Sette giorni di sciopero della fame per chiedere al Governo un intervento immediato sulle politiche per la non-autosufficienza. È quello intrapreso da oltre 70 persone con disabilità gravi e gravissime che, da domenica 21 ottobre alla sera di sabato 27, hanno progressivamente ridotto l’assunzione di alimenti come segno di protesta contro la disattenzione politica sul tema della disabilità. Promotore dell’iniziativa è stato il Comitato 16 Novembre onlus, una rete informale di persone, malati di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica), familiari e amici. Lo sciopero è stato ora sospeso a seguito dell’impegno preso dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, a consultare il presidente Mario Monti per stabilire un importo “consistente” da destinare alla non-autosufficienza. Tra le persone che hanno partecipato alla protesta, abbiamo intervistato Alberto Damilano, medico di origini fossanesi, affetto da Sla dal 2009.
Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta, insieme a molte altre persone, ad intraprendere lo sciopero della fame?
“A novembre 2010, stanchi dell’inconcludenza delle grandi associazioni che dovrebbero tutelare gli ammalati di Sla, organizzammo a Roma un presidio con decine di malati, tra cui il sottoscritto. Unico strumento un forum di malati in rete, su internet. Io, allora, ero in carrozzina, mi alimentavo normalmente ed ero prossimo a perder la voce. Strappammo i famosi 100 milioni di euro per l’assistenza domiciliare ai malati di Sla, che si sono poi tradotti in assegni di cura per l’assunzione di assistenti familiari, con l’intento di sgravare le famiglie. Successivamente riflettemmo sul fatto che nelle stesse condizioni di un malato di Sla in fase avanzata ci sono tutti i disabili gravissimi e i non-autosufficienti totali, del tutto scoperti di assistenza da quando il governo Berlusconi azzerò, due anni fa, il Fondo per le non-autosufficienze. Un diritto, se non è di tutti, si trasforma in privilegio per pochi. Il varo di un Piano per le non-autosufficienze divenne allora il nostro obiettivo. Dopo tre presìdi, stanchi di promesse e rinvii, non ci è rimasto altro che lo sciopero della fame”.
Di quale assistenza necessitano le persone gravemente malate o non autosufficienti?
“Esemplifico facendo riferimento alla Sla: la malattia è terribile quando è rapida come nel mio caso. Si può decidere di farla finita perché si pensa che quella non è più vita o perché si è soli. Non c’è neppure bisogno di suicidarsi, basta rifiutare l’intervento di tracheostomia quando il respiro viene meno. Oggi, 8 malati su 10 si lasciano morire così. A tutti va data una possibilità, nessuno dovrebbe esser lasciato solo”.
Le famiglie sono sostenute o devono affrontare da sole il percorso di cura e assistenza?
“Le famiglie in cui entra la Sla vivono peggio dei terremotati. Chi assiste un malato di Sla è costretto a lasciare il lavoro, vende la casa. Da soli, senza adeguata assistenza, si muore in silenzio. Noi abbiamo portato alla luce queste tragedie quotidiane, con le nostre lotte mute gridiamo il diritto a vivere”.
Cosa si aspetta dall’incontro con i ministri?
“Che siano coerenti con se stessi. Nel corso del primo presidio di quest’anno, in aprile, il ministro Fornero (non solo del Lavoro ma anche delle Politiche sociali) dichiarò che considerava quella delle gravissime disabilità una priorità e chiedeva trenta giorni di tempo per presentare un Piano nazionale per le non-autosufficienze. Venerdì scorso il ministro della sanità Balduzzi ha ammesso pubblicamente che un Sistema sanitario avanzato non ha senso in assenza di un organico piano per le non-autosufficienze. I costi per la sanità crescono in modo esponenziale, in termini di ricoveri impropri, senza una rete di cure domiciliari. Ci aspettiamo una copertura finanziaria importante e un decreto che vincoli le risorse, in modo che le Regioni non le stornino verso altri capitoli di spesa”.