“Manzù e Spoleto” alla Rocca Albornoziana

Alla mostra, aperta fino al 30 settembre, esposte sculture e bozzetti dell'artista

Ormai dal 7 aprile, data di inaugurazione della Mostra “Manzù”, i numerosi turisti che affollano le vie di Spoleto hanno una singolare opportunità, quella di abbinare la visita alla Rocca Albornoziana, ormai quasi del tutto restaurata,e quella della Mostra Manzù, la quale resterà aperta fino al 30 settembre: un’occasione felicissima, come sta dimostrando l’interesse di quanti salgono al Colle S.Elia e si inseriscono nelle visite guidate, le quali hanno luogo all’inizio di ogni ora nei tempi di apertura. (giungere un dieci minuti prima per il biglietto- L. 10.000) E’ a disposizione un pullmino che conduce i visitatori fino alla porta d’ingresso, la quale dà sul Cortile d’onore. Si ricorderà che la Rocca è detta Albornoziana dal Card. Egidio di Albornoz. Legato e Vicario papale, il quale pose mano all’opera, affidandola a Matteo Guattacapponi (il Gattapone) di Gubbio: la più grande e la più forte delle rocche da lui disposte sul territorio pontificio. Spoleto, quale capitale del Ducato di fondazione longobarda, rivestiva particolare importanza, e particolare era il momento, a una cinquantina d’anni dal trasferiemento del papato in Avignone, dopo la peste nera del 1348, il dramma del terremoto ed insieme i tentativi di Pietro Pianciani di stabilire nella città la sua signoria, senza dire della continua e molesta ingerenza di Perugia. A Spoleto l’Albornoz inviò rettori del Ducato e vicari papali. Il Gattapone ebbe l’incarico nel 1362. Cinque anni dopo moriva l’Albornoz e giungeva il primo castellano, lo spagnolo Pietro Consalvo, con un presidio armato stipendiato dalla città. Castellani e governatori si succedettero per quasi quattro secoli. Tra essi, celebre Lucrezia Borgia (1499). Circa poi la metà del Quattrocento, fu la volta di un secondo architetto, Bernardo Rossellino, sotto Niccolò V, che ebbe l’incarico di “accrescere e fortificare” la fortezza, in modo però che la struttura, prevalentemente difensiva, assurgesse a vero e proprio palazzo residenziale. Ecco allora l’aereo porticato, che si sviluppa a due livelli proprio all’interno del Cortile d’onore, con il caratteristico pozzo esagonale. L’area è destinata ad accogliere il Museo nazionale del Ducato di Spoleto, mentre il salone centrale varrà come Sala polivalente per mostre temporanee, concerti, convegni ecc. Dal Cortile d’onore, attraverso un andito riccamente decorato (sec.XV e XVI) si può passare al Cortile delle Armi, ove risiedevano gli armati a difesa del castello. E’ l’area che ospiterà un Teatro all’aperto per 1200 spettatori, mentre negli ambienti del lato lungo avrà sede la Scuola europea di restauro del libro, e in quelli del lato corto, tra le due torri (sei sono le torri della Rocca) sarà istituito il Laboratorio di diagnostica per il restauro dei beni culturali. Lungo l’edificio è previsto il Parco della Rocca, destinato a successivi ampliamenti. E’ appunto in ambienti a specchio dei due cortili che è possibile visitare la Mostra del Manzù, su iniziativa della Galleria d’Arte Moderna di Roma e il Museo di Ardea, a dieci anni dalla scomparsa del grande artista. Gli appassionati troveranno qui sei delle sue sculture, particolarmente “Il Cardinale”, in bronzo, e due celebri “Figure di donne”, in ebano, l’una sdraiata sul dorso, l’altra agile e leggera nello slancio del ballo. Giacomo Manzù fu molto legato a Spoleto, particolarmente al Festival dei Due Mondi, a partire dal “Grande Nastro” utilizzato per il Festival del 1970. Accanto alle sculture, hanno avuto ben ampio spazio i “bozzetti” per opere teatrali e a commento di celebri brani musicali come quelli di Stravinskij, al quale Manzù fu molto legato. Interessanti i richiami di una giovinezza molto legata all’ambiente e all’educazione cattolica, nelle terre di Bergamo e nella parrocchia nativa di Giovanni XXIII (recentemente beatificato, il Papa che affidò all’artista anche la porta di S.Pietro). Interessante, ad esempio, sempre in riferimento a Stravinskij, i vari camuffamenti del diavolo – in figura anche di ‘monsignore’ oltre che di gentiluomo, oppure nel rosso vivo della linea tradizionale, corna e coda. Interessante sempre il colore che per Manzù ha sempre una indiscussa centralità. I bozzetti sono esposti quasi al completo, 58 su 65, ed è interessante coglierli nel loro emergere progressivo dalla macchia di colore ai successivi contorni o a soprapposizioni quasi scultoree che ne fanno un tutto davvero unico. Peccato che da una parte siano proibite foto e riproduzioni di qualsiasi genere, e dall’altra non vi sia che un ricco e costoso manuale, per cui ai cultori d’arte e appassionati dell’artista non resta che venire e vedere direttamente. D’altra parte, quale riproduzione potrebbe dar ragione del modo singolare di trattamento dell’ebano o anche del bronzo, o magari delle foglie che incoronano qualche bozzetto?

AUTORE: Agostino Rossi