di Stefano De Martis
Il tema delle migrazioni è tornato al centro del dibattito politico-mediatico, e purtroppo non si tratta di un sussulto di consapevolezza del ceto politico nei confronti di una delle grandi questioni epocali del pianeta. Vediamo piuttosto come un fenomeno strutturale di tale portata continui ciclicamente a essere valutato e presentato come un’emergenza, con oscillazioni che dipendono più dalle esigenze propagandistiche del momento che dall’andamento reale. È un fenomeno che ha una prioritaria e irriducibile dimensione umanitaria, di cui c’è una chiara eco nelle norme del Diritto internazionale, e davanti alla quale dovrebbero finalmente cedere il passo le strumentalizzazioni per fini di consenso elettorale.
Quando sono in gioco la vita e la dignità delle persone, tanto più se in condizione di estrema sofferenza e fragilità, non è possibile invocare motivi di opportunità politica, né nascondersi dietro calcoli ragionieristici, a maggior ragione se l’interpretazione di questi calcoli è viziata da occhiali ideologici. Sulla dimensione quantitativa del fenomeno, che pure è di enorme complessità e rifugge dalle semplificazioni, è possibile tuttavia mettere alcuni punti fermi, utili a orientarsi almeno nella situazione attuale.
Il nostro Paese – va detto subito – non sta subendo un’invasione di migranti e non è il “paradiso” dei richiedenti asilo, come si vorrebbe far credere. Le richieste di asilo presentate in Italia nel 2021 sono meno di un terzo di quelle della Germania e meno della metà di quelle della Francia. Lo scorso anno ci ha superato nettamente anche la Spagna. Se poi si confrontano i dati con la popolazione di ciascun Paese, il nostro è addirittura al di sotto della media europea, e non da ora. L’Italia è invece visibilmente e più degli altri esposta agli arrivi via mare, che però sono solo una parte degli ingressi. E comunque, a dispetto di certe cronache tendenziose, le cause di questa situazione non sono riconducibili al ruolo delle Ong, sulle cui imbarcazioni è giunta in Italia solo una minoranza di migranti (il 16% degli sbarchi, dati del Viminale per l’anno in corso fino all’11 agosto). La ricerca di un capro espiatorio è sempre ingiusta e dannosa; in questo caso, poi, la mancanza di senso delle proporzioni è perfino grottesca.
E qui veniamo alla dimensione politica di un fenomeno che è per definizione sovranazionale, e per quanto ci riguarda chiama in causa direttamente in ruolo l’Unione europea. Quello delle politiche migratorie è uno dei settori in cui l’Ue si è dimostrata in questi anni più inadeguata rispetto alle sfide in campo. Il motivo risiede soprattutto nel fatto che su questo terreno le pulsioni nazionalistiche degli Stati e quelle dentro di essi si esaltano reciprocamente, come ha confermato ancora una volta lo scontro tra Francia e Italia. Ancora non si è riusciti a capire (o si fa finta di non averlo capito) che solo all’interno di un’autentica solidarietà europea è oggi possibile tutelare efficacemente l’interesse nazionale, e ciò non vale soltanto per la questione dei migranti. A “mostrare i muscoli” e a “battere i pugni sul tavolo” rischiamo tutti di farci del male.