“Seguimi!”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di mons. Vincenzo Paglia vescovo di Terni - Narni - Amelia X Domenica del tempo ordinario - anno A

Gesù esce dalla casa di Cafàrnao, divenuta una sorta di suo “quartier generale” in Galilea. Cafarnao era un centro di una qualche importanza; tra l’altro aveva un ufficio di dogana, perché di lì passava la strada Commerciale e militare che collegava Damasco con il territorio di Erode Antipa. Ebbene, Gesù camminando per strada vede a un certo punto un uomo seduto al banco delle imposte: è uno degli esattori incaricato di raccogliere le tasse che vanno a impinguare le casse del tetrarca o del governatore della regione.Si chiama Matteo. Ed è l’autore del Vangelo che ci sta accompagnando in questo anno liturgico.

Come esattore, appartiene alla odiata classe dei pubblicani, ritenuti imbroglioni e sfruttatori della gente e della legge. In aggiunta, costoro sono considerati anche impuri, perché maneggiano denari e compiono loschi affari pecuniari. Insomma, è gente da evitare; non si deve avere nessun contatto con loro. Accomunati agli scomunicati, ai ladri e agli strozzini, non sono neppure da salutare. Gesù, appena vede Matteo, invece di scansarlo come sarebbe logico fare per uno della sua posizione, si mette a parlare con lui e alla fine gli rivolge persino un invito: “Seguimi”. Sino ad ora Gesù è attorniato da pescatori, persone tutto sommato perbene, anche se povere e senza un particolare ruolo nella società. Ora chiama un pubblicano a far parte della cerchia degli amici più intimi. Altro che non avvicinarsi e non dar neppure la mano, come la consuetudine pretendeva!

È davvero sconcertante. Ma qual è la reazione dì questo pubblicano? Egli, a differenza di tanti uomini che si ritenevano religiosi e puri, subito si alza dal suo banco e si mette a seguire Gesù. Matteo, da peccatore che era, diviene un esempio di come si segue il Signore. Anzi, ancor di più, con il Vangelo che porta il suo nome è divenuto guida di tanti. Anche noi, oggi, poveramente seguiamo questo antico pubblicano e peccatore che ci conduce verso la conoscenza e l’amore del Signore Gesù. Il pubblicano è diventato discepolo e guida. Subito invita a casa sua Gesù e quelli che sono con lui e offre loro un banchetto. Vi accorrono anche i suoi amici e altri che il Vangelo chiama “peccatori”.

Ne viene fuori uno strano banchetto. Ma Gesù non si vergogna, né si preoccupa di venire accusato di impurità a motivo di tale frequentazione. Ovviamente tutto ciò non passa inosservato a Cafarnao, di-viene anzi argomento di discussione. Immediatamente, infatti, alcuni farisei pongono ai suoi discepoli una domanda: “Perché il vostro maestro mangia cori i pubblicani e i peccatori?” Una cosa del genere era assolutamente scandalosa e non poteva certamente venire da Dio. Ma Gesù, udita la domanda, interviene direttamente nella polemica con un proverbio inconfutabile per la sua chiarezza: “Non hanno bisogno del medico i sani, ma i malati”.

Gesù non vuoi dire che i farisei sono sani e gli altri malati; per lui, infatti, non c’è sulla terra un divisione manichea tra gente buona e gente cattiva, tra giusti e peccatori. Gesù vuol solo spiegare qual è la sua missione: egli è venuto per aiutare e per guarire, per liberare e per salvare. Non è sceso dal cielo per comminare condanne e punizioni. Per questo, ri-volgendosi direttamente ai farisei, aggiunge immediatamente: “Andate e imparate che cosa vuoi dire: Misericordia cerco non sacrificio”. Con questa frase Gesù esprime in sintesi la sua missione. E invita tutti a essere come lui: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. E, avvicinandosi ancora di più a ognuno di noi, aggiunge: “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. Per questo non è poi così difficile sentire il Signore accanto a se.

AUTORE: Vincenzo Paglia