Le radici antiche del pacifismo

Marcia Perugia-Assisi. Esiste un pensiero non-violento precedente a Capitini

“La pace è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli governanti”. È una frase di Aldo Capitini, e più che una frase è il motivo di tutto il suo impegno, volto a trasmettere al più vasto numero possibile di persone un impegno concreto per la pace. Istintivamente viene da dire che – proprio perché è una cosa così importante – non può essere lasciata in mano a nessuno in modo esclusivo, né soprattutto in modo conflittuale. I governanti non hanno il monopolio del perseguimento della pace. È verissimo. Ma essi, per loro specifico ruolo, sono e devono sentirsi investiti direttamente del compito di conservare e rafforzare il bene primario della pace. A loro compete di operare scelte concrete di ordine politico, che rendano percepibile l’intento di lavorare in ambito economico e amministrativo per la pace all’interno delle comunità. In questo modo la pace diviene il criterio delle scelte di giustizia e di equità che caratterizza tutte le scelte politiche. La stessa cosa vale per le relazioni internazionali. Aiutare i Paesi a superare le loro crisi, se non lo si fa per amore, lo si deve fare per conservare la pace, per eliminare le ragioni di possibili conflitti, scaturiti dalla “collera dei poveri”. In questa prospettiva la pace sociale interna e internazionale diventa il sale della politica e dell’economia: non più il Pil o il profitto. In questo senso, la pace è un valore di tale importanza che non può essere lasciata neppure in mano ai soli pacifisti, pur animati da ottime intenzioni, ma che non possono cambiare le sorti di niente se dalle manifestazioni non si passa a scelte politiche che incidano sulla storia concreta dei popoli. Altro aspetto del tema della pace è che non può essere sostenuta con le riduttive ragioni del pacifismo gandhiano o capitiniano. L’Umbria su questo piano dovrebbe essere più attenta a non perdere radici più antiche non percepite dal pensiero di Capitini. Con tutto il rispetto per questo pensatore, attivo propugnatore del valore della pace, da perseguire attraverso la via della non-violenza attiva, non si può dimenticare – come è stato recentemente sottolineato in un’assemblea di dirigenti scolastici dell’Umbria – che la pace è un bene messianico di cui parla Isaia in famosi passaggi del suo libro (capitoli 2 e11: “Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme…”; “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci…”). Testi che spinsero Giorgio La Pira a portare ai capi di Stato, nei tempi della guerra fredda, la prospettiva della pace da raggiungere navigando insieme verso il “porto di Isaia” (VII secolo a.C.). Il cristianesimo sarà poi la religione di uno che ha detto e praticato la non-violenza: il Crocifisso Risorto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace…” (Gv 14,27). In seguito, nella storia, i cristiani non sono sempre stati pacifici, ma non perché cristiani: perché poco cristiani. Nello stesso tempo vi sono stati martiri ed eroi della fede che hanno professato l’ideale dell’amore fin verso i nemici, e il perdono, operando per la riconciliazione. L’Umbria non può dimenticare Francesco d’Assisi, e una generazione prima di lui il vescovo di Assisi chiamato Magister Rufinus che scrisse un trattato sul bene della pace (De bono pacis). In un orizzonte più generale, si può ricordare il coraggioso insegnamento dei Papi che nel terribile secolo XX, con due guerre mondiali e tragedie a non finire, si sono opposti alle guerre e invocato la pace. Ultimo di questi gesti sarà compiuto il 27 ottobre in Assisi con i rappresentanti delle religioni, invitati da Benedetto XVI a pregare per la pace tra popoli. La pace quindi non va lasciata in mano ad altri, ma ognuno la custodisca e la promuova in ogni ambiente in cui vive ricordando sempre, inoltre, che se non interviene il Signore, vano sarà ogni sforzo umano (Salmo 126).

AUTORE: E. B.