La tragedia di Parigi e la Pax benedictina

Una riflessione scritta per noi dal priore del monastero di Norcia
La statua di San Benedetto al centro dell’omonima piazza a Norcia
La statua di San Benedetto al centro dell’omonima piazza a Norcia

Pregando per le vittime di un odio così feroce è come discendere agli inferi, dove Cristo ha lottato contro la Morte e il Male. Il cuore si commuove, il nostro intimo freme di compassione. Come si può parlare della pace di fronte a questo male oscuro? Che cosa direbbe san Benedetto? La storia del monachesimo benedettino in Europa conosce alti e bassi nel rapporto con il mondo islamico. Da una parte, un affresco che si trova al Sacro Speco di Subiaco raffigura il massacro dei monaci da parte dei saraceni nel IX secolo; dall’altra, san Pietro il Venerabile, abate di Cluny (XII secolo), commissionò una traduzione del Corano in latino. Questi esempi storici sono fonti d’insegnamento per noi, ma ancora più significativo è l’insegnamento della Regola stessa. Ci sono tre principi in essa contenuti che possono essere utili a noi in questo momento di lutto per gli innocenti uccisi nella strage di Parigi che ha sconvolto l’Europa: il buon governo, la vera pace e l’auto-critica. San Benedetto è un uomo pratico, di buon governo. Conosce bene la natura umana, non è ingenuo. È pronto a usare la forza coercitiva per arginare il male (cf. il codice penale, RB 23-30). San Benedetto ha vissuto in tempi di guerra, si preoccupava per l’incolumità del suo monastero. In questo contesto, si può collocare il diritto alla legittima difesa personale e collettiva che è un elemento necessario per la pace, cioè “la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto” (CCC 1909). La sicurezza pubblica è un operato al livello umano.

A livello spirituale, però, c’è un altro principio che per san Benedetto è fondamentale. Questo è il primato di Dio. La pace benedettina si basa soprattutto tra il rapporto giusto tra l’uomo e Dio. Usando la definizione di sant’Agostino della pace come tranquillitas ordinis, la pace per Benedetto include anche l’ordine giusto tra l’uomo e il suo prossimo, tra l’uomo e se stesso, tra l’uomo e il creato e tra l’uomo e le cose – cioè l’opera delle sue mani. Il fondamento, però, che sta alla base di tutto il resto è il rapporto giusto tra l’uomo e Dio, senza il quale non si può avere una pace autentica e duratura. Dio al primo posto. Benedetto insiste che il monaco (e il cristiano) non anteponga nulla all’amore di Cristo. Inoltre, il primo gradino dell’umiltà è di tener sempre davanti agli occhi il timor di Dio (RB 7:10) – ossia la preoccupazione delle cose di Dio, della Sua presenza, del Suo volto. Nella nostra società occidentale, invece, viviamo spesso come se Dio non esistesse. Il risultato è un vuoto enorme. “La natura aborre il vuoto”, e quindi altre cose s’insinuano per riempire questo abisso. Fra le quali l’odio. Un terzo principio della spiritualità monastica è l’auto-critica, un atteggiamento che viene dall’insegnamento dei Padri del deserto sui vizi (logismoi). Questo principio ci incoraggia a cercare le radici del male nel proprio cuore. Ecco una critica che viene dal mondo islamico: molti musulmani chiamano la nostra società “l’Occidente senza Dio”. Forse è vero. Fra i terroristi ci sono anche giovani europei e americani. Che strano fenomeno! Perché? Forse perché sentono il vuoto di una società senza Dio, una società moralmente “bancarottiera”, e rispondono con disperazione e odio, sentimenti che sono facili a manipolare. La parola di salvezza che viene da san Benedetto potrebbe essere questa: mentre ci cingiamo ad affrontare le minacce che vengono da fuori, è doveroso anche rendersi conto del morbo che viene da dentro.

AUTORE: Padre Cassian Folsom priore dei monaci Benedettini - Norcia