Ripartire dall’acqua calda

DON ANGELO fanucciRiprendo il discorso che il sig. Ferruccio Medici mi ha costretto ad interrompere; il discorso su quanto la mia associazione e io e tutti quelli che li frequentiamo pensiamo di aver imparato dai monaci Avellaniti (“La cocolla della modernità”) nel loro bellissimo, millenario monastero. Abbiamo imparato a leggere la Bibbia secondo le dritte del metodo storico-critico e a muoverci in essa con il preciso e motivato, duplice pregiudizio: la Bibbia parla pochissimo di Dio e moltissimo dell’Uomo visto nella luce di Dio, e in essa il racconto storico tende sempre a trasformarsi in insegnamento per simboli. Il metodo storico-critico mi pare che poggi su due pilastri. Il primo è che il messaggio biblico in genere non ci viene ammannito nudo e crudo, ma avvolto in carta da pacchi, spesso pregiata, a volte pregiatissima, ma del tipo noto ai bottegai del settore come “mito”; grazie ad esso un’affermazione solo in parte vale per quello che afferma, in parte spesso maggiore vale per quello a cui rimanda. Il secondo è che, prendendo in mano un testo biblico, la primissima domanda che ci si impone è una: cosa capivano quelli che ascoltavano quella certa catechesi o leggevano quel certo racconto? Acqua calda. Sorridono gli allievi dell’Istituto teologico: la mia è solo acqua calda. Caro, pigolante columnist (così mi ha chiamato il sig. Medici!) de La Voce, hai scoperto l’acqua calda. Già. Eppure è dall’acqua calda che bisogna ripartire. Perché esistono ancora giovani catechisti che danno al Serpente piuttosto che alla Donna la prima responsabilità di quel giorno tristissimo a partire dal quale le mele (come di Benigni) costarono l’iradiddio. E perché anche la scorsa notte di Natale hanno volteggiato nel cielo dell’abside piissime esortazioni a inserirci anche noi tra gli uomini “di buona volontà”, per accogliere degnamente il Messia, ignorando – tapini! – che la “buona volontà” cantata dagli angeli non era la nostra, ma la Sua. E perché c’è ancora chi della risposta di Gesù sulla “questione del tributo” fa del suo motto famoso (“Date a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”) il fondamento dello Stato laico, “laico nel migliore senso della parola”. Mentre Gesù voleva solo dire: le tasse… non fate storie, pagatele, ragazzi, perché su temi del genere i Romani (dato e non concesso che conoscano lo scherzo) non scherzano affatto; ma voi capi del popolo, voi scribi e dottori della Legge, pensate piuttosto a restituire a Dio e all’autentico culto di Dio questo popolo che avete sommerso sotto una montagna di precetti e precettini, per farlo vivere nella paura e rendere così agevole l’esercizio del vostro potere oppressivo. Acqua calda? Diciamo… forse tiepida.

AUTORE: Angelo M. Fanucci