Pace tra ostacoli e contraddizioni

L’editoriale

Una liturgia commossa, carica di dolore, quella del commiato ai due caduti di Herat in Afganistan. Le parole e i gesti gettano semi di conforto e di speranza di vita eterna nei cuori feriti. L’angoscia collettiva dovrebbe aprire varchi di larghe intese per un’efficace opera di prevenzione delle guerre e delle violenze, attraverso atti di riconciliazione e di pacificazione, ponendo un invalicabile argine alla furia del demone dell’odio e della divisione. A questo tendono le marce e le manifestazioni pacifiste. È giusto che si facciano. Ma non bastano. I singoli sono interpellati a scoprire e rendersi conto che vi è una sfera dove matura la decisione di essere dalla parte della pace che risiede nella zona più profonda della coscienza umana, là dove a nessuno è consentito barare con se stessi. Se ciò non avviene, ogni esteriore espressione di buona volontà risulta inefficace. Uno scrittore giornalista ha titolato un pezzo in un quotidiano locale:“Marcia per la pace e vino terapeutico” in cui mette in fila una serie di contraddizioni dell’attuale società. Chi marcia e manifesta per la pace, fa un’azione educativa volta alla consapevolezza dei diritti e delle condizioni di democrazia, libertà e progresso sociale che stanno alla base di una società umanamente accettabile. Coerenza vorrebbe che ognuno sia poi disposto a fare quei piccoli passi e atti richiesti nei suoi personali ambiti di vita che facciano di lui un testimone e operatore di pace. L’opera educativa è più efficace quando si assume uno stile di vita coerente con i valori professati. È stato detto che servono testimoni più che maestri e questi saranno credibili se sapranno essere testimoni. La conflittualità all’interno dei nuclei familiari, nella vita politica, anche nella nostra piccola regione, all’interno dei partiti, lo stesso spreco di beni e persino di vite umane (vedi il preoccupante articolo a pag. 3). Un supplemento di generosità ci si sarebbe aspettato, per fare un piccolo esempio, dai marciatori di domenica scorsa in risposta all’appello di versare un euro per il fondo di solidarietà costituito dai vescovi umbri per le famiglie in gravi difficoltà a causa della perdita del lavoro. Sarebbe stato un bel gesto in particolare da parte di quelli venuti da fuori, un gesto di comprensione e solidarietà per le famiglie di questa regione ed anche un segnale di rispetto per i vescovi delle diocesi umbre che si danno tanto da fare sul piano del sociale, con il volontariato, le Caritas, gli oratori e mille altre iniziative rivolte allo sviluppo della società e al bene comune. Ma la colletta dei cento mila ha raggiunto solo la quota di 953 euro. Che ne dite? Nessuno pensava a cento mila euro. Sarebbe stato un miracolo, pure possibile, visti i big presenti alla marcia. Invece è stato il classico topolino partorito dalla montagna. Se tanto mi da tanto, alle parole sembra che segua solo l’onda sonora del vento.Mentre scrivo sento che è morto, ucciso, un fotografo in Thailandia, Fabio Polenghi, uno che voleva testimoniare una volontà di pace mostrando il volto brutale e orrendo della violenza. Anch’egli, come gli altri, morti e feriti, piccoli semi di pace tra le fiamme sconvolgenti della guerra. Che Dio ci aiuti!

AUTORE: Elio Bromuri