Referendum trivelle. Le ragioni del NO. Siamo tutti favorevoli all’ecologia ma intanto usiamo quello che c’è

Le ragioni del no. Non solo Matteo Renzi è contrario allo “stop”

petrolioIl presidente del Consiglio Matteo Renzi ha invitato a disertare le urne domenica 17 aprile perché “il referendum non parla di nuove trivelle ma di tirar fuori il gas e petrolio che c’è. Se decidiamo di dire basta, andiamo fuori a comprare dagli arabi e dai russi? Io sono per usare quello che c’è. Spero che questo referendum che potrebbe bloccare 11 mila posti di lavoro, fallisca”.
Renzi ha spiegato che “noi arriveremo al 50% delle rinnovabili sul totale dell’energia elettrica prima della fine della legislatura; noi siamo leader sulle energie rinnovabili. Però c’è una parte di energia che manca: nel processo che ci porta verso il passaggio alle rinnovabili, qualcosa va tirato su. Al nucleare abbiamo detto ‘no grazie’, abbiamo chiesto di chiudere alcune centrali a carbone”.

Contro il referendum è stato fondato il comitato “Ottimisti e razionali” presieduto da Gianfranco Borghini, ex deputato del Partito comunista e poi del Pds. Il comitato sostiene che continuare l’estrazione di gas e petrolio offshore è un modo sicuro di limitare l’inquinamento: l’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni.

Simone Tropea, in un recente dibattito svolto ai Salesiani a Roma, ha ribadito le ragioni del no. Ha evidenziato, tra l’altro, che “a tutti sta a cuore l’ambiente, tutti sono interessati a ricercare e sfruttare la via più efficace ed ecosostenibile in termini di soddisfazione del fabbisogno energetico. Tutti, soprattutto in un Paese come l’Italia, riconoscono un posto di primaria importanza alla difesa dell’ecosistema, della fauna e della flora marina e naturalmente del paesaggio.
Quindi, in primo luogo, bisogna chiarire che non si tratta affatto di un guerra tra cinici capitalisti e onesti francescani amanti e rispettosi della natura. Questo è un inganno mediatico. Per quanto, a detta del sì, il voto a favore della non rinnovabilità delle concessioni abbia un grosso valore simbolico perché darebbe un segnale al Governo nell’incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili, noi crediamo che sia una soluzione stupida perché quelle risorse energetiche sono lì, ci sono, e nel rispetto delle normative vigenti sulla tutela dell’ambiente, per ora, vanno sfruttate.

Il quesito in questione non tocca la logica del greggio, cioè non altera il paradigma economico dominante, tanto che non si parla affatto, per esempio, delle trivellazioni in terraferma, e questa a mio avviso è la prima nota d’ipocrisia del referendum. Eppure sono quelle che hanno in teoria (e in pratica) un impatto molto più serio e immediato sulla popolazione; ma riguarda solo 21 concessioni tra le 66 presenti in area nazionale, cioè verrebbero a essere toccate le piattaforme che si trovano entro le 12 miglia. Ciò non impedisce nuove trivellazioni, che di fatto sono già vietate (sempre nelle 12 miglia), né la creazione di nuove piattaforme, anch’essa già vietata, e allo stesso tempo non modifica la possibilità di cercare e sfruttare nuovi giacimenti sulla terraferma né di compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia.

Questo per dire che l’abrogazione proposta dal referendum non si inserisce in un discorso di transizione dal combustibile al rinnovabile, giacché, di fatto, con la vittoria del sì non si registrerebbe nessun cambio sostanziale nelle politiche energetiche del nostro Paese.

A livello pratico: se dovesse passare il sì, alcuni impianti delle 21 concessioni dovrebbero chiudere tra 5 -10 anni; altri, quelli che hanno ottenuto le concessioni più recentemente, dovrebbero chiudere tra circa vent’anni anche qualora non avessero esaurito le riserve di gas e petrolio. E poi? Nel momento in cui non ci si trovasse ancora in grado di sostituire il combustibile con le fonti d’energia rinnovabile, eccoci costretti a importare da altri Paesi anche quella percentuale ‘relativamente’ piccola (la decima parte) di carburante che a oggi estraiamo dalle riserve nazionali.

Questo significa, oltre ai costi, un aumento del traffico navale, di petroliere che fanno avanti e indietro per il Mediterraneo, naturalmente muovendosi ben al di qua delle 12 miglia, dato che dovranno pure arrivare ai porti!”.

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AUTORE: Emilio Querini