In Umbria la mafia è diventata una realtà. Lo dimostra la retata dei carabinieri che hanno eseguito, nella provincia di Perugia e in altre località del territorio nazionale, 62 misure cautelari (46 persone arrestate, 7 ai domiciliari e le altre sottoposte a obbligo di dimora), emesse su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Perugia, per associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, danneggiamento, bancarotta fraudolenta, truffa, trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante delle finalità mafiose, nonché per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e sfruttamento della prostituzione. Sono stati pure sequestrati beni per 30 milioni.
Nel dettaglio, l’organizzazione criminale appartiene alla ’ndrangheta, con un sodalizio radicato in Umbria, con diffuse infiltrazioni nel tessuto economico locale e saldi collegamenti con le cosche calabresi di origine. Sono state documentate le modalità tipicamente mafiose di acquisizione e condizionamento di attività imprenditoriali, in particolare nel settore edile, anche mediante incendi e intimidazioni con finalità estorsive.
L’operazione, denominata “Quarto passo”, ha messo in evidenza un’organizzazione collegata alla cosca Farao-Marincola di Cirò, capeggiata dal pregiudicato Natalino Paletta, attiva nel capoluogo umbro dal 2008.
“Il territorio umbro, a torto ancora ritenuto da taluni ‘isola felice’, è invece in via di progressiva ‘mafizzazione’”, ha scritto il Gip di Perugia Alberto Avenoso. “L’associazione di tipo ’ndranghetista stanziatasi in Perugia – ha spiegato il giudice – non può, semplicisticamente, essere definita come un’articolazione periferica della struttura criminale calabrese sorta e radicata nel territorio d’origine, ma si configura invece come un’autonoma associazione composta da soggetti residenti in Umbria da oltre un decennio, i quali, pur avvalendosi dei metodi tipici delle associazioni di tipo mafioso e chiaramente conservando gli originari rapporti di parentela e contiguità con soggetti operanti nella regione di provenienza, operano autonomamente e in via esclusiva in Umbria, conservando sempre un ‘basso profilo’ criminale, al fine di non attirare sull’organizzazione l’attenzione delle forze dell’ordine”.
Il sodalizio criminale si era radicato nella provincia perugina consolidando progressivamente la propria influenza sul territorio e infiltrando il tessuto economico, anche mediante una diffusa attività estorsiva e usuraria nei confronti di imprenditori locali.
In particolare – hanno riferito gli inquirenti – è stato accertato come alcuni imprenditori siano stati costretti a emettere false fatture per dissimulare gli illeciti pagamenti, nonché a cedere le proprie imprese agli indagati o a loro prestanome. In altri casi, pur rimanendo formalmente intestatarie, le vittime venivano sostituite nella gestione da esponenti del gruppo criminale che, dopo aver privato l’azienda delle sue linee di credito, ne provocavano la bancarotta fraudolenta.
Il gruppo – spiegano ancora gli investigatori – era dedito anche a truffe, furti e traffico di droga. Truffe accertate erano in danno di fornitori di materiali edili, che venivano rivenduti a ricettatori calabresi titolari di imprese che li reimpiegavano nelle costruzioni di edifici e fabbricati in Umbria, Toscana e Calabria.
I proventi illeciti sono stati utilizzati per acquistare beni immobili e attività commerciali nel settore dell’intrattenimento e del fotovoltaico, anche intestati a prestanome, allo scopo di dissimulare la reale riconducibilità dei beni alla cosca.
Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che ha illustrato il contenuto dell’operazione, ha sottolineato, tra l’altro, che “l’intervento è stato estremamente tempestivo perché questo gruppo era in espansione in termini imprenditoriali. Mi ha colpito l’interesse, ad esempio, nel settore del fotovoltaico”. La presidente della Regione Catiuscia Marini ha parlato dell’Umbria come “una terra che ha anticorpi robusti per reagire”.