La Chiesa di Bergoglio fa politica? Risposta a Galli Della Loggia

La Chiesa di Bergoglio è poco politica, il discorso pubblico dell’attuale Papa tende a “perdere ogni specificità di tipo religioso” e confessionale, per assumere caratteristiche più ideologiche, con il “sostanziale abbandono” della dottrina sociale della Chiesa. È la tesi sostenuta dal prof. Ernesto Galli Della Loggia, valente storico e fine intellettuale, in un corposo articolo pubblicato domenica 10 maggio dal Corriere della Sera.

La tesi di Galli della Loggia

Secondo lo studioso, dal discorso di Francesco “sembrano svanire il messaggio evangelico e il relativo richiamo al depositum fidei della Chiesa cattolica”. In questo modo, “resta solo un discorso ideologico, di una ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico”. Dunque – è la conclusione tratta da Galli Della Loggia – ad uscirne indebolita è la “forza politica” della Chiesa, che “dipende da quella innervatura religiosa, dall’intreccio tra religione e prassi mondana”.

A riprova della propria tesi, lo storico propone due ambiti in cui la Chiesa di Bergoglio non si starebbe pronunciando: il primo riguarda la frattura, evidenziatasi anche in questi tempi di pandemia, tra i Paesi europei del Nord (protestanti per la gran parte) e quelli del Sud (quasi totalmente cattolici). Il secondo tema di cui la Chiesa non parlerebbe è la posizione da tenere rispetto ai nuovi equilibri internazionali, minacciati dall’aggressività di Russia e Cina.

Superato lo stupore iniziale indotto dal leggere che ora la Chiesa, dopo decenni in cui è avvenuto l’esatto contrario, viene ‘accusata’ di fare poca politica, è utile ragionare non tanto sulla validità delle tesi in questione, quanto per approfondire argomenti che dovrebbero stare a cuore a quella parte di società che ancora ritiene la fede cristiana uno degli ancoraggi più significativi per impegnarsi nella vita sociale e politica.

In questi ultimi mesi, quelli dominati dal contagio e dalle sue conseguenze economiche, gli unici discorsi pubblici che abbiano mostrato un innegabile spessore politico sono stati pronunciati da Papa Francesco.

Il primo e il più alto dei quali ha riguardato proprio l’Europa, nel giorno di Pasqua, quando il Pontefice ha definito la pandemia “una sfida epocale dalla quale dipenderà il futuro dell’Europa e del mondo intero. L’alternativa – ha aggiunto – è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni”. Dunque, di Europa e degli egoismi che la percorrono rischiando di disgregarla, Bergoglio ha parlato e continua a parlare.

Sulla questione di geopolitica internazionale sollevata da Galli Della Loggia, non sembra che ad altri livelli, quelli più strettamente politici, ci siano idee chiaramente espresse e azioni concrete per valutare, criticare o contrastare le strategie di Russia e Cina.

Rispetto a un assetto mondiale nel quale l’Occidente ha gradualmente perso di vista, specialmente con l’amministrazione Trump, quel ruolo-guida dell’America che per decenni dopo la Seconda guerra mondiale aveva monopolizzato la collocazione non soltanto dei singoli Stati ma anche gli orientamenti politici di una Chiesa cattolica che aveva comunque – e continua a mantenere – occhi ben aperti sulle politiche sia del gigante cinese (specialmente sul tema dei diritti umani, tra cui quelli religiosi) sia sul regime putiniano.

Ma l’articolo di Galli Della Loggia stimola altre e altrettanto importanti riflessioni.

Riguardo, prima di tutto, a ciò che si può definire ‘politica’ in contrapposizione a quanto invece è – o sarebbe – ‘ideologia’.

Da qualche tempo si reitera il detto sulla ‘morte delle ideologie’. Dando per scontato che l’unica a tenere botta sarebbe quella neo-liberale del mercato universale, in base alla quale ogni aspetto della vita umana è ridotto a merce. Nella politica post-ideologica, a non avere più posto sono prima di tutto i partiti che delle ideologie erano portatori.

Ma anche la stessa politica non se la passa bene: perché senza ideologie a supporto, è carente nel definire una visione generale della società, a proporre una cornice che tenga insieme tutti i tasselli di un corpo sociale sempre più frammentato. Ridotto a una somma di individualismi.

La “politica” di Francesco

Quando Francesco parla di una Chiesa ‘ospedale da campo’, richiama il valore di una serie di azioni che abbiano come scopo il superamento dell’individualismo, e riportino le persone a quella dimensione di comunità sociale che, sola, può adempiere al compito di curare le ferite provocate dall’emarginazione e dalla logica, tacitamente accettata, dello ‘scarto’.

Rispetto alla disgregazione sociale, dalla politica politicata non arrivano indicazioni altrettanto determinate nel prospettare soluzioni coerenti per le laceranti contraddizioni della società attuale.

“La Chiesa sa che non è suo compito far essa stessa valere politicamente la propria dottrina. La sua missione è servire alla formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e la disponibilità ad agire in base ad essa”: è un passaggio di un discorso pronunciato nel 2007 dall’allora papa Benedetto XVI.

Una riflessione, la sua, che apre la strada e gli occhi a chi, da cattolico, fa o vorrebbe fare politica. Non dal punto di vista di Galli Della Loggia, che pare ragionare soltanto valutando l’operato delle gerarchie ecclesiastiche, ma dalla visuale di Bergoglio. Quella del Vangelo.

Daris Giancarlini