Come annunciato nel numero 38 de La Voce, il 30 ottobre sarà presentato il nuovo Piano sociale della Regione Umbria, definito dall’assessore regionale alla Coesione sociale come “sempre più rispondente ai bisogni delle famiglie, degli anziani, dei giovani e delle persone con disabilità”.
Per valutare la fondatezza di questa affermazione di rispondenza, nel Piano devono essere verificate alcune condizioni, che proverò a ricordare. Da un Piano sociale ci si attende che esso fornisca indicazioni riguardanti le politiche che la Regione intende attuare per assicurare protezione sociale adeguata alle fasce più deboli della popolazione, in un’ottica di prevenzione, ma anche di promozione della loro autonomia e possibilità di sviluppo umano integrale, e garantendo equità di intervento nelle varie zone sociali del territorio regionale. Sono appunto questi gli orizzonti del cosiddetto “welfare sociale”.
Tali indicazioni devono consentire a chi legge il Piano di valutare l’opportunità e la presumibile efficacia delle suddette politiche, e la loro importanza relativa, ovvero le priorità attribuite agli obiettivi da esse perseguiti (relativi a bambini, giovani, anziani non autosufficienti, disabili, famiglie in difficoltà…). A tal fine è necessario disporre, nel Piano, di una rappresentazione aggiornata dell’entità, negli ultimi anni, nel territorio regionale, delle categorie sociali sopra ricordate e oggetto di intervento, e della rete dei servizi nel sistema regionale di welfare (servizi domiciliari, residenziali e semiresidenziali, servizi alla prima infanzia…). E sarebbero opportuni anche dati corrispondenti di altre Regioni (ad es. del Centro Italia) per effettuare comparazioni, e valutare la posizione relativa dell’Umbria.
Ma occorre anche prospettare le principali categorie di interventi di politica sociale compiuti in Umbria negli ultimi anni e le strutture impiegate, indicando volumi e valori. E sarebbe fondamentale disporre, il più diffusamente possibile, di qualche stima dell’efficacia degli interventi suddetti.
Tutto ciò presuppone una rappresentazione aggiornata e disaggregata degli impegni finanziari sostenuti per i vari target, integrando i vari livelli di governo (Regione e Comuni).
Insomma, il Piano sociale si può vedere anche come occasione di trasparenza dell’azione amministrativa, e strumento per una valutazione razionale delle politiche sociali effettuate dagli enti locali. Sull’impianto della base conoscitiva indicata si può collocare il cuore del Piano, e cioè un quadro altrettanto organico e articolato degli impegni che la Regione intende sostenere per il futuro, e sul quale i cittadini e gli operatori possono esercitare una loro valutazione razionale, dando vera sostanza agli incontri di partecipazione.
Purtroppo, di tutti gli elementi ricordati poco ho trovato in una bozza di questo Piano che ho avuto occasione di esaminare. Si considerino in particolare le aree tematiche: vi ho letto analisi generali appropriate dei fenomeni presi volta a volta in esame ed elenchi spesso assai lunghi di direttrici di intervento proposte dalla Regione. Ma non ho avuto modo, perlopiù, di comprendere quali siano le effettive priorità a esse attribuite, e l’impegno con cui ci si prefigge di conseguirle. Neppure si ha notizia della portata degli interventi compiuti nel recente passato, e della loro efficacia.
In mancanza di appropriate integrazioni, del tipo indicato, tale bozza di Piano non consente – a mio avviso – una valutazione sufficientemente consapevole delle intenzioni della Regione in tema di welfare sociale.