia.

“Il segreto appartiene al potere”, annotava Elias Canetti. Ma nel caso del contagio mondiale da Covid-19, è sempre più evidente che il virus sta mettendo in difficoltà quei sistemi di potere dove la ricerca del consenso si basa su un’immagine irrealistica di totale controllo degli avvenimenti e di reazione agli eventi. E su una narrazione di infallibilità e potenza dei singoli leader che i fatti, e i numeri, smentiscono in un batter d’occhio. Così il potere reagisce aumentando la quantità di fake news e di informazioni artefatte. Russia e Cina in questa classifica sono ai primi posti.

Nuovi equilibri internazionali

Osservano gli analisti dell’Aspen Institute che l’immagine del gigante cinese “esce almeno in parte deteriorata” da quanto successo con l’origine e la propagazione del virus. Tra l’altro – è sempre Aspen a farlo presente – “per un Paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di forme di arretratezza come la commistione tra essere umani e animali è una contraddizione notevole”.

La reazione mediatica della Cina alla sua caduta d’immagine è stata veemente; ogni invio di aiuti ai Paesi occidentali colpiti dal virus è stato accompagnato da un contorno cospicuo e penetrante di messaggi atti a magnificare la capacità di risposta di quel Paese alla pandemia e, nel contempo, a evidenziare le lentezze delle democrazie occidentali. Non è stata da meno la Russia. Ogni suo invio di aiuti ai Paesi europei è stato corredato da una quantità ingente di messaggi autocelebrativi. Nell’ambito di quella che è stata definita “diplomazia aggressiva della generosità”.

Emerge da questo scenario il valore geopolitico che lo scoppiare del contagio e la sua evoluzione potrebbero giocare nel determinare nuovi equilibri internazionali.

In questa ottica, è facile valutare l’aggressività diplomatica della Cina e della Russia come strategia per ‘riempire’, a livello planetario, quei vuoti che l’America di Trump (ma già prima quella di Obama) hanno lasciato in alcune zone del mondo, a partire dall’Europa. Quell’Europa in cui la presenza economica e finanziaria cinese è già consistente. Per alcuni Paesi, assolutamente vitale per tenere a galla i singoli sistemi produttivi. Questo, non soltanto per gli scambi commerciali. Ma anche e soprattutto perché la maggior parte di quegli stessi sistemi produttivi occidentali prevedono il partner cinese come fondamentale per certe forniture e produzioni (basti pensare che, con il lockdown di Wuhan, epicentro del contagio, l’Europa ha rischiato di rimanere senza paracetamolo, prodotto per larga parte nelle fabbriche di quella regione cinese).

Disinformazione per destabilizzare le democrazie

“Con propaganda e disinformazione sul Covid, Russia e Cina sono impegnate in atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali”, ha detto il segretario della Nato, Jan Stoltenberg, rilanciando la richiesta, avviata dall’Unione europea, di un’inchiesta internazionale indipendente “che faccia chiarezza su quanto accaduto”.

Inchiesta che Pechino continua a osteggiare, tenendo chiusi i laboratori di Wuhan e arrivando a minacciare il blocco delle esportazioni di forniture mediche. Un clima, insomma, che rende difficile prendere in seria considerazione gli studi scientifici che arrivano dalla Cina su origine e diffusione del Covid. Questo avviene proprio nel momento in cui, sul fronte scientifico, ci sarebbe bisogno della massima cooperazione tra gli istituti di ricerca coinvolti nella ricerca di un vaccino.

A esasperare il clima di contrapposizione contribuisce la campagna elettorale in atto (fino al voto di novembre) negli Stati Uniti di quel Donald Trump che fin dall’inizio ha bollato il contagio come ‘virus cinese’ e che continua a esasperare i toni nei confronti di quel Paese, anche allo scopo di distogliere il suo elettorato dalle responsabilità che lui stesso ha avuto nel gestire in modo riduttivo, altalenante e confuso la reazione alla pandemia.

Tenendo conto che, a causa del coronavirus, i disoccupati americani sono già oltre 36 milioni, si può facilmente prevedere che il Presidente in carica, per farsi rieleggere, non allenterà la presa nel rimarcare le origini cinesi del contagio. Fino a novembre. Poi si vedrà come sarà cambiato il mondo.

Daris Giancarlini