La cocolla della modernità

DON ANGELO fanucciFila via come l’olio il sesto anno della nostra esperienza di lectio divina a S. Maria al Corso, la bella chiesa eugubina con davanti la doppia scalinata in palombino, al centro di corso Garibaldi.

“A S. Maria” d’estate. D’inverno no, d’inverno nella sagrestia di S. Maria, un buco di 3 metri per 4, dotato di una stufetta elettrica che brucia molto e scalda poco: altro il convento non passa.

“Nostra”: de Il Gibbo, l’associazione che abbiamo costituito appunto sei anni fa, intorno a un progetto a due facce: quella di una lettura seria della Bibbia domenicale e quella di una riscoperta seria (ancora in nuce) del volontariato sociale. Un nome (“Il Gibbo”) che non nasce da nessuna particolare attenzione alle scoliosi, visto che quelli che tra noi (e non siamo pochi) la curva ce l’hanno, ce l’hanno sulla pancia e non sulla schiena. Il riferimento del nome non è anatomo-patologico ma casareccio / geografico: alla gobba rocciosa che incombe sul monastero. Fu Dante Alighieri che, guardandolo sospeccioso di sotto in su, ribattezzò – appunto – con il nome di “Gibbo” l’enorme massa rocciosa del monte Catria che d’inverno si mangia il sole alle 3 del pomeriggio.

L’Avellana di don Barbàn ieri e di don Giacomelli oggi: indossano la cocolla bianca come nei secoli passati, ma è la cocolla della modernità. Sono gli epigoni di una lotta strenua che nel post-Concilio i grandi priori della congregazione camaldolese, Benedetto Calati e Anselmo Giabbani vinsero, ma soffrendo molto, e pagando duramente di persona, perché il Concilio nella loro congregazione ebbe un’interpretazione seria e fedele. “Al loro interno”: un “interno” che tendeva e tende ad allargarsi, comprendendo gente diversa, diversa anche nelle scelte ideali, come l’altroieri Felice Balbo, Giorgio Sebregondi, Alessandro Fé D’Ostiani, Ubaldo Scassellati, Piero Pratesi, Raniero La Valle, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Angelina e Giuseppe Alberigo, Paolo Prodi, Mario Melloni. E ieri Raniero La Valle, padre David Maria Turoldo, padre Ernesto Balducci, Mario Gozzini, Giancarlo Zizola, Adriana Zarri. E ancora Rossana Rossanda e Mario Tronti. E oggi… andateci, e li incontrerete

Cosa abbiamo imparato a Fonte Avellana? Tre cose soprattutto, mi pare.
Primo, a leggere la Bibbia secondo le indicazioni del metodo storico-critico. Secondo, a prendere in mano il Libro non solo con l’infinita venerazione che gli è dovuta, ma anche con la precisa coscienza che si tratta di un messaggio sull’uomo visto alla luce di Dio, trasmesso in un crescendo di luce che rende tutto relativo quello che avvenne prima di Lui. Terzo, con la precisa coscienza che la cultura nella quale, lungo i millenni, la Bibbia ha lievitato, è una cultura fortissimamente simbolica. Cioè? Cioè trenta righe sono poche per dire tutto. La settimana prossima ce ne sono altre trenta.

AUTORE: Angelo M. Fanucci