Rasetti, lo scienziato umbro che disse ‘no’ alla bomba atomica

Dalla scelta personale al grande dibattito sul ruolo degli scienziati per la pace

Il contributo della Chiesa umbra alla pace: un documento e due testimoniUn incontro pensato per dare un contributo al dibattito sulla pace, in vista della Marcia della Pace Perugia-Assisi, al di fuori delle polemiche politiche di questi giorni. Giovedì scorso a Perugia alla sala dei Notari la Chiesa Umbra ha messo sul tavolo due personaggi e un documento. I personaggi sono Leone XIII, il papa che fu vescovo di Perugia per oltre trent’anni prima di salire al soglio pontificio, e Franco Rasetti, il grande scienziato umbro che seppe dire no alla bomba atomica. A papa Leone XIII l’arcivescovo mons.Giuseppe Chiaretti ha dedicato, in questo ‘Anno leonino’ del centenario della morte, convegni di studio per mettere a fuoco il contributo dato alla Chiesa e alla cultura. Giovedì mons. Chiaretti ha parlato dell’impegno pacificatore di papa Leone XIII. “Anche lui – ha detto – è vissuto in tempo di belligeranze varie e di tensioni molteplici tra popoli e non esitò a schierarsi contro la corsa agli armamenti. Questo, anche nella nostra epoca, crea armi su armi e toglie il pane alla gente. Bisogna anche oggi smetterla di pensare di ‘garantire’ la pace con la forza delle armi. Alla vita sociale dobbiamo tutti pensare in termini di pace e non di guerra”. Il secondo personaggio è Franco Rasetti, uno dei ‘ragazzi di via Panisperna’, braccio destro di Enrico Fermi con il quale condusse le ricerche che portarono all’impiego, prima per usi civili e poi militari, dell’energia atomica. La storia di Rasetti l’ha presentata il fisico Roberto Battiston che oltre ad insegnare all’Università di Perugia è direttore della sezione perugina dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. A ascoltare il suo ‘ritratto’ c’era un folto gruppo di compaesani di Rasetti, che conoscevano personalmente lo scienziato che fino agli anni ’70 tornava a Pozzuolo periodicamente nella vecchia casa di famiglia. Il documento presentato è “Umbria terra di Pace”, redatto dalla Consulta Ceu per la giustizia e la pace (il testo è presentato a pag. 4), di cui è presidente mons. Vincenzo Paglia, vescovo diTerni- Narni- Amelia. Un contributo “nato dal profondo di questa regione, che il Papa ha voluto terra-simbolo di pace. Proprio per questo sentiamo il pontefice il più umbro degli umbri” ha detto mons. Paglia. “Noi non siamo pacifisti nel senso astratto – ha precisato mons. Paglia -, ma siamo pacificatori. La pace riguarda ogni persona e non solo gli ‘addetti ai lavori’ e tutti hanno la responsabilità della pace. In un momento come quello che stiamo vivendo, nel quale la situazione internazionale è davvero drammatica, dobbiamo tutti prendere coscienza delle nostre responsabilità. L’Umbria – ha concluso mons. Paglia – prenda coscienza delle sue grandi risorse e dei tesori che l’hanno portata nei secoli ad essere ‘spirito’ di grande educazione alla pace”. Maria Rita ValliL’intervento di Roberto Battiston”Si parla molto ai giorni nostri di frode intellettuale e si creano dei comitati etici. Per Rasetti l’onestà scientifica era assiomatica ed automatica. Si parla molto di gruppi di ricerca e di reti di gruppi, organizzazioni complessi. Per Rasetti, l’autonomia e l’indipendenza dello studente e del ricercatore erano elementi primordiali. Si parla dell’iper specializzazione necessaria per raggiungere le cime della conoscenza. Per Rasetti tutte le discipline meritavano considerazione nell’obbiettivo di capire la natura. Si parla molto di strategie tecnologiche e di politiche scientifiche di un paese. Per Rasetti, profondamente apolitico, i frutti della scienza erano l’eredità di tutta l’umanità”. Così Danielle Ouellet, ricorda la figura del più grande fisico umbro, Franco Rasetti, nato a Castiglion del Lago Pozzuolo nel 1901 e morto in Belgio a 100 anni, il 26 dicembre 2001. Esse sintetizzano in modo efficace le caratteristiche e la complessità della figura di questo straordinario scienziato, il braccio destro di Fermi, assieme a lui il padre scientifico della famosa scuola di Via Panisperna. Onestà intellettuale, autonomia di giudizio, multidisciplinarietà nella ricerca, internazionalità della scienza. Individualista, totalmente refrattario a regole e disciplina Rasetti amava le sfide. Si innamorò della fisica proprio perché era difficile: “era la materia che a scuola capivo di meno – ammise alcuni anni fa -, così mi misi in testa di venirne a capo”. Nel 1918 Rasetti frequentava i corsi di ingegneria a Pisa. Conobbe Fermi e fu lui a convincerlo a spostarsi a Fisica. Rasetti fu certamente uno straordinario scienziato. Bravissimo sperimentatore, è stato probabilmente il componente più brillante sotto il puro profilo sperimentale, del gruppo di fisici di via Panisperna. L’attività a Roma con Fermi ed ragazzi di Via Panisperna (Fermi, Rasetti, Amaldi, Segre, Pontecorvo, Maiorana, D’Agostino), culmina nel 34-35 con la produzione della radioattività artificiale prodotta grazie al bombardamento dei neutroni, e quindi alla scoperta delle singolari proprietà dei neutroni lenti, alla base dello sviluppo della reazione nucleare a catena. Furono anni entusiasmanti ma neppure allora riuscì a sentirsi completamente appagato dalla fisica. La sua tumultuosa curiosità lo spingeva in molteplici direzioni, lasciando ammirati gli altri componenti del gruppo che lo chiamavamo, scherzando, il Venerato Maestro, (Fermi era il Papa e Corbino, colui che aveva creato il gruppo di Via Panisperna, il Padre Celeste). Un giorno infatti confidò ad Amaldi che era sempre stato “scettico sulla possibilità di ridurre un gatto (la vita) a sola fisica”. Gli avvenimenti politici della fine degli anni trenta (avvento del fascismo in Italia e del Nazismo in Germania) portano però a drastici cambiamenti nella vita del gruppo. La promulgazione delle leggi razziali nel ’38, portò Fermi alla decisione di abbandonare l’Italia per gli Usa. Anche Segre segue la stessa strada. Nel 1939 anche Rasetti arriva in Canada. In questa fase sembra ancora molto lontano dall’idea che la fisica nucleare potesse portare a conseguenze drammatiche. Ma quegli anni segnano anche l’inizio del gigantesco sforzo militare che portò alla creazione della bomba atomica. Nel 1939 infatti Albert Einstein, il più famoso fra i fisici, scrive a Roosvelt che “…la lettura di alcuni recenti lavori di E. Fermi e di L. Szilard … ha preso sempre più consistenza l’ipotesi che … si possa provocare una reazione nucleare a catena, con un enorme sviluppo di energia … In tale modo si potrebbe giungere alla costruzione di bombe che … saranno di tipo nuovo ed estremamente potenti”. E finiva segnalando che i tedeschi erano già al lavoro. Nel 1940 Roosvelt nomina Vannevar Bush presidente del comitato nazionale di difesa, una organizzazione che in meno di un anno raccoglie 6000 fisici, chimici, ingegneri, medici impegnandoli in programmi militari, tra cui il più noto sarà il progetto Manhattan (1942) guidato da Frank Oppenheimer. Alla fine della guerra saranno più di 30.000 gli scienziati impiegati in programmi militari. Si fa forse fatica, oggi, a capire che cosa accadde in quegli anni. Innanzitutto gli orrori della guerra, una guerra mondiale, che non rispettava i civili, una guerra tecnologica, a base di radars, di crittografia, di sottomarini e di tante, tantissime bombe sulle popolazioni civili. In secondo luogo il trionfo in europa di governi totalitaristi, fascisti e nazisti; la persecuzione degli ebrei. In quegli anni il peso dell’opinione degli scienziati, in particolare dei fisici reduci dai successi della relatività della meccanica quantistica e della fisica nucleare era grande, così come la spinta sui ricercatori ad uscire dalle loro “torri d’avorio” per impegnarsi nel conflitto. “Nel gennaio 1943 – scrive Rasetti dieci anni dopo la fine della guerra – mi fu offerto un posto nel gruppo degli scienziati inglesi che stava cercando di sviluppare l’energia nucleare per scopi militari … Dopo matura riflessione rifiutai l’offerta e ci sono poche decisioni prese nella mia vita che ho meno motivi di rimpiangere. Ero convinto che non poteva derivare alcun bene da nuovi e più mostruosi mezzi di distruzione e gli eventi successivi hanno del tutto confermato i miei sospetti. Per quanto le potenze dell’Asse potessero rappresentare il Male, era chiaro che l’altra parte stava sprofondando nella condotta della guerra ad un livello morale (o piuttosto immorale) simile, prova ne sia il massacro di 200.000 civili giapponesi a Hiroshima e Nagasaki. E’ stato detto che anche gli scienziati che erano stati più ansiosi di sviluppare le armi nucleari si vergognarono dell’uso che ne era stato fatto da parte di alcuni irresponsabili leader politici e militari. Penso che questi scienziati, tra cui c’erano alcuni dei miei amici, compreso Fermi, subiranno un duro giudizio della storia…. Penso quindi che gli uomini dovrebbero interrogarsi più a fondo sulle motivazioni etiche delle loro azioni. E gli scienziati, mi dispiace dirlo, non lo fanno molto spesso”. Rasetti non accetta le proposte con discrezione ma con fermezza. E rimane in Canada, dedicandosi maggiormente allo studio della natura, fossili, insetti, fiori, e per un po’ anche alla fisica, anche se quasi come un hobby. Occorre aspettare il dopoguerra per capire le ragioni del suo rifiuto. Esse sono riassunte in una lettera scritta nell’immediato dopoguerra all’amico Persico: “Sono rimasto talmente disgustato dalle ultime applicazioni della fisica (con cui, se Dio vuole, sono riuscito a non aver niente a che fare) che penso seriamente a non occuparmi più che di geologia e biologia. Non solo trovo mostruoso l’uso che si è fatto e che si sta facendo delle applicazioni della fisica, ma per di più la situazione attuale rende impossibile rendere a questa scienza quel carattere libero e internazionale che aveva una volta e la rende soltanto un mezzo di oppressione politica e militare. Pare quasi impossibile che persone che una volta consideravo dotate di un senso della dignità umana si prestino a essere lo strumento di queste mostruose degenerazioni. Eppure è proprio così e sembra che neppure se ne accorgano. Tra tutti gli spettacoli disgustosi di questi tempi ce ne sono pochi che eguaglino quello dei fisici che lavorano nei laboratori sotto la sorveglianza militare per preparare mezzi più violenti di distruzione per la prossima guerra”. Questi pesanti giudizi gli causarono molte critiche. Al di là della correttezza delle sue motivazioni, i commenti sulla mancanza di coscienza in coloro che avevano collaborato alla creazione della bomba sembrava ingeneroso. Per la maggior parte degli scienziati che parteciparono al progetto Manhattan, collaborare alla realizzazione della bomba fu senza dubbio una scelta dolorosa. Fu quella di Rasetti una scelta, una testimonianza profetica? è difficile rispondere. Probabilmente molti fattori lo portarono a questa decisione. Certamente oltre ad una motivazione morale, c’erano anche altre cose che non piacevano a Rasetti: “Il campo sta diventando troppo affollato; c’è troppa pressione per i miei gusti. A Roma nel 1931 si ritrovarono assieme tutti i fisici nucleari di tutto il mondo che avevano fatto qualche cosa di significativo; c’erano 50 o 60 persone. Oggi capita che ce ne siano centinaia in una sola organizzazione governativa. Ai congressi ci vanno 3-4000 persone. … Se stai lavorando su qualche cosa su cui lavorano simultaneamente altri 10 gruppi, e ti prendi una settimana di vacanza, gli altri ti battono sul tempo e pubblicano prima. E’ una corsa disperata. Per questo io faccio il paleontologo” E’ certo però che la sua fu una scelta diversa, singolare, come singolare era il suo carattere. Una scelta che pochissimi fecero in quel periodo e per questo motivo tanto più ci colpisce. Poteva un fisico di sentimenti democratici rifiutarsi di collaborare ben sapendo che i nazisti avrebbero potuto conquistare il mondo servendosi dell’atomica? Per Rasetti, il fisico non solo avrebbe potuto, ma avrebbe dovuto rifiutarsi. Per altri invece, tra cui il vecchio amico Fermi, non ci si poteva tirare indietro e rinchiudersi nel privato. Una risposta univoca a questo interrogativo però probabilmente non esiste. Quel che è certo è che passa una bella differenza tra il decidere di costruire la bomba come misura di difesa preventiva contro una possibile aggressione nucleare e decidere di usarla comunque contro un nemico riconosciuto incapace di una simile minaccia. Esistevano alternative a Hiroshima? Gli scienziati di Chicago che su richiesta del governo stesero il cosiddetto rapporto Franck non solo ne erano convinti, ma pensavano che ciò fosse assolutamente necessario per evitare la fosca prospettiva di una nuova corsa al riarmo. Il rapporto Franck propose di individuare un luogo deserto dove mostrare agli osservatori di tutte le nazioni il potere terrificante della nuova arma. Ma anche tra i militari esistevano forti opposizioni. Sia il sottosegretario alla Marina Ralph A. Bard che il generale Eisenhower espressero opinioni fortemente contrarie. Ma rimasero inascoltati e a nulla valse la petizione promossa da Leo Szilard, uno dei membri del progetto Manhattan, per allargare il consenso attorno al rapporto. Dopo le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki si dovette prendere atto che per il presidente Truman l’atomica sarebbe stato lo strumento chiave della politica estera americana del dopo guerra. Gli scienziati avevano aperto il vaso di Pandora ma avevano perso il controllo delle loro straordinarie scoperte. In questo senso Rasetti è stato profetico, in quanto ha intuito, nel rigore del suo lucido ragionamento, quanto stava per accadere. La sua scelta era e rimane una scelta di testimonianza, non certo la soluzione ad un problema che è sempre esistito ma che si è posto in tutta la sua gravità nel secolo scorso, quando il ruolo sociale degli scienziati è enormemente aumentato. Rasetti stesso ammette la difficoltà del problema quando afferma: “Sarebbe stato meglio non avere mai intrapreso queste ricerche. Ma è impossibile fermare la ricerca”. La strada che porta uno scienziato ad interrogarsi sul ruolo delle sue ricerche e contemporaneamente a svolgere bene il suo ruolo di scopritore delle leggi della natura, è infatti sottile come la lama di un rasoio. Oggi grazie alla testimonianza di Rasetti ma anche di Szilard, Amaldi, Drell e moltissimi altri, gli scienziati sono molto più coscienti del ruolo sociale della scienza e contribuiscono ad identificare e risolvere problemi che vanno dalla non proliferazione nucleare, al controllo degli armamenti convenzionali, al clima, all’inquinamento, alla sovrappopolazione, alla medicina. La pace non si difende solo evitando di costruire armi di distruzione di massa, ma anche contribuendo a risolvere i problemi molto prima che diventino conflitti. Mi piace pensare che questo ruolo dello scienziato come costruttore di pace sarebbe stato condiviso da Franco Rasetti.

AUTORE: Roberto Battiston