La suntina

abatjour

Due lutti, nei miei giorni recenti. La “Suntina” e il tenente Colombo. Assunta Monacelli Rossi, “la Suntina”, ceramista. Il turista che, sceso a Gubbio, in piazza 40 Martiri, ha imboccato via della Repubblica puntando all’ascensore che porta a Piazza grande, ha visto, lì, ad un passo dall’ingresso dell’ascensore, un negozio di ceramica, e dentro lei, “la Suntina”, con in braccio un bucchero nero, da rendere lucido lisciandolo a mano, per decorarlo poi con l’oro. Il turista pedatorio si limitava ad un’occhiata. Ma al turista che era tale nell’anima, prima che nelle pedagne, un’occhiata non gli bastava: si fermava, entrava ammirava, chiedeva; e la Suntina parlava, spiegava, parlava, precisava, rivelava. Metteva sul tavolo la propria anima. Tre momenti per una produzione eccellente: un momento tecnico molto delicato, la cottura del modellato in assenza di ossigeno; poi un lungo momento di fatica manuale, l’“allisciatura” del bucchero nero con legno di bosso. Ma il momento clou era il terzo, quello propriamente artistico, dove la fantasia si sbizzarrisce e crea oggetti incantevoli; in testa e in coda al processo produttivo; in testa la modellatura a mano che fa della creta un oggetto umano (un vaso, un statuina, un monile), in coda la decorazione in oro zecchino, che sul nero del bucchero ha un effetto fascinoso. Quando il turista dimostrava di aver capito, la Suntina aveva fatto tutto, e diventava un’affabulatrice frizzante, a volte piacevolmente discorsiva, più spesso punzecchiante e caustica, a volte al vetriolo. Certo, si augurava anche, la Sunitna, che quel signore acquistasse qualche oggetto, ma non era quella la cosa più importante. Il suo lavoro lungo e duro le ha permesso di portare alla laurea i due figli, uno architetto e l’altro medico: suo marito, il prof. Antonio Rossi, era morto quando essi erano quasi bambini. Quanto legno di bosso ha dovuto consumare, la Suntina. E quanto olio di gomito c’è voluto! Ma non era la vendita la cosa più importante. Ho presieduto io la liturgia del suo commiato. Commosso, come i tanti presenti. E, dopo la conclusione del rito, mentre sulla piazza antistante splendeva il carro funebre lucente, non ho potuto fare a meno di ricordare quando… Eravamo a New York per lavoro, con un gruppo di amici. Per raggiungere dall’aeroporto Kennedy la casa che avevamo prenotato a Manhattan, salimmo su una limousine, uno degli oggetti più brutti che l’uomo abbia pensato e prodotto. Quella poi sulla quale salimmo quel giorno…! Di colore verde cupo, con dentro un filo di neon lungo le pareti, luminescente appena: intristiva ulteriormente il tutto. Silenzio. Qualche brivido supplementare. Poi fu la Suntina a rompere il ghiaccio: “Ma… la croce sopra, ce l’hanno messa!?”. L’ho salutata additandole quel carro che l’aspettava là fuori, un carro con una croce sopra. Una croce luminosa, come d’argento, nel sole d’estate. Luminosa come la sua e la nostra speranza.

AUTORE: Angelo Maria Fanucci