“Le recenti vicende dell’Acradu lo confermano”: la frase sulla quale la scorsa settimana s’è spenta la luce stentatella di questa nostra abat jour è … sibillina. Giusto. La Sibilla Cumana, dopo aver detto parole che nessuno capiva, le scriveva su foglie che affidava al vento, a disposizione di chi aveva voglia di cercare per capire. Simile a quelle foglie è questa che state leggendo.
L’Associazione cristiana delle residenze per anziani e disabili dell’Umbria (ne fa parte anche la mia comunità) è la figlia più giovane della Conferenza episcopale umbra. Anche quando procedono lento pede e parlano come oracoli venerandi, i Pastori delle nostre Chiese Umbre, come tutti i Pastori veri, d’altronde, sono titolari d’una giovinezza atemporale, segno ed effetto di quell’altra Giovinezza Eterna, grazie alla quale l’utero secolare della Casta Meretrix di sant’Agostino continua a generare, a onta di tutte le leggi della genetica, figli tenerelli e robustosi. 11 maggio 2004, a Perugia; Consiglio direttivo dell’Acradu; subito dopo, conferenza stampa presso la Sala della Partecipazione dell’Amministrazione provinciale.
Due momenti che hanno fatto emergere un dato recente e hanno posto un’istanza forte per il prossimo futuro. Il dato recente: l’Accradu, per quanto giovane, rappresenta realtà socio/assistenziali che accolgono circa 2700 soggetti e dànno lavoro a circa 1200 operatori. L’istanza forte: con l’accreditamento, che sostituirà la vecchia convenzione, il rapporto pubblico-privato/sociale dovrà venire ripensato in radice. Non si tratta più di offrire un servizio, no: tu, privato che te lo meriti, entri a far parte dell’organico pubblico preposto alla “cura dei deboli”.
In merito è stato secco, preciso, brillante, nel corso della conferenza stampa, il Presidente Pasquale Caracciolo. Mentre lui parlava, io mi sentivo sempre più orgoglioso di appartenere alla Chiesa Cattolica, e mi gasavo dentro, come fossi uno dei ragazzi del film L’attimo fuggente: se i garretti mi avessero retto e l’ultima resistenza a fare il clown fosse caduta, sarei balzato sul tavolo e avrei gridato a braccia larghe e protese: Oh! Capitano, mio capitano!!
Non accattiamo elemosine, – ha detto Caracciolo (traduco a braccio) – chiediamo solo di concorrere al bene comune, sulla frontiera dei meno fortunati tra noi, con tutto il corredo delle nostre motivazioni, come punte di diamante di tutta la comunità cristiana che ci ha insegnato il primato della persona e, tra le persone, il primato degli ultimi, e ci motiva a darne traduzioni sempre nuove. Oh! Capitano, mio capitano! Da quando abbiamo rinunciato a posizioni di privilegio, ci si sono aperte davanti prospettive d’impegno impensabili. Ne guadagna anche lo Stato: fatto salvo il potere di coordinamento e di controllo che compete alle sue Istituzioni, le sue basi reali si allargano. Oh! Capitano, mio capitano!