Il Centro sportivo italiano quest’anno festeggia i suoi primi settanta anni di vita… una lunga storia, ancora più lunga se consideriamo le sue origini all’inizio del ’900 all’interno della Chiesa italiana e specificamente dell’Azione cattolica con il nome di Fasci (Federazione associazioni sportive cattoliche italiane). Non è un’affermazione enfatica né retorica dire che sono stati settanta anni di educazione nel mondo sportivo. Lo statuto dell’associazione è chiaro: “Il Csi fa educazione attraverso lo sport”. Nei decenni lo statuto ha subito varie trasformazioni dettate dal tempo, ma tale dicitura e soprattutto finalità è rimasta immutata. Come dire che lo specifico del Csi è certamente lo sport, ma lo è tale solo se il fine primario è l’educazione di chi fa sport: da qui la centralità della persona umana in ogni intervento di qualsiasi forma, sportiva e non. Insomma, più che “palla al centro”: l’uomo al centro. Si capisce come tale principio in un mondo sportivo professionistico (ma anche dilettantistico) votato al “campionismo”, e soprattutto al business e al denaro, è come predicare nel deserto. Ma nei cento e più anni, e certamente nei settanta ultimi, tali principi non sono stati mai abbandonati, cosicché sono stati soggetti e oggetti di questo processo educativo di andata e ritorno ragazzi, allenatori, animatori, accompagnatori, genitori, dirigenti, volontari. Per tutti l’impegno è stato educare per educarci insieme attraverso il gioco e lo sport. Negli ultimi decenni tale impegno si è concretizzato con percorsi formativi per “educatori sportivi” con una scuola vera propria, la Snes (Scuola nazionale educatori sportivi). Il decennio che stiamo percorrendo che i Vescovi hanno indicato come il decennio della “sfida educativa” con la nota pastorale Educare alla vita buona del Vangelo trova il Csi pronto con le carte in regola. È chiaro il terreno rimane quello sportivo, ma è un terreno popolato e frequentato soprattutto da quella massa di giovani (quest’anno si è raggiunto il milione di iscritti) che hanno tanto bisogno di valori e di esperienze positive. Certamente vanno cercate collaborazioni e alleanze: pastorale giovanile, oratori, parrocchie, associazioni varie.
Il luogo primo di educazione è la società sportiva: essa, unitamente a quelle collaborazioni e alleanze, dovrà mirare ad alcune “educazioni” oggi più che mai necessarie:
1. Educare al valore della vita: sì a tutto ciò che rispetta la vita dell’uomo, no al mito dell’apparire, del dover essere tutti “sani e belli”.
2. Educare al tempo libero, al divertimento, al piacere e alla festa: sì a un modo nuovo di porsi davanti al tempo, al gioco, alla gioia di vivere. No a uno sport che uccide il gioco e predilige il denaro.
3. Educare alla corporeità, alla bellezza e alla salute: ci si salva non nonostante il corpo, ma per mezzo di esso, dono di Dio.
4. Educare all’agonismo, alla vittoria e alla sconfitta: sì allo sport scuola di vita, dandogli il giusto valore. No a falsi miti ed effimeri traguardi.
5. Educare alla democrazia e alla partecipazione: sì a ogni forma di dialogo e di confronto, no a modelli imposti dal “campionismo” e da uno sport che non ha l’uomo al centro.
6. Educare all’alterità, all’amicizia, alla gratuità, alla condivisione: a diventare gruppo. Non siamo soli, insieme è bello, e soprattutto si raggiungono gli obiettivi: ci si salva insieme (o si perisce insieme).
7. Educare alla legalità, alla cittadinanza e all’impegno civile. Il contesto cittadino, del quartiere, della nazione e del mondo è parte integrante della mia vita, è il mio normale “luogo teologico” .
8. Educare alla trascendenza: aiutare e aiutarsi ad alzare lo sguardo, ad andare oltre gli eventi riassumendoli nella filosofia di vita dei cristiani: “Signore, Tu ci hai fatto per Te, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Te” (sant’Agostino).