Religiosi, religiose, sappiamo che ci siete

Abbiamo celebrato il 2 febbraio la festa dei religiosi, uomini e donne. Un’occasione per trovarli tutti insieme nelle cattedrali, tranne le persone consacrate legate alla regola della clausura, e godersi uno spettacolo di abiti variopinti di diversa fattura. A proposito di abiti si discute da tempo e tuttora se sia opportuno indossarlo quando si fa vita ordinaria fuori dalle chiese e dai conventi. Per un non credente o non praticante la questione non esiste. A meno che la presenza di un/a religioso/a non risulti o non sia percepita come fuori luogo o fastidiosa. Per evitare ogni sospetto molti preti e religiosi preferiscono, quando sono nel mondo, non esibire segni particolari. Da qui nasce anche il brutto modo di vestire di certi preti e frati che tutto appaiono meno quel che sono. Come i poliziotti che si infiltrano tra i drogati e gli spacciatori e si mimetizzano al punto da sembrare più ceffi dei ceffi. Domenica 2 febbraio, nella cattedrale di Perugia e, penso, in tutte le chiese dove si è celebrata la rinnovazione dei voti di tutte le persone consacrate, i segni esteriori erano modesti, ma c’erano, e il colpo d’occhio, sia pure meno di un tempo, c’è ancora: i francescani con il saio e i sandali, altri religiosi con qualche segno distintivo, una piccola croce sul bavero della giacca, come molti preti o una bella barba. Ma per lo più sono sacerdoti e quindi nella celebrazione vestono gli abiti liturgici che accomunano tutti in vesti uniformi. Fanno invece colpo le suore dai diversi abiti e veli. Tutto ciò per dire che, anche se l’abito non fa il monaco, forse per alcuni serve di richiamo e può suscitare qualche sentimento. A proposito, una suora amica ha raccontato che in un paese vicino, dove per anni c’erano le suore, piano piano sono venute meno e ne è rimasta solo una di 90 anni. Ad un dato momento anch’essa se n’è andata, ritirata dalla sua superiora. Un uomo del posto, parlando ad alta voce con gli amici del bar, ha commentato dicendo press’a poco così: “peccato che non ci sono più le suore; hanno portata via anche l’ultima che era rimasta; in fondo quando si vedeva passare, ci frenava un po’ la lingua. Ora guardiamo il cielo solo per vedere se piove”. Già solo per capire che tempo fa senza pensare al cielo di Dio e al Padre che è nei cieli. Il discorso sui religiosi, come è evidente, va oltre il vestito. Il vescovo Bassetti nell’omelia ha citato ampiamente sant’Ambrogio, l’antico vescovo di Milano, il primo a inquadrare la vita consacrata in una visione ecclesiale organica ed ha esaltato la vita di consacrazione totale e perpetua a Cristo vivendo in modo radicale il Vangelo chiamati ad essere anche nel nostro tempo segni credibili dell’incarnazione del Verbo nella storia, profezia del Regno, cercatori indefessi di Dio nella fedeltà ai voti di povertà, castità e obbedienza. Oggi religiosi/e si ritrovano in pochi a vivere in grandi conventi e monasteri, ricchi di storia e fanno fatica a tenere in piedi tradizioni e stutture. Da soli non ce la fanno. I laici potrebbero dare una mano? Un contatto, una presenza, un segno di stima e di affetto per dire: “Sappiamo chi siete e che ci siete e ne siamo contenti, grazie”.

AUTORE: Elio Bromuri