Favorire lo sviluppo sostenibile economico, sociale, ambientale e culturale, promuovere l’equilibrio demografico del Paese, agevolando la residenza nei piccoli Comuni, incentivare la tutela e la valorizzazione del patrimonio naturale, rurale, storico, culturale e architettonico. Sono alcuni degli obiettivi della legge sui piccoli Comuni approvata la scorsa settimana, “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi Comuni”.
I piccoli Comuni, definizione che comprende tutti quelli al di sotto dei 5.000 abitanti, sono 5.591 e rappresentano il 69,9% dei Comuni italiani. Occupano il 54% del territorio nazionale; vi vivono 11 milioni di persone. Ma dal 1971 al 2015 in quasi 2.000 piccoli Comuni la popolazione è diminuita di più del 20%.
I piccoli comuni umbri
Sono 10 i Comuni umbri al di sotto dei 1000 abitanti. Il Comune più piccolo dell’Umbria è Poggiodomo, in provincia di Perugia, che conta solo 117 anime. Il suo patrono è Sant’Antonio Abate e i suoi abitanti sono detti “poiani”. Al secondo posto della classifica dei Comuni umbri più piccoli c’è Polino in provincia di Terni, con 233 residenti di cui 124 uomini e 109 donne. Polino ha una superficie di 19,46 kmq e le sue origini risalgono all’epoca dei feudi, quando era di proprietà dell’antica famiglia ternana Castelli. Altro piccolissimo Comune è Vallo di Nera, in provincia di Perugia, con 364 abitanti. Il paese, immerso nella regione della Valnerina, conserva in parte gli edifici religiosi e civili romanici del primo Medioevo. A seguire, con 461 abitanti, si trova Scheggino (Pg), diviso in 8 frazioni.
“Finalmente è stata approvata una legge fondamentale, un primo passo per cercare di invertire il trend devastante dell’abbandono del territorio”, commenta Massimo Castelli, coordinatore Anci dei piccoli Comuni e sindaco di Cerignale, in provincia di Piacenza, 127 abitanti.
Sindaco, perché è così importante questa legge?
“L’approvazione della legge è importantissima perché fissa un principio fondamentale: per la prima volta la residenza nei piccoli Comuni diventa un tema di interesse nazionale. Finalmente si capisce che l’abbandono e lo spopolamento sono un grave problema, e che mantenere vivi questi territori è una priorità nazionale. Questa è una legge con la quale si apre per l’Italia uno scenario di svolta per chi vive nei centri minori: basta borghi abbandonati, basta deserti alle spalle delle grandi città! Il legislatore si preoccupa di portare la banda larga, di aumentare il lavoro, di migliorare i servizi, perché vuole che nei piccoli Comuni ci sia residenza”.
Perché è così difficile vivere nei piccoli Comuni?
“La spending review colpisce moltissimo queste aree, perché, ad esempio, vengono chiusi scuole e ospedali. Così ci sono file lunghissime a un pronto soccorso di Roma, mentre sul territorio non c’è presidio. Una serie di problematiche si sono nel tempo incancrenite perché non c’è mai stata una vera politica dell’equilibrio. Di fatto abbiamo ormai tantissimi Comuni a rischio desertificazione: non abbiamo più commercio, attività economiche, restano solo gli anziani. Le ricadute sociali sono pesanti. Eppure questi territori possono essere pensati come un grande West italiano 4.0, dove famiglie e imprese riconquistano territori da scoprire e da rivivere. Vogliamo immaginare virtuali carri di coloni che risalgono pendii e, invece di posare strade ferrate come nel vecchio West dell’America, posano fibra ottica, portano nuovi saperi, nuovi stili di vita. Anche i migranti possono diventare un elemento di coesione sociale e di integrazione, se arrivano famiglie, diventando un’opportunità per il territorio. Tante scuole restano aperte proprio per i piccoli migranti. E poi per qualsiasi borgo che si chiude in Italia, se ne va un sapere, un dialetto, un pezzo della nostra storia. Questa legge introduce il km zero, alcune agevolazioni per fare impresa”.
La legge stanzia 10 milioni per il 2017 e 15 milioni di euro dal 2018 al 2023. Sono sufficienti?
“Noi chiederemo degli emendamenti nella Finanziaria affinché ci siano 100 milioni di euro all’anno, non in cinque anni. Certo la cifra al momento è bassa, ma è passato il principio che sono necessarie delle risorse da investire in questi territori, sullo sviluppo sostenibile, sugli ‘alberghi diffusi’, sul recupero dei centri storici.
Manca un tassello importante da recuperare: la fiscalità di vantaggio e i cosiddetti bonus. Bisogna cambiare mentalità. Oggi il bonus bebè in egual misura spetta sia alla mamma che abita di fronte all’ospedale a Roma sia alla mamma dell’isola di Formica, che per fare un’ecografia deve prendere il traghetto per andare a Trapani. Quindi, per favorire il ripopolamento di questi Comuni, occorre dare qualche incentivo di più. La legge sancisce che servono politiche differenziate.
In queste aree un po’ interne della nostra Penisola abbiamo due milioni di case non occupate. Se dessimo un po’ di servizi, potremmo alleggerire le periferie, consentendo alle persone di vivere dove sono nate. Togliere i piccoli Comuni dall’isolamento è il primo passaggio. La banda larga è importante perché così le distanze digitali sono azzerate e si può favorire il telelavoro”.
Gigliola Alfaro