di Andrea Zaghi
Quasi un miliardo di tonnellate di cibo sprecato. L’indicazione arriva dalla Giornata internazionale della consapevolezza sugli sprechi e le perdite alimentari che si è celebrata il 29 settembre, e che è l’occasione per ragionare dello strano nodo di problemi che stiamo vivendo dal punto di vista alimentare.
Spreco di cibo, dunque. Succede perfino in una condizione come quella attuale, tra prezzi alle stelle di quasi tutti i prodotti alimentari (anche quelli di base), aumenti altrettanto vertiginosi dei costi delle materie prime per produrre cibo, foschi presagi di carestie dovute al clima, ma anche conflitti tra nazioni e concrete speculazioni internazionali.
Alimenti preziosi come l’oro, si potrebbe dire. Eppure le ultime statistiche parlano chiaro: il mondo butta via ancora troppo cibo. Anche se le cose in qualche modo appaiono in miglioramento.
Il tema, tra gli altri, è stato rilanciato in Italia da Coldiretti, che in una nota sottolinea come quel miliardo di tonnellate sia “pari al 17% di tutto il cibo prodotto” e come abbia “un impatto devastante sull’ambiente e sul clima, oltre che su un’economia già duramente colpita dall’emergenza Covid”.
Guardare dentro al numero generale aiuta a capire meglio. A guidare la classifica degli sprechi sono le abitazioni private – dice ancora Coldiretti –, dove si butta mediamente circa l’11% del cibo acquistato, mentre mense e rivenditori ne gettano rispettivamente il 5% e il 2%. Si stima poi che le emissioni associate allo spreco alimentare rappresentino l’8-10% del totale dei gas serra. Se si sposta l’analisi sulla geografia dello spreco, si vede subito che, tutto sommato, l’Italia non è tra i Paesi più disattenti (anche se si potrebbe fare molto di più, ovviamente).
Nelle case italiane – fa ancora notare la ricerca – si gettano mediamente ogni anno, secondo un’analisi su dati Onu, circa 67 kg di cibo per abitante. In Arabia Saudita si arriva a 105 kg, in Australia a 102 chili. All’estremo opposto, in Russia pare che si sprechino solo 33 chilogrammi di alimenti all’anno, in Sud Africa 40 e in India 50. Ma se si considerano solo le nazioni dell’Unione europea, emerge come gli italiani siano “più responsabili” dei francesi, che in un anno gettano alimenti per 85 chili a testa, e dei tedeschi (75 kg), mentre gli inglesi buttano via 77 kg di alimenti a testa.
Al di là della gara dei numeri, resta il dato di fatto: in Italia e nel mondo si spreca ancora una quantità elevatissima di alimenti. Un insulto per tutta quella parte dell’umanità che si alza mattina e non sa se entro sera riuscirà a mettere sotto i denti un pasto più o meno completo.
Le prospettive, però, appaiono in miglioramento. Sempre i coltivatori diretti, infatti, indicano (elaborando dei dati Coop) che il 35% degli italiani “taglierà gli sprechi nei prossimi mesi, adottando a casa soluzioni per salvare il cibo e recuperare quello che resta a tavola”. Merito, occorre dirlo, non di una più accentuata responsabilità nei confronti del cibo e del suo valore, ma dei rincari del costo della vita, che obbligano a maggiori attenzioni rispetto a prima.
Accade insomma che la maggiore attenzione ai consumi non derivi tanto da un’etica ritrovata, ma da un portafoglio sempre più piccolo e vuoto. C’è spazio quindi per migliorare, educare, allargare la quota di persone che riescono a guardare non solo al proprio borsellino ma anche alle necessità degli altri messi in condizioni peggiori. È qualcosa che riguarda tutti noi.