Indifferente ai trionfi, formidabile nei gesti elementari

Uno degli atteggiamenti che maggiormente ci colpirono in Giovanni XXIII fu l’assoluta equanimità che egli conservava nei contesti più diversi: totale indifferenza ai trionfi, ad esempio ai successi da nunzio apostolico in Francia, formidabile carica di umanità nei gesti più elementari.

A Parigi la pacata saggezza di Roncalli aveva tenuto fuori la Chiesa dalla “questione Algeria” e aveva placato l’ira funesta di De Gaulle, deciso ad ottenere dalla Santa Sede la rimozione dall’incarico di quei vescovi (e per lui erano quasi tutti!) che avevano affiancato il maresciallo Pétain nelle sua scelte collaborazioniste. Quello di Roncalli fu un vero capolavoro, e lui sembrò non accorgersene. Pio XII lo nominò Patriarca di Venezia come premio, e lui accettò come avrebbe accettato la carica di parroco di Sotto il Monte: ci andò presentandosi come un vecchio contadino che aveva girato il mondo ad occhi aperti e pensava di avere qualcosa da raccontare.

Ma era soprattutto nei gesti più elementari che sprigionava al massimo la sua carica formidabile: stravolgeva l’etichetta, diceva cose che, per coloro che lo circondavano, “non erano da Papa”, così che la Sala stampa si sentiva obbligata a tirare fuori le forbici e… sforbiciare.

Come quando, nell’imminenza del Natale del 1958, in visita all’ospedale del Bambin Gesù, un bambino gli domandò se era lui Babbo Natale, e Papa Giovanni ripose di sì. Nella relazione ufficiale del fatto quest’ultimo particolare non c’era: non congruo con la Dignità di Sua Santità!

Come quando, il 26 dicembre di quello stesso anno, il suo discorso ai reclusi di Regina Coeli lo iniziò ricordando che anche in casa Roncalli c’era stato un caso di carcerazione (un suo cugino si era presentato alla leva in lieve ritardo, e aveva dovuto passare un notte in caserma). Nella relazione ufficiale questo “incipit” non c’era: non congruo con la Dignità di Sua Santità!

Come quando, il primo anno che si celebrava l’austera liturgia del Venerdì santo senza quell’invocazione pro perfidis iudaeis che aveva rinfocolato per secoli l’avversione dei fedeli contro gli ebrei e che egli aveva ordinato di espungere dal messale, il celebrante del rito al quale lui assisteva in San Pietro non ne tenne conto, e invitò a pregare pro perfidis iudaeis. Giovanni chiamò il cerimoniere e gli disse: “Daccapo”, e la Grande preghiera d’intercessione venne ripresa dall’inizio. Ma nessuno ne seppe mai niente.

“La tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà”: così una delle bellissime Preghiere di consacrazione che il Concilio ci ha lasciato. Ce lo ricordò, allora, un vecchio pesante, rugoso, con la lingua troppo grande per le dimensioni della sua cavità orale, che la libertà senza la verità è un fuochino d’artificio che si spegne subito, e senza la libertà la verità è un reperto archeologico.

AUTORE: Angelo M. Fanucci