“Il tuo Dio gioirà per te”: sono le parole che ascoltiamo la seconda domenica del Tempo ordinario, parole con cui il profeta Isaia (I Lettura) descrive il motivo festoso delle nozze tra il Signore e la comunità di Gerusalemme.
Prima lettura
Il profeta è nel punto di accogliere la manifestazione del Signore ed è paragonato alla sentinella che attende l’aurora ed è fedele al suo ‘turno’ vigilando per vedere il sorgere della prima stella. E il chiarore mattutino allude all’arrivo del tempo della giustizia e dello splendore di Gerusalemme, città che sarà un faro per le “genti” e per i “re”. Questo tempo inaugurerà il “nome nuovo” che verrà dato a Gerusalemme, nome che non avrà più niente a che fare con quelli sterili del tempo dell’esilio (abbandonata, desolata), ma sarà caratterizzato dal linguaggio nuziale: “mia gioia”, “sposata”.
Inoltre in questo brano è contenuta una novità: in altri testi profetici, si parla di una nuzialità tradita e poi riconciliata (Osea), invece qui lo Sposo è un giovane che si sposa per la prima volta con una vergine (betulah) e, con discreta audacia, facendo allusione al rapporto d’amore, l’Autore presenta la verità di un’alleanza ‘unica’ caratterizzata dalla gioia “dello sposo per la sposa”.
Salmo
A questo messaggio così alto la Liturgia ci propone di rispondere con il Salmo 96, Salmo che rientra nel gruppo di quelli propri della Liturgia sinagogale sabbatica. Si tratta di una lode cosmica il cui “canto nuovo” si eleva a Dio da “tutta la terra” ed il coinvolgimento dei credenti è tale – e anche insolito – che gli stessi desiderano comunicare le opere del Signore agli altri popoli. Se infatti generalmente la volontà di raggiungere tutte le genti è frutto dell’iniziativa divina, qui è la comunità israelita a prendere le mosse per ‘evangelizzare’ tutti (“a tutte le nazioni dite i suoi prodigi”).
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro del profeta Isaia 62,1-5SALMO RESPONSORIALE
Salmo 95SECONDA LETTURA
I Lettera di Paolo Corinzi 12,4-11VANGELO
Dal vangelo di Giovanni 2,1-11
Seconda lettura
Di un’evangelizzazione regolata, ben distribuita ed efficace è San Paolo a parlarne nella I Lettera ai Corinzi. L’apostolo scrive agli abitanti di Corinto, una comunità che abbondava dei doni della grazia, ma proprio per questa abbondanza c’era necessità di fare chiarezza, per non lasciarsi prendere dalla suggestività e soprattutto per organizzare le manifestazioni ‘carismatiche’ in modo tale che fossero servite per l’edificazione vicendevole.
Il nostro brano è relativo al passaggio in cui Paolo, ribadita l’unica origine dei carismi che è lo Spirito santo, distingue i doni chiamandoli rispettivamente “carismi”, “ministeri” e “attività” (letteralmente ‘capacità operative’). L’intento di Paolo è quello di chiarire che i doni ricevuti non possono essere motivo di vanto o di divisioni, di gelosie o di ambizioni, quanto piuttosto devono spronare alla docilità nei riguardi dello Spirito per la unanime tensione al bene e all’amore vicendevole.
Vangelo
Nella pagina del Vangelo di Giovanni, una delle più belle, ritroviamo il tema della festa nuziale. La circostanza è quella delle ‘nozze di Cana’ ove sono presenti Sua Madre e i discepoli. La celebrazione delle nozze al tempo di Gesù comprendeva due fasi: quella dell’atto matrimoniale (ketubah) che veniva scritto in casa della sposa e che, secondo la consuetudine ebraica, ufficializzava l’unione, e quella della celebrazione vera e propria del matrimonio (nyssu’in) con conseguente festa che poteva durare tra i tre e i sette giorni.
È in questa seconda fase che si svolge il primo dei ‘segni’ operato da Gesù. Il luogo è Cana, un modesto paese della Galilea a circa 13 km da Nazareth. La lettura attenta ci fa prendere consapevolezza che qui il personaggio più importante è Maria. È scritto infatti che “vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù”. Poi, circa Gesù è scritto “fu invitato alle nozze anche (kai, con funzione di ‘anche’) Gesù con i suoi discepoli”. In seguito chi prende la parola per prima è proprio Maria: “Non hanno più vino”.
Sembra strano che nessuno si accorga del vino che sia venuto a mancare, ma così è, e Maria fa presente questa mancanza. Gesù risponde alla provocazione rivolgendosi a Sua Madre con il titolo di ‘donna’ superando così quello che è il legame strettamente familiare. Poche, ma chiare parole: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. E Gesù: “Riempite d’acqua le anfore”.
I servitori devono riempire delle idrias: con questo termine greco si indicano dei recipienti che, essendo di pietra, erano considerati idonei perché non rendevano impuro il contenuto e quindi venivano utilizzati per metterci l’acqua della purificazione rituale. Quindi l’acqua che viene trasformata in vino era acqua destinata ai riti purificatori. Le conseguenze sono che il maestro di tavola, ignaro della ‘trasformazione’, elogia gli sposi per la conservazione eccezionale del “vino buono”, e che i discepoli “credettero in lui”.
L’acqua purificatrice è sempre elemento di iniziazione ad una nuova vita, ma il vino? Perché proprio il vino ‘segna’ l’inizio della “manifestazione” di Gesù? Scegliamo sempre il metodo della contestualizzazione e pensiamo ai tanti significati positivi cui è metafora il vino nell’AT, nonché all’esegesi rabbinica che definisce il monte Sinai la ‘cantina della torah’ (Targum Cantico 2,4). Sul Sinai il Signore si è manifestato attraverso la consegna della Torah, ora a Cana -nel bel mezzo dei festeggiamenti nuziali – si manifesta definitivamente nel ‘segno’ di Gesù. Ma per il compimento del ‘segno’ è stata necessaria l’azione mediatrice di Maria.
Giuseppina Bruscolotti